Il Cagliari allenato da Scopigno, nella stagione 1969/70, conquistò l’unico trofeo della sua storia. La squadra di Gigi Riva, Albertosi, Gori, Niccolai, Cera e Nenè confermò la sua caratura, già evidenziata l’anno precedente col secondo posto in campionato, portandosi al comando della classifica già alla quinta giornata.
Suo unico avversario è una Juve in cui inizia a prendere forma quell’assetto societario, che si rivelerà a lungo vincente con Giampiero Boniperti, per adesso “solo” Amministratore Delegato. Sandro Salvadore è il nuovo capitano, e mentre dal vivaio arriva in prima squadra un certo Giuseppe Furino, dal mercato arrivano il babbo di Bobo Vieri, Roberto, più sciupafemmine che sciupaportieri, l’ala Leonardi, Gianpietro Marchetti, preso come rincalzo ma che si dimostrerà ottimo terzino, lo stopper Francesco Morini e infine, alla riapertura autunnale del mercato, Antonello Cuccureddu. E’ una Juventus che parte male con Carniglia in panchina, ma si riprende dopo la sostituzione dell’argentino con Ercole Rabitti. La rinascita inizia proprio il 16 novembre, a Cagliari, quando si assiste a un pareggio per uno a uno, agguantato dai nostri proprio allo scadere. La Juventus è schierata in campo con Tancredi, Salvadore, Furino; Marchetti, Morini, Castano; Leonardi, Del Sol, Haller, Cuccureddu, Favalli. Mancano solo due minuti alla fine, e i rossoblù sono in vantaggio per la rete di Domenghini al quarantasettesimo. Dei quattro giovincelli scesi in campo, uno in particolare ha una gran voglia di dimostrare di che pasta è fatto. Vent’anni soli, con un nome “compromettente”, che svela il suo essere un traditore dell’isola, ma tifoso bianconero fin da bambino, con quella maglia che sta indossando all’esordio che, anche se non lo sa ancora, diventerà la sua seconda pelle. C’e un calcio d’angolo, e il pallone, diretto sul primo palo, è rinviato di testa da un difensore e ballonzola a centro area: Antonello ci si avventa e con un gran destro batte Albertosi. E’ l’ottantanovesimo. Leggendo i quattro Evangelisti, sappiamo che Gesù sosteneva il concetto “Nemo propheta in patria”. In questo caso sbagliò, anche se il “profeta”, stavolta aveva la maglia del “nemico”.
Il Cagliari sarà campione d’inverno con due punti di vantaggio proprio su di noi, che a un certo punto del girone di ritorno ci portiamo a un solo punto di distacco dal Cagliari capolista. Il sorpasso fu impedito da un rigore, quello regalato al Cagliari, nell’incontro di ritorno a Torino, da Concetto Lo Bello. Sul due a uno per noi, per un fallo di Salvadore su Riva visto solo dal fischietto di Siracusa, fu assegnato un penalty, trasformato dall’inesorabile sinistro di Riva. Il due a due finale annacquò i nostri entusiasmi, definitivamente spenti dal due a zero subito a Firenze la domenica seguente, in un vero e proprio blocco mentale che esita in un finale di torneo in calando, che alla fine ci vede a ben sette punti di distanza dal Cagliari.
La “maglia da nemico” divenne per Cuccureddu una seconda pelle. Arrivato a Torino dopo essere strato apprezzato da Boniperti per aver combattuto ad armi pari col grande Luis Del Sol (e aver vinto il confronto) durante un’amichevole contro il Brescia, nella Juventus restò a lungo. Antonello, certamente generosissimo, dinamico e di grande intelligenza tattica, è stato il jolly più eclettico della storia bianconera: da mezzala, ruolo d’origine, fuorché da portiere ha giocato quasi ovunque. A tal riguardo, è esemplare il campionato 1975/76, quando le maglie non riportavano ancora i nomi dei giocatori ed erano intercambiabili tra loro: Cuccureddu ha indossato la numero “2” e “3” per dieci volte complessive, la “4”, la”7”, la “8” e la “11” una volta ciascuna e due volte la “10”. Un eclettismo evidenziato anche dall’abilità realizzativa, specie con tiri dalla distanza, per via di quel destro potente e preciso che raramente perdonava il portiere avversario. Per questo stesso motivo spesso era il designato al tiro di punizioni dal limite e calci di rigore, tanto da rivelarsi uno dei centrocampisti (quando non giocava terzino) più prolifici di sempre: trentanove reti bianconere in quattrocentotrentotto presenze distribuite in dodici stagioni, che gli sono valse sei Scudetti, una Coppa Italia e la prima delle tre Coppe UEFA, quella “tutta italiana”. Con Bearzot arrivò anche alla Nazionale, tredici gare in tutto, tra cui “Argentina ‘78”, primo sardo a disputare un Mondiale. Fine carriera a Firenze, dove “rischiò” di vincere un altro Scudetto, proprio contro la sua amata Juve.
Diventato allenatore, il suo pragmatismo lo porta all’adozione prevalente del trapattoniano “4-4-2”, con cui, alla guida delle giovanili della nostra Juventus, a parte contribuire alla crescita sportiva di Ale Del Piero, si aggiudica tutto quanto possibile a livello di squadre primavera: Campionato, Torneo di Viareggio e Coppa Italia. Passato a guidare squadre semiprofessionistiche e professionistiche, a parte la vittoria di due tornei di Serie C1, si rivela essenzialmente un allenatore da “salvezze”.
Antonello Cuccureddu, a mio modo di vedere, dagli anni ’50 in poi, è stato il giocatore bianconero più grande tra quelli non famosi che hanno indossato la nostra maglia: sempre a disposizione, sempre pronto, tatticamente indispensabile qualsiasi fosse il ruolo assegnatogli dall’allenatore. Mi piace ricordare il suo commento, qualche anno dopo, al gol dell’esordio: “Ci trovammo sotto, la gente urlava Serie B, Serie B. Nel finale mi giunse fra i piedi la palla buona e infilai Albertosi. Quel gol rappresentò molto, fu una specie di trampolino”. Il suo gol più importante, però, lo fece il 20 maggio 1973. Ne riparleremo.
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