Quando si parla di Roberto Bettega si parla inevitabilmente di Juventus, e non potrebbe essere diversamente. Se si eccettua un anno in prestito al Varese in serie B e la stagione del commiato calcistico vissuta a Toronto, Roberto è cresciuto nelle giovanili della Juventus, si è formato come calciatore in bianconero, e solo della casacca della Vecchia Signora si è sempre vestito. Così, anche terminata la carriera da calciatore ed intrapresa quella da dirigente, Bettega non ha mai preso in considerazione l’ipotesi di lavorare per altre società. E d'altronde già quando era ragazzo, all’inizio della sua carriera negli anni settanta, dichiarava apertamente nelle interviste che la Juve era la sua squadra del cuore e lui non poteva che essere il massimo della felicità per poter realizzare il sogno di indossarne la maglia. Un ritornello che Bobby-goal, come presto lo definirono i suoi tifosi, era destinato a ripetere per sempre. A 27 anni il Guerin Sportivo, all’epoca ancora una rivista arricchita da talentuose firme, già lo dipingeva come il futuro dirigente. Del resto, anche quando non richiesto, il senso di Bettega per la squadra sembrava sempre venire prima rispetto a quello per sé stesso: o almeno era evidente come per lui le due strade combaciassero. Esemplificativa in una intervista la risposta alla domanda “come sarà il 1978 per Bettega?” : «Nel 1978 io e la Juventus (
parlo anche della squadra perché mi identifico in essa) cercheremo di raggiungere altri, prestigiosi traguardi. Forse ripetere il 1977 sarà impossibile, ma noi cercheremo di riuscirci.” E ancora nel 2009, nel corso della conferenza stampa in occasione del suo discusso ritorno alla Juventus, dichiarava: “
Ho sempre considerato la Juve la realizzazione dei miei sogni. Il calcio per me è la Juve e non vedo alternative. Conoscete tutti il mio rapporto con questa squadra, con questa città”.
Quando si parla di Roberto Bettega si parla inevitabilmente di Juventus. E non potrebbe essere diversamente perché Madama ha sempre eccelso nel panorama sportivo per i numeri, figli di grandiose vittorie in Italia, in Europa e nel mondo, e per lo
stile dei suoi dirigenti, calciatori e tifosi.
I numeri dicono molto: 481 partite con la Juventus, quarto di sempre dopo Del Piero, Scirea e Furino; 178 reti, terzo di sempre dopo Del Piero e Boniperti, avanti a lui di una sola segnatura. Ma
i numeri erano anche quelli che mostrava in campo: dall’abilità nel gioco con i piedi a quello straordinario stacco che gli permetteva tantissimi goal di testa che forse furono il suo maggiore marchio di fabbrica. Forse. Perché se è vero che di testa realizzò la sua prima rete all’esordio con la maglia bianconera nella gara contro il Catania, ed altrettanto vero è che realizzò goal da cineteca come quello di tacco al Milan a San Siro, la qualità con cui tutti i più grandi intenditori di calcio hanno sempre dipinto Roberto Bettega è stata l’intelligenza, da Altafini, a Crosetti, a Liedholm, a Bearzot, a Trapattoni, a Caminiti, a tutti gli altri. Bettega è stato un vero mito, e per tutti i giocatori dell’epoca nonché per i giovani calciatori in erba era il vero punto di riferimento. Tra i tanti mi piace ricordare Roberto Mancini, uno che da ragazzino tifava Juve ma che il futuro gli avrebbe riservato una bella etichetta di antijuventino: “Il mio Dio era Bettega, faceva goal stupendi…ne faceva fare un sacco ed era troppo più intelligente degli altri, giocava da padreterno”.
Quell’intelligenza si rese palese nel ragazzino Bettega fin da subito, andando di pari in passo con quello stile impareggiabile di
uomo decisamente atipico nel mondo del pallone, colto e raffinato, persino avaro nell’uso delle parole, capace di usare l’ironia e di respingere con garbo ogni forma di divismo.
