I calciatori tedeschi che hanno indossato o indossano la nostra maglia, a parte le meteore Hans Mayer Heuberger, Hugo Mutzell e Benedikt Howedes, sono Stefan Reuter, Andreas Moeller, Jurgen Kohler, Thomas Hassler, Sami Khedira ed Emre Can: ma è per Helmut Haller, il primo tedesco a far grandi cose nella Juventus, che ho un’ammirazione assoluta. Trequartista dal talento inarrivabile, fu uno degli artefici dell’ultimo Scudetto bolognese prima di trasferirsi in bianconero dove, in cinque anni, con centosettantuno presenze e trentadue reti ha vinto da protagonista gli Scudetti 1972 e 1973.
M’innamorai del tedesco da bambino, quando il Bologna effettuava la preparazione estiva a “Il Ciocco” di Castelvecchio Pascoli ma, per allenarsi, utilizzava il vecchio campo del Barga, al “Giardino”. Col pallone faceva mirabilie, ma sempre e rigorosamente al piccolo trotto: quelli che andavano veloci erano i suoi palloni e i suoi compagni, che il perfetto lancio del tedesco metteva a tu per tu con William Negri, che difendeva la porta delle riserve. Ogni volta che il pallone usciva dal rettangolo di gioco, l’astuto Haller veniva tra noi bambini a riprenderselo personalmente, giocherellando con noi e prendendosi il tempo di rifiatare. Un “richiamo” me lo fece qualche anno dopo, ancora con la maglia rossoblù, stavolta in televisione. Si tratta della bellissima rete che ci segnò al Dall’Ara al termine di un’azione unica: rinvio di Negri raccolto a centrocampo da Nielsen, che palleggia mentre Haller parte come una scheggia, raggiunto dal pallonetto del danese appena dentro l’area di rigore, tiro di destro al volo e Anzolin non può far altro che applaudire il tedesco.
A Bologna giocava dietro a Nielsen e Pascutti, col danese che, per merito di Helmut, vinse due anni di seguito la classifica marcatori, ma per il declinare dell’amicizia tra i due, il Bologna pensò di cederlo alla Juventus. A Catella serviva come il pane, per mandare in rete Anastasi e Bettega, ma lui arriva cicciottello e appagato, sperando in un finale di carriera tranquillo. Trova, però quel sergente di Heriberto Herrera, che lo strizza a dovere, gli restituisce forma fisica e gli affida il ruolo di trascinatore in una squadra di giovanissimi, compito in cui riesce benissimo. Nello scudetto del 1972, con Bettega assente, è grandissimo protagonista, ma lascia il segno in tutto il suo periodo torinese: le sue giocate sono a colori anche nella televisione in bianco e nero di quegli anni.
Regista e attaccante allo stesso tempo, tanti dribbling, tante reti, tanta fantasia e intelligenza in campo, ma anche tanta birra e champagne, tanta vita notturna (e tante donne) hanno caratterizzato i suoi anni italiani. Sarebbe stato ancor più gaudente, e probabilmente meno affidabile calcisticamente, se la mitica Waltraud, sua moglie di allora, e la dirigenza bianconera non l’avessero tenuto un po’ a freno: famosa la sua esclusione da un derby dopo una magnifica prestazione in campo e una notte brava Wolverhampton. Forse voleva festeggiare la sua splendida partita, forse voleva semplicemente concedersi una scappatella “a basso rischio”, poiché Waltraud era rimasta a Torino e pensava di poter evitare più facilmente la marcatura dello staff bianconero. Così, questo tedesco dal carattere mediterraneo, estroverso, casinista, amante degli scherzi, della birra, della vita notturna e delle donne, molto probabilmente in un ordine diverso, scattata l’ora del “tutti a letto”, evade dall’albergo per andare al night club. Purtroppo, Vycpalek passò a controllare che tutti i suoi ragazzi dormissero, trovando vuoto il letto del tedesco. Svegliò Pietro Giuliano e via su un taxi, alla facile ricerca del fuggitivo: nella piccola cittadina non erano molti i locali da controllare. Trovarono Haller immerso in una nuvola di fumo, con evidenti tracce di assunzioni di whisky sul tavolinetto e circondato da un certo numero di procaci fanciulle. Visti Giuliano e Vycpalek, sorrise loro, salutò le signore, pagò e salì in silenzio sul taxi. Messo fuori rosa per il successivo derby col Torino, la rete d’Anastasi non valse a evitarci la sconfitta.
Trequartista e ala, uno dei migliori del periodo, una gran visione di gioco (mitica la risposta al compagno che gli chiede il passaggio: “Tu non chiama: io vedo e ti da!”), estasiava il pubblico con magie a ripetizione. Imprevedibilità, spiccata propensione al tunnel e il sapersi assumere responsabilità in campo erano le sue caratteristiche peculiari. Una carriera quasi tutta italiana, la sua: Bologna e poi Juventus. Purtroppo, detto dei tre scudetti, per lui un palmares abbastanza modesto, veramente sbilanciato rispetto al valore calcistico del campione, con due coppe per club sfumate in finale, col Leeds, per la regola dei gol in trasferta (Fiere 1971) e con l’irraggiungibile Ajax di Cruiff (Campioni 1973). Non gli andò meglio in nazionale: ancora una sconfitta in finale (Mondiale 1966), con la rete di Haller, premiato come miglior giocatore del torneo, pareggiata dal gol fantasma dell’inglese Hurst.
Nato 21 luglio 1939 Augsburg (Augusta) oggi avrebbe compiuto ottant’anni se non fosse morto già da sette, godendosi però una vecchiaia serena… e altri due matrimoni. Almeno fino all’infarto cardiaco del 2006, da cui non s’è più ripreso. Auf Wiedersehen, Helmut!
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