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Editoriale di A. SARTI del 15/12/2008 22:57:55
Il calcio è uno spettacolo?

 

Da sempre è in uso il termine calcio-spettacolo. Credo, però, impropriamente se riferito al senso etimologico e sostanziale del termine, e comunque accettabile solo per dire che una squadra, giocando bene e vincendo ostentando schemi o numeri di classe, manda in estasi i propri tifosi e desta l’ammirazione di quelli avversari.
In realtà uno spettacolo è spesso fine a se stesso, si ferma all’estetica e, tutt’al più, quando “acculturato”, induce e stimola riflessioni che possono riverberarsi in disquisizioni ideologiche e filosofiche.
Pertanto mi vien da ripensare al circo, quando baldi e vigorosi giovani si slanciano su trapezi con attrezzi vari, ma non sono ginnasti, non sono Yuri Chechi e si chiamano artisti.
Quando altri girano coraggiosamente con moto su una ruota sola, ma non sono tanti Rossi Valentino, non si chiamano motociclisti ma artisti. Quando altri fanno mirabilie con un
pallone, non sono tanti El Pibe de Oro e, appunto, non si chiamano calciatori ma…..artisti.
Lo spettacolo solitamente dura circa due ore, anche lì c’è una pausa, anche lì ci sono quasi sempre due tempi: c’è una differenza però, non c’è l’arbitro!
Se poi, malauguratamente, lo spettacolo s’interrompe prima, i bambini, se non si mettono a piangere, di sicuro ci restano male e i genitori mugugnano e protestano.
Ebbene, quando mi capitava di andare al Franchi o in luoghi simili, con moglie al seguito e figlia accanto ed allorché, poche volte per la verità, la palla in qualche modo, anche in maniera infima, finiva alle spalle del portiere viola e quand’anche la partita fosse iniziata da pochi secondi, Dio solo sa che cosa avrei dato perché l’arbitro fischiasse non solo il goal, ma soprattutto la fine.
Sì, sì, la fine della partita.
E tutti a casa, con gioia di tutta la famiglia, e, passato il rischio della ciurma, anche con le bandiere al finestrino! E “chi sé ne frega” dello spettacolo perso!
Anzi se il biglietto era omaggio sarei andato non a ringraziare ma a saldare il conto, anche pagando il triplo del prezzo di vendita.
Ecco perché il calcio non è spettacolo, anche se lo si vuol far diventare, ma era e resta uno sport, in cui uno vince ed uno perde, in cui la consuetudine è norma, civilmente predefinita ma sempre regola e procedura, in cui l’abitudine diventa rito, quasi liturgia.
Or dunque, se tale ipotesi è sconfessata, allora io, a voce alta, mi chiedo: due scudetti revocati!
Uno assegnato al vincitore giuridico di quel campionato, ma l’altro chi l’ha vinto?
Risposta: nessuno!
Eh no, perbacco!
Se un onesto cittadino, appassionato di qualunque squadra, si alza alle quattro dell’unico giorno in cui può riposare, per l’aero che parte alle sei e semmai si trascina la moglie e la figlia che poi il lunedì ha anche l’interrogazione di greco con la maestra integerrima ed inflessibile, che poi sbraita nella confusione dello stadio in cui nessuno lo ascolta, io mi chiedo: quel cittadino ha sbraitato forse al vento?
E i soldi spesi per Sky, pur con l’iva al 10%, per cosa li ha spesi?
E il tempo sottratto al lavoro, ai libri, alla famiglia, all’amante o a chi volete Voi, chi glielo restituisce?
Non son forse questi i costi-opportunità degli amici economisti?
O forse quell’anno, non so quale dei due, l’obbiettivo “dell’imbandieratura” da stadio incitava non alla vincita dello scudetto, ma solo a scampare dalla retrocessione?
Oppure, l’obiettivo d’incollarsi alla tv per ben 36 partite era solo quello di spasimare per la retrocessione, in una specie di gioco che da queste parti si chiama vinci-perdi?
Ma non è correttezza dire prima che, in quell’anno, la spesa per l’acquisto del giornale, relativamente alla pagina sportiva della massima serie calcistica, era motivata non nel merito ma solo nel metodo, ovvero quale complemento pel tempo necessario ad espletare certe funzioni per chi è avvezzo alla lettura in certi luoghi?
Costoro cosa hanno letto?
Insomma, i gestori del vapore, o hanno messo in moto per 36 partite tutto un “ambaradan” per un obiettivo diverso da quello degli altri anni e io non me ne sono accorto, ovvero tale obiettivo non era chiaro ed esplicito fin dall’inizio.
Oppure, terza possibilità, il sistema ha navigato senza rotta.
E cioè: se il primo classificato non ha meritato lo scudetto e così il secondo, e poi il terzo fino alla ventesima squadra, ma, a rigor di logica, ci sarà stato pur qualcuno
cui assegnarlo? Insomma, per un anno intero, di cosa abbiam parlato?
Ed a al povero cittadino, non si dice nemmeno la solita frasuccia “abbiamo scherzato”?
 
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