“
Tre Re” (per la Signora, come nel libro di Berardi e Novelli), “
Trio Magico”, “
Tris d’Assi”, al secolo Giampiero Boniperti, William John Charles, Enrique Omar Sivori sono i tre attaccanti che per quattro stagioni, dal 1957/58 al 1960/61, trascinarono la Juventus alla conquista di tre Scudetti e due Coppe Italia. Vedere in campo quel tridente d’attacco, tra i più forti e i più ammirati della storia del calcio mondiale, era davvero una meraviglia. C’era un amalgama di caratteristiche tecniche, agonistiche e temperamentali che rendeva eccelsa la qualità del gioco espresso ed enorme la caterva di reti sotto la quale seppelliva le difese avversarie. Infatti, Charles nel ’58 e Sivori nel ’60 si laurearono capocannoniere del campionato (Boniperti l’era stato anni prima, nel 1948), con Sivori che, nel 1961, conquistò anche il Pallone d’Oro. Questi tre campioni, assieme agli altri valenti compagni di squadra, riportarono la nostra Juventus ai fasti del “Quinquennio d’Oro” degli anni ’30.
Non potevano essere più differenti uno dall’altro, per posizione in campo, caratteristiche tecniche e carattere. Boniperti, vero piemontese, cortese, astuto e vendicativo il giusto, era nato centravanti di valore, ma per “ragion di stato” si era trasformato in regista di centrocampo. Charles, gallese, ex minatore ed ex pugile dall’animo semplice, cavalleresco e con un cuore d’oro, era uno stoccatore dalla potenza inaudita, sia di piede, sia soprattutto di testa, per la grande elevazione e il collo taurino col quale incornava bordate imparabili per i portieri avversari. Poi c’era Sivori, argentino, uno degli “
angeli dalla faccia sporca”, perfido e astuto, genio e sregolatezza in campo e fuori, ma che in campo si completava con gli altri due in maniera perfetta: sotto rete, assieme “King John" erano una minaccia continua.
Sivori era accusato, malignamente, di utilizzare il piede destro solo per scendere dal pullman, ma vederlo giocare, pur col solo sinistro, era uno spettacolo nell’avvicinamento alla porta, nell’impostazione, nell’assist e per le reti realizzate d’astuzia e di rapina. Sivori aveva un caratterino molto particolare e a questa sua caratteristica si collegano i calzini “
alla cacaiola” (Brera dixit), a bracaloni sulle scarpe e il tunnel, frontale o laterale, parte di un arsenale mirante a far imbestialire l’avversario. Le sue tibie nude (ai tempi non esisteva il parastinchi) dimostravano che non aveva timore delle entrate dell’avversario, che anzi provocava: spesso era lui il primo a fare l’entrataccia, quasi a dichiarare al proprio marcatore che “qui comando io”. Sentite Marcello Lippi: “
Stravedevo per la cattiveria e la scaltrezza di Sivori: non si faceva mai picchiare da nessuno. Anzi al massimo succedeva il contrario”. Così l’avversario si accaniva alla ricerca della vendetta e perdeva di vista il gioco di squadra. Anche perché, da ragazzo, abituato a giocare nella piazza del paese con pochissima luce, aveva affinato una specie di radar che lo avvertiva dell’avvicinarsi da dietro da parte dell’avversario.
Quella volta esagerò. Si era a Milano, il 13 settembre del 1959 a disputare la finale di Coppa Italia. Il suo avversario riuscì a restituire a Omar più di quanto Sivori volesse tollerare, rendendolo un indemoniato alla ricerca dello scontro fisico. A evitare di compromettere la gara Charles affrontò il suo amico e con uno schiaffo iniziò a calmarlo. Sivori non indietreggiò subito e ci volle un po’ perché tra i due amici tornasse il sereno:
da nessun altro Sivori avrebbe tollerato quell’affronto. La Juve sconfisse l’Inter quattro a uno e il merito, a parte la rete segnata, parrebbe andare tutto al gigante gallese.
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