Quando il presidente di GiulemanidallaJuve si è risolto a fondare questa associazione, è andato dove lo portava il cuore.
Certo, nessuno dubita che prima di compiere il primo passo il suo cuore abbia interrogato il cervello per l’autorizzazione a procedere. Una volta ottenuto il consenso, tuttavia, ci sentiamo autorizzati a conti fatti a ritenere la sua decisione come una scelta del cuore.
E tutti noi associati, nel momento in cui abbiamo abbracciato il suo lavoro, e nel quotidiano, quando ci sosteniamo l’un l’altro e ci impegniamo verso la meta che ci siamo prefissati, seguiamo il ritmo imposto dal nostro battito.
Ogni iniziativa, per poter riuscire, ha bisogno della fortunata concomitanza di tanti elementi positivi, tra i quali certamente va annoverata anche la sorte. Nondimeno, la coordinata sinergia di cuore e cervello sappiamo perfettamente essere la testata d’angolo sulla quale edificare la riuscita di ogni progetto.
Ma cosa è giusto seguire, invece, quando ogni giorno siamo impegnati nel proprio lavoro?
La risposta scontata, per chi insegue l’eccellenza, è l’ostinata ricerca della professionalità.
E in cosa consiste la professionalità, se il mestiere che si esercita è quello del giornalista?
Tra le altre cose, non c’è dubbio che massima rilevanza assumano la documentazione della verità, l’accuratezza ed il gusto nella ricerca della parola, la capacità di coinvolgere il lettore e condurlo per mano ad identificare l’essenza dell’articolo.
E’ con questa attenzione che ci accostiamo a considerare a titolo esemplificativo alcune espressioni della stampa italiana nei confronti del processo Gea.
Pochi giorni prima della sentenza, Oliviero Beha prende le distanze dall’atteggiamento dei media nei confronti del processo e lo fa dal suo spazio settimanale all'interno del TG3: «Del processo GEA non si è saputo niente. I mezzi di informazione hanno taciuto su tutto. Nessuno ci ha detto cosa è risultato dalle carte. Al contrario di quanto è avvenuto per il processo della strage di Erba, dove i giornalisti hanno contato anche i peli delle sopracciglia degli imputati». E aggiunge: «Mi piacerebbe sapere su quali basi il PM ha chiesto ben 6 anni per Luciano Moggi, visto che i testi hanno ritrattato tutto».
Parole condivisibili, anche alla luce di quanto poi decretato dai giudici. Eppure lo stesso Beha, nel pieno della bufera farsopoliana, nel giugno del 2006 non aveva esitato dalle pagine del quotidiano "L’Unità" a rilasciare parole al veleno sulla Juventus dell’epoca della triade, avanzando peraltro infamanti allusioni su Pessotto e sulla questione doping, dalla quale ricordiamo che la nostra squadra, atteggiamento mediatico a parte, sotto il profilo penale ne era uscita in maniera pulita: «lo stesso Moggi in un’intercettazione dedicata a una sua telefonata con il segretario generale del Coni, Raffaele Pagnozzi, stupendamente ancora in carica, sembra sistemare una faccenda di doping che riguarda un giocatore della Juventus. Nello stesso pasticcio di Arbitropoli. Toh, è vero, non c’è stato solo lo scandalo degli arbitri, in questo lungo periodo della Triade juventina prima a giudizio sportivo e poi penale, ma anche un enorme bubbone chiamato “doping”, scoppiato grazie a Zeman, il magistrato Guariniello, pochissimi addetti ai lavori, e in fretta coperto» ... «ma di essa si parla poco, di certo non abbastanza» ... «Pensare - e qui veniamo al povero Pessotto e alle cose che forse si possono o debbono dire, e non wittgensteiniamente tacere - che ben 10 sono le pagine di Guariniello dedicate al capitolo del “caso Pessotto”, ai farmaci e alle cure e agli esami, all’epo, al sangue ecc. cui veniva sottoposto il giocatore negli incriminati anni ’90, appunto alla campagna del Coni di cui sopra ridicolmente contraddetta (alla lettera, secondo il ricorso) dalle scelte di Agricola imposte ai giocatori e “in particolare” a Pessotto».
L’attesa della sentenza sulla Gea porta invece Roberto Beccantini a dichiarare dalle colonne de La Stampa che «Moggi è tutt’altro che un santo o un martire, ma neppure quel mostro spietato che la pubblica accusa ha tratteggiato.
Nell’ambito del processo Gea, non credo "all’associazione a delinquere finalizzata all’illecita concorrenza con minacce e violenza" che Luciano Moggi avrebbe organizzato per schiavizzare il calcio italiano. O mi sono perso qualche passaggio o gli undici anni chiesti per la famiglia Moggi (sei al padre, cinque al figlio Alessandro) non stanno in piedi».
Ma in quella maledetta estate, quando si era sbilanciato a criticare l’esito della pronunciazione della Corte Federale, lo stesso giornalista aveva contemporaneamente sostenuto la credibilità della sentenza della Caf: «Nessun dubbio che Giraudo e Moggi giustificassero una sanzione adeguata e, dunque, salata - per essere chiari: la più adeguata e la più salata» ... «Ciò non toglie che il comportamento di Giraudo e Moggi collochi la Juventus al comando della classifica. Ordinavano le "scorte", magari le tenevano in garage, ma sapevano di poterci contare. Bergamo era il fornitore. Dalle carte, non risultano partite truccate. Il trucco era a monte, nella facoltà, preventiva e invasiva, di governare il campionato. Ci sono alcuni che continuano a chiamare "lobbying" robacce del genere. L’arroganza della coppia, che non è un delitto ma aiuta a capire il clima, e spesso a orientarlo, ha fatto il resto».
