Pietro Anastasi se n'è andato, soffrendo le pene di un male infame e incurabile, la fottutissima SLA. Un addio doloroso, che avrebbe dovuto coinvolgere tutto il calcio italiano, perché Pietro è stato grande protagonista con le maglie del
Varese, della Juventus, dell'Inter e dell'Ascoli, ma anche con quella azzurra della nazionale, per la quale segnò la rete del 2-0 nella seconda finale dell'Europeo 1968, giocata a Roma e vinta, per 2-0 appunto, contro la Jugoslavia.
Quell'Europeo è stato il primo e l'unico vinto dall'Italia. Soltanto 22 giocatori nella storia del nostro calcio possono vantarsi di aver alzato al cielo quel trofeo; soltanto quattro giocatori nella storia del nostro calcio sono a referto come marcatori in una finale dell'Europeo e Anastasi è, in entrambi i casi, uno di questi; record ottenuti a soli vent'anni essendo, fra l'altro, il più giovane calciatore di quella rosa.
Anastasi di cui non si ricorda mai una polemica, mai una presa di posizione pacchianamente partigiana; Anastasi, il Pelè bianco, l'uomo della riscossa del Sud, l'emigrante che lassù al Nord ce l'aveva fatta e per questo fu eletto a simbolo di tanti anonimi emigranti che in lui identificavano la riscossa sociale ottenuta col duro lavoro e con la forza morale di quel duro lavoro. Un uomo per bene e un grande giocatore, che Juventus e Inter, non so cosa abbiano fatto il Varese e l'Ascoli e me ne scuso, hanno ricordato con la fascia nera del lutto al braccio e con un minuto di silenzio.
Onore a loro, ma disprezzo e disonore verso una federazione, o una lega, poco importa, che non ha sentito la necessità di estendere il suddetto minuto di silenzio su tutti i campi e per tutti intendo non solo quelli della Serie A, ma di tutte le manifestazioni calcistiche professionistiche. Una figura di palta evitabilissima, se a comandare il misero calcio italico ci fossero persone minimamente preparate, minimamente coscienti di ciò che sia il rispetto, la cultura, il ricordo doveroso che si deve ad un atleta simile, ad un uomo simile.
Ciao Pietro. Per me non c'è stato un minuto di silenzio per ricordarti, ma tanti, tanti minuti e un lutto nero nell'anima, più che attorno ad un braccio
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