Il 3 giugno sono vent’anni dalla morte di Italo Allodi. Con quella bella faccia da Burt Reynolds senza baffi, probabilmente è stato un bel gabbasanti: primo manager calcistico e vero caposcuola in questo senso, ha anche il merito di aver dato basi scientifiche alla Scuola Allenatori di Coverciano, ma forse è stato anche un cattivo maestro. Infatti, dalla metà degli anni settanta, iniziando da una serie di articoli pubblicati da “The Times”, girano voci di sue manovre poco chiare in campo europeo, e in seguito, nell’ambito del secondo “Calcioscommesse”, è accusato d’illeciti sportivi anche in Italia, uscendone però scagionato. In una stampa quasi unanimemente a suo favore, aveva un unico acceso avversario, Gianpaolo Ormezzano, che lo definiva senza mezzi termini “non un corrotto, ma un corruttore”, e anche Fulvio Bernardini ci andava giù pesante, dichiarando che “Tutto ciò che sa fare, è regalare orologi d’oro agli arbitri”. Non risulta il dispetto in tal senso della Rolex.
Nel calcio giocato è un vero Signor Nessuno, un medianaccio confinato in Serie C, tanto che l’allenatore del Mantova, Mondino Fabbri, lo toglie dal campo per metterlo dietro a una scrivania, a fare il segretario dei biancorossi. E’ una genialata: consigliando acquisti oculati, porta la squadra tra i Cadetti e rende evidenti a tutti le sue capacità. Angelo Moratti capisce di avere necessità di uno come Allodi per la sua Inter e se lo accaparra. In quel periodo, il manager di riferimento è Giuseppe “Gipo” Viani del Milan: Allodi lo osserva ben bene per imparare, riuscendoci alla grande e probabilmente superandolo. Senza entrare mai nelle scelte tecniche dell’allenatore Helenio Herrera, e muovendosi abilissimo nel mercato con i denari di Moratti, porta la squadra sul tetto del mondo dal 1964 al 1965. Quello stesso Mondino Fabbri, che da mediocre calciatore lo aveva lanciato nel grande calcio come direttore sportivo, gli tarpa involontariamente le ali: a causa della magra figura della sua Italia ai Mondiali d’Inghilterra, la Federazione chiude le frontiere calcistiche agli atleti stranieri nel tentativo di far rinascere il calcio nazionale, impedendo così ad Allodi di scovare e far arrivare in Italia nuovi Suarez e Jair.
Nel 1968 Moratti lascia l’Inter a Fraizzoli e Allodi lascia l’Inter: dopo un paio d’anni, nel 1970, approda alla Juventus di Vittore Catella, che Agnelli è desideroso di riportare ai fasti di Charles, Sivori e Boniperti, un Giampiero che Allodi, Segretario Generale, trova dal secondo anno come Presidente. Oltre a costruire quella struttura modello di cui è figlia l’attuale organizzazione societaria bianconera, c’è da dire che Allodi è un vero talent scout di giovani calciatori, come certificano i nomi di Bettega, Causio Furino e Cuccureddu. A Boniperti, però, questo Burt Reynolds senza baffi non piace proprio, sia per la teoria dei due galli nel pollaio, sia per l’eccessiva disinvoltura nel frequentare persone poco raccomandabili. Inoltre fa troppi regali e la cosa, al Presidentissimo, proprio non va giù, e non (solo) per i soldi spesi.
Nel 1973, quando Boniperti se ne libera, Allodi passa in FIGC a dirigere il Centro di Coverciano, carica che ricopre finché, entrato in rotta di collisione con Bearzot, è silurato. Va allora alla Fiorentina dei Pontello e al Napoli di Ferlaino, ma prima dello scudetto di Maradona è già iniziata la sua parabola discendente: l’anno prima, pur uscendone assolto, è coinvolto nel secondo scandalo del “Calcioscommesse” e nel 1987 è colpito da un ictus, da cui si riprende ma che coincide con l’inizio di un oblio cui non si rassegnerà fino all'ultimo, fino alla morte che lo coglie nel 1999.
Se ho parlato dei suoi indubbi meriti, c’è da dire dei parecchi punti oscuri che macchiano la sua memoria. Il suo principale accusatore è il miglior giornalista sportivo del Regno Unito, Brian Lester Glanville (mica Pistocchi!): sul Times di Londra (mica un social network!), nel corso di vari articoli pubblicati dal 1975, ha indicato Allodi come la mente, e Dezso Solti come il braccio, di vari episodi corruttivi in occasione delle semifinali di Coppa Campioni. L’UEFA non ha mai preso provvedimenti disciplinari, ma i dati pubblicati dal giornalista indicano la corruzione dell’arbitro slavo Tesanic (Inter - Borussia Dortmund 2 a 0 del 29 aprile 1964) e dello spagnolo Ortiz De Mendebil (Inter - Liverpool 3 a 0 del 12 maggio 1965). Glanville riferisce anche dell’arbitro ungherese Gyorgi Vadas, che rifiutò di farsi comprare in occasione di Inter - Real Madrid del 20 aprile 1966, gara terminata con l’eliminazione dei nerazzurri, ma che segnò anche la fine della carriera di arbitro internazionale per l’ungherese. Moratti figlio e l’entourage interista dell’epoca minacciarono querele per Glanville e il Times, ma ne stiamo ancora attendendo la presentazione.
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