Non poteva mancare all’appuntamento di celebrare l’esito della sentenza Gea l’attuale direttore di Tuttosport De Paola, che chiosa: «Sorpresa, la cupola non c’è più, o s’è incrinata di brutto. Oggi la sentenza di primo grado del processo Gea spazza via il vertice dell’impianto accusatorio» ... «E’ l’ennesimo colpo di scena in aggiunta ai tanti pasticci di questa pazzesca vicenda
Insomma un vero labirinto che completa un quadro già fosco che ha lasciato tanti dubbi e autentiche ferite nell’animo di molti tifosi. Dopo Andrea Agnelli anche Cobolli Gigli, a proposito di calciopoli, ha parlato di un giudizio affrettato. Che però, aggiungiamo noi, ha lasciato conseguenze indelebili. E non giriamo attorno a un dito sostenendo che se il processo Gea avrà ripercussioni sul processo di Napoli appare innegabile che il giudizio finale del procedimento in mano a Narducci e Beatrice avrà ulteriori ripercussioni su quanto deliberato a suo tempo dalla giustizia sportiva.» ... «Certo, i soliti puristi della materia, diranno che non si possono mettere sullo stesso piano la giustizia sportiva e quella ordinaria» ... «Non vogliamo fare del facile populismo, ma se decadono le accuse ai dirigenti, se viene sbriciolata la tesi della organizzazione perdelinquere e se infine dovesse crollare anche l’ultimo baluardo dell’accusa (la corruzione arbitrale), beh allora si dovrà riparlare di tutto. Eccome se ne dovrà riparlare».
Le parole di De Paola non ci fanno tuttavia dimenticare che trattasi dello stesso giornalista che nell’estate del 2006 scriveva per il quotidiano sportivo rosa, gruppo RCS, che senza remore aveva cavalcato l’onda giustizialista nei confronti di Moggi e della Juventus, non risparmiando accuse e bassezze di ogni sorta, dal dossieraggio alla pubblicazione delle intercettazioni, violando contemporaneamente costituzione e codice deontologico.
Cosa ha spinto a questo radicale mutamento di posizione i giornalisti sopra citati?
A noi che tanto abbiamo sofferto e fin dal primo momento sostenuto l’illegittimità delle pene subite, verrebbe spontaneo giudicarli severamente ed accusarli senza esitazione di seguire il vento.
Peccheremmo tuttavia di arroganza e supponenza se volessimo con certezza asserire questa riflessione come verità insindacabile.
La revisione delle proprie idee può essere sinonimo di umiltà e di intelligenza.
Come disse una volta Indro Montanelli: “solo i fanatici e le mummie non ondeggiano mai”.
E del resto, come dichiarato da Italo Cucci, che va aggiunto agli “oscillatori”, «forse, parlando della giustizia sportiva, si è penalizzata troppo la juventus» ... «il tempo ha aggiunto molti dettagli rispetto all'inizio» , terminando sulla Gea che «si è distrutta un'azienda che faceva solamente il suo lavoro».
Nemmeno la sentenza è invece sufficiente a far mutare l’atteggiamento giustizialista dei quotidiani di punta del gruppo RCS nei confronti di Moggi e di farsopoli.
Marco Imarisio, dalle pagine del Corriere, sceglie di dar voce all’accusa. Punta l’indice contro l’omertà, e riporta le considerazione del pm (oggi anche presidente dell’ANM) Luca Palamara sulla presunta assenza di collaborazione dei calciatori e sulla possibile falsa testimonianza di alcuni di essi.
Ma ancora più in là si spinge Repubblica, che per pugno del giornalista Bocca pubblica un articolo nel quale vi è più spazio al tentativo di ristabilire la bontà della presunta esistenza di una Moggiopoli che non alla sentenza del processo Bea. «Si fa troppo presto soprattutto a dimenticare che questa sentenza è solo un piccolo pezzo di questa sporca storia. Prima - due anni e mezzo fa - c'è stata una sentenza sportiva che ha condannato Moggi a 5 anni di squalifica e richiesta di radiazione. Varie sentenze amministrative che hanno respinto la riabilitazione. E siamo in attesa del processo di Napoli, dove c'è il grosso del marcio di Calciopoli. Sempre con Moggi al centro, ma stavolta insieme ad arbitri, designatori, presidenti e compagnia bella».
Non lascia scampo all’interpretazione il pezzo di Bocca, come testimonia l’insistenza della terminologia giustizialista: si passa da “sistema Moggi” a “il grande intrallazzatore Moggi” e “questo lo sport lo ha già condannato ,fortunatamente”, passando da un “avere una frequentazione tale con i designatori Bergamo e Pairetto da ordinare gli arbitri come una pizza al tavolo”, passaggio peraltro palesemente falso, smentito dalla stessa giustizia sportiva, dove persino la scemenza del “pilotare le griglie” (ben diverso da chiedere gli arbitri) è caduta.
GiùlemanidallaJuve, che dal primo momento ha denunciato l’illegittimità di farsopoli, va’ dove la porta il cuore.
La stragrande maggioranza della stampa, passata improvvisamente da un atteggiamento giustizialista ad uno garantista, non ci permettiamo di giudicarla: va’ dove la porta il vento o dove la porta la riflessione e la scoperta di nuovi elementi o alla ricerca della condivisione o chissà dove altro... che andrebbe valutato caso per caso.
Il gruppo RCS, che dal primo momento ha sostenuto un atteggiamento giustizialista nei confronti della Juventus e dei suoi ex dirigenti, sembra invece non voler mutare la propria linea di pensiero nemmeno di fronte all’esito della sentenza Gea.
Va’ dove lo porta... cosa? O chi?
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