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Attualità di M. VIGHI del 02/12/2010 10:56:38
La vedovanza in bianco e nero

 

Era il 1999 quando Marcello Lippi, dopo quasi cinque anni di straordinari trionfi ottenuti con la Juventus in Italia, in Europa e nel mondo, rassegnava le dimissioni in seguito ad una roboante sconfitta interna subita contro il Parma. Il suo successore sarebbe stato Carlo Ancelotti, che aveva già mostrato buone qualità nelle precedenti esperienze come allenatore di Reggiana prima e Parma poi. Fu allora che nacque il Comitato delle Vedove di Lippi. Dediti a versare lacrime per il tecnico che aveva lasciato, già convinti che nessuno mai avrebbe potuto eguagliare il suo valore nell’impostare gli schemi e motivare i giocatori, i suoi adepti erano specializzati nel piangere e rievocare il passato vincente anziché concentrarsi sulle opportunità future.
Non si nega, in realtà, che il centrocampista ex Milan e Roma di Reggiolo non aveva ancora raggiunto il grado di maturità, come allenatore, che avrebbe poi toccato nelle esperienze di Milan ed attualmente Chelsea. Alcune scelte, con il senno di poi, sono senz’altro rivedibili. Tuttavia non si può negare che nelle due stagioni e mezzo in cui fu allenatore della Goeba, la media punti ottenuta dalla compagine torinese fu elevatissima, e senza alcune avverse condizioni determinate dal Dio eupalla, come il nubifragio di Perugia, e l’avallo della FIGC sempre pronta a bastonare la Juve ma a concedere sconti alle altre formazioni, come la norma ad hoc per permettere a Nakata di giocare lo scontro decisivo con la Juventus nel campionato 2000-2001, probabilmente la formazione bianconera avrebbe arricchito il suo palmares di due ulteriori scudetti. Ma tant’è: dal primo all’ultimo giorno del suo insediamento Ancelotti fu subito il bersaglio delle Vedove di Lippi. Ricordiamo “Un ma**le non può allenare” come il non plus ultra della verve poetica del Comitato.

Nel 2004 la situazione si ripresentò. Il Lippi-bis, altro che minestre riscaldate, aveva visto una Juventus meno tecnica e spettacolare ma più muscolare di quella del Lippi 1. Tra i tanti nuovi nomi impossibile non ricordare Pavel Nedved, il grande guerriero che avrebbe meritato quella Champions League del 2003 che ancora grida vendetta. Ma la formazione di Torino si smontò nel terzo ed ultimo anno, e dall’urna dei papabili sostituti, che contemplava in particolare tra gli altri Prandelli e Deschamps, uscì fuori il nome di Capello.
Il Comitato delle Vedove di Lippi allora si riunì. Personalmente sospetto che gli adepti, grosso modo, siano stati gli stessi. Fabio Capello vinse due scudetti in due stagioni, e molti sostengono che quella Juventus avrebbe dominato il panorama italiano per anni. Qualcuno si spinge pure oltre, pur se in effetti le esperienze europee sotto la guida del tecnico di Pieris furono tutt’altro che esaltanti.
Le Vedove, coerenti con la loro impostazione, proseguirono imperterrite con i loro striscioni anti Capello per l’intero arco dei due anni.

Nell’estate del 2006 avvenne quello che sappiamo: con un golpe anche abbastanza mal organizzato, giacché ci abbiamo messo un amen a scoprirne tutte le contraddizioni, mezzucci, intrecci e menzogne, la Juventus fu soggetta alla gogna e dovette ripartire dal campionato di serie B. Tra gli altri, la società bianconera perse ovviamente Moggi e Capello. Nacquero così il Comitato delle Vedove di Moggi ed il Comitato delle Vedove di Capello. Il sospetto è fortissimo nel ritenere che tra gli adepti delle vedove di Capello la maggioranza fosse formata da coloro che solo due anni prima si erano uniti sotto l’egida della vedovanza di Lippi.
Come i precedenti comitati di vedovanza, anche questi hanno mantenuto le stesse caratteristiche. Il rimpianto per i successi del passato, ed il giudizio aprioristico che tutto ciò che verrà non potrà mai essere all’altezza di ciò che vi era prima. Nessun tecnico sarà mai bravo come Capello, nessun dirigente sportivo mai scafato ed intenditore vero del pallone come Luciano Moggi. Anche in questo caso qualcuno si spinge oltre, e la vedovanza porta a ritenere che oltre alle competenze nessuno sarà mai juventino quanto Capello (??!?) o quanto Moggi (??!!?).

Ora bisogna intendersi. La vedovanza è una condizione che merita rispetto. Non è imposta dai costumi della società civile, non si consuma nell’apparenza di un velo nero che copre il viso. Le origini della sua nascita sono senz’altro da ricercare nel rispetto e nella riconoscenza per chi ci ha lasciato, e tanto, tantissimo ci ha dato.
La Juventus di Lippi ha fatto sognare i tifosi juventini, le campagne acquisti di Luciano Moggi erano sempre lungimiranti e permettevano al tifoso di viverle con la completa serenità che, alla fine, tutto sarebbe stato fatto nel migliore dei modi, e con i più vantaggiosi movimenti economici.
Ricordiamoci però che smesso il velo, la vita può offrire nuove opportunità, nuovi amori e nuove soddisfazioni. E se ci si ostina a portare quel velo e rifiutare tutto ciò che si incontra perché aprioristicamente si ritiene che nulla potrà mai reggere il confronto con il passato, le occasioni si perdono e si finisce nell’isolamento, piangendosi addosso e confrontandosi solo con sé stessi e con la propria tristezza.
Personalmente, quando la Juventus nel 2006 è stata indegnamente sostituita dalla “new holland” allora sì, in quel momento mi sono sentito orfano. Perché, come spesso si dice, gli uomini passano, ma la Juventus resta. Ed in quel momento, invece, non restava neppure lei. Ma vissi la vedovanza solo in quel momento.
Dal ritorno di Andrea Agnelli in presidenza ho smesso il velo. Inizialmente con prudenza e circospezione, ora, dopo una attenta analisi di questi primi mesi di gestione, con decisamente molta più sicurezza. Ho scelto di crederci, di entusiasmarmi di nuovo, di rischiare di soffrire di nuovo, ma anche di gioire di nuovo. Per carità, dopo la botta ricevuta tengo gli occhi ben aperti, e non mollo mai quella valigia con dentro tutto quello che mi sono portato dietro da quell’estate. Ci sono le emozioni che mi porterò dietro per sempre, ci sono le menzogne che non dimenticherò mai, e c’è uno spazio vuoto da riempire con quello che mi appartiene di quegli anni, e che la corrente un giorno mi restituirà in riva al fiume, portandosi dietro anche altro.
Ma il mio sguardo, oggi, è attento al futuro. Sono fermamente convinto che dopo quello che ho passato, il delitto più grave sarebbe negarmi nuove gioie solo per non aver saputo trovare le forze per rimuovere quel velo.

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