La vita non mancò di riserbargli molte sorprese, ma lui ne fu sempre all’altezza. Sandro Ciotti, compianto giornalista sportivo di eleganza nello stile e ricchezza di contenti, laziale di fede ma ottimo super partes nell’esercizio della professione, lo descriveva nel 1978 sulle pagine del Guerin Sportivo come un “giocatore e uomo esemplare, senza pedanterie, trasparente senza stucchevoli ingenuità, disinvolto senza concessioni al gigionismo”. E quando si presentò l’ostacolo della tubercolosi, nel pieno dell’ascesa calcistica di Bobby, usò queste toccanti parole per descrivere la reazione di Penna Bianca: “A giudicare da come ha reagito ad alcuni giochetti che il destino ha deciso a suo tempo di giocare sulla sua pelle, gli man¬ca anche quel senso del melodramma che sta all'italiano come il latte alla mucca”.
Bettega è sempre stato questo, l’incarnazione di quello stile di cui il popolo juventino va fiero. La sua reazione alla tubercolosi fu quella di sorridere e quasi rassicurare lui i giornalisti ed i tifosi.
Anche quando un nuovo infortunio sembrava averne posto fine alla carriera agli inizi degli anni ottanta, Bettega preferì alle parole i fatti, stupendo nuovamente tutti e recuperando.
A poche giornate dal termine della stagione 1980-81, in un concitato finale di stagione che condusse la sua Juve allo scudetto, fu accusato dai giocatori del Perugia di aver chiesto loro di farlo segnare. Bobby Goal ha sempre negato quell’episodio. E tuttavia, come poi sarebbe avvenuto nuovamente in epoche molto recenti, già la Giustizia Sportiva aveva dato prova di prediligere la squadra sabauda come vittima di decisioni quantomeno discutibili. Sulla base delle dichiarazioni di Celeste Pin, allora difensore del Perugia, venne squalificato per tre mesi, ovvero per le tre partite conclusive del campionato, due delle quali sarebbero state scontri diretti. Difficile comprendere come mai la parola di Pin fosse credibile e non invece quella di Bettega. Difficile comprendere come mai in epoche recenti, e precisamente nel campionato 2002, Materazzi si rese responsabile dello stesso atteggiamento durante la famosa partita Lazio-Inter del 5 maggio 2002, non venendo però mai sanzionato per questo. Ma tant’è, ancora una volta Bettega rispose con i fatti, accettando il verdetto pur sempre proclamando la propria innocenza, e ritornando puntuale a segnare sul campo.
Anche come dirigente della Juventus, dal 1994 al 2006 nella famigerata Triade, le soddisfazioni per Bettega non sono mancate: 7 scudetti, 1 coppa Italia, 4 supercoppe italiane, 1 coppa Intertoto, 1 coppa Uefa, 1 Champions League ed una Coppa Intercontinentale.
Alla Juve aveva dedicato tutta la sua vita fino a quella primavera del 2006, eppure la Juve non si difese dalle accuse di un processo ridicolo (Andrea Agnelli dixit) e anche Roberto si è ritrovato con una denuncia contro ignoti, ovvero lui insieme a Moggi e Giraudo, dalla quale ne è uscito ancora una volta pulitissimo.
Nemmeno dinnanzi alla sua traumatica uscita dalla Juventus abbandonò il suo stile: solo lacrime, di amore ferito. Di fronte alle telecamere non lasciò mai se non qualche sporadica dichiarazione sulla bontà e liceità dei trofei conquistati. Di fronte alla pubblicazione di telefonate che si potrebbero definire quantomeno antipatiche, riguardanti la sua famiglia, mai un’accenno di ritrosia nei confronti di chi ne pronunciò le parole.
Quando l’era della New Holland lo scaricò addossandogli ignominiosamente anche colpe discutibili, come l’avallo degli infelici acquisti di Tiago e Almiron, Bettega si limitò a scuotere la testa durante un cda. Non una parola, solo qualche sguardo di infelicità.
Come se l’amore verso la Juventus non fosse mai venuto meno neppure in quei frangenti, rifiutandosi di immedesimare la Juve con i suoi rappresentanti di quei giorni (operazione che hanno del resto fatto in molti…).
Poi,
nel 2009, quel ritorno proprio tra le braccia dei carnefici suoi e della Juventus:
un ritorno che nessuno ha mai ben compreso, e che lui, fedele al suo stile ed alla sua storia, non ha mai tenuto a precisare nei contorni.
Oggi è il 27 dicembre 2010, e Roberto Bettega compie 60 anni.
Auguri