Giovanni Mazzonis è nato il 29 giugno 1888 in una famiglia d’industriali torinesi. Il nonno Paolo, in Val Pellice, dette inizio all’impresa tessile di famiglia, nel 1870 acquistò a Torino il seicentesco Palazzo Solaro e dieci anni dopo fu nominato Barone di Palafrera. Quando l’impresa di famiglia capitò nelle mani di Giovanni, egli lo fece col piglio padronale tipico dell’aristocrazia del tempo, ma riconoscendo la legittimità dei sindacati.
Come molti giovani aristocratici dell’epoca, fu affascinato dal football che svizzeri e britannici insegnavano a Torino, e pur non apparendo tra i “ragazzi del D’Azeglio” che fondarono la Juventus, presto si unì alla società, che aveva già iniziato a darsi una struttura organizzativa. Attaccante, non doveva essere un fulmine di guerra, poiché in quattro stagioni scese in campo solo dieci volte. Non moltissime, anche considerando che, nell’anno d’ingresso in prima squadra del nostro Barone, il 1909, la Juventus, pur partecipando a due campionati disputò in tutto nove gare. Tre nel Campionato Federale (aperto ai calciatori stranieri), e sei in quello Italiano (autarchico), finito col trionfo, nella doppia finale, sull’US Milanese, ma inspiegabilmente disconosciuto dalla Federazione in tempi successivi, com’era accaduto, a denominazioni invertite, l’anno precedente (così, tra FIF e FIGC ci hanno sottratto ben quattro scudetti).
Ma questa è la pagina meno interessante della vita bianconera di Giovanni Mazzonis. Nel 1923, Edoardo Agnelli, divenuto presidente bianconero, volle due vice al suo fianco: Enrico Craveri e Giovanni Mazzonis. Il primo era un asso nelle questioni regolamentari e amministrative, il Barone fu il braccio operativo. Nel 1935, dopo la disgrazia in cui morì il padre dell’Avvocato e del Dottore, il Barone assunse con Craveri la presidenza bianconera, tranne esserne allontanato, un anno dopo, per intervento del Federale fascista di Torino, cui era sgradito il mancato allineamento al regime. Restò ovviamente nel direttivo societario contribuendo a consolidare quello stile Juventus inaugurato da Edoardo Agnelli.
Giovanni Mazzonis è uomo di rigidi costumi, primariamente applicati su se stesso, educato e cordiale, ma fermo, proteso anima e corpo nel mantenere nella società quell’aura di stile di vita, tenacia e saldezza morale che naturalmente conducevano all’eccellenza sportiva. Dirigeva personalmente la campagna acquisti della squadra, ovviamente scegliendo prima uomini che calciatori: era così bravo da non sbagliare un acquisto, e la meravigliosa sequenza dei cinque scudetti vinti dal 1931 al 1935, sta lì a dimostrarlo. Se avete dubbi in proposito, ricordo che gente come Mumo Orsi, Lusito Monti e Renato Cesarini vestirono la nostra casacca “catturati” da Mazzonis. Abile nello scegliere calciatori bravi, utili alla causa ma al contempo signorili e posati come potevano esserlo giovani uomini ventenni, non lesinava metodi un tantino polizieschi per convincere i più “vivaci” al rispetto di orari e abitudini da atleta.
La perfetta gestione bianconera porta grande vantaggio anche alla Nazionale, che nella Coppa del Mondo del 1934, in finale con l’Ungheria, schiera in campo ben nove juventini. Il gran gioco, le vittorie di squadra, la sportività, la correttezza e il grande contributo alla Nazionale, fanno nascere un’ammirazione e un tifo trasversale che travalica i confini cittadini e regionali, a divenire addirittura nazionale.
E’ il periodo in cui nascono contemporaneamente lo “stile Juve” e la Juventus “Fidanzata d’Italia”, fenomeni favoriti, sia dallo spirito di rivalsa, nelle città provinciali, nei confronti dei capoluoghi di regione e delle loro squadre, sia perché il barone Mazzonis, unico Presidente di una squadra di calcio italiana, proibiva l’applicazione della “cimice”, il distintivo fascista, sulle giacche della divisa. Ecco perché, per evitare problemi alla Famiglia Agnelli, preferì farsi da parte e lasciare la presidenza al più allineato Emilio de la Forest de Divonne.
La morte di questo grande bianconero è avvenuta a Torino sessant’anni orsono, il 26 giugno 1969. Pioniere e grande dirigente, è dunque il principale responsabile del fatto che in tanti stadi italiani sembri di giocare in casa e che parecchi nostri antagonisti si riempiano la bocca, spesso a sproposito ma sempre con invidia, con quello “stile Juventus” che fece dire a Giovanni Agnelli: “
Di stile Juventus parlano gli altri, non noi”. Giovanni Mazzonis di Palafrera è la dimostrazione del fatto che non solo i campionissimi hanno fatto grande la Juventus, ma il merito della nostra grande storia e dell’immagine che abbiamo nel mondo, va in qualche modo ripartito anche con i grandi dirigenti, con la loro sapienza calcistica, la dedizione, l’intelligenza, la saggezza, il coraggio, la misura e il sacrificio personale. Una curiosità: nella casa dov’è cresciuto questo Signore di cui vi ho parlato, a Torino in via San Domenico 11, ora c’è il MAO, il Museo di Arte Orientale. La prossima volta che vado su, voglio visitarlo.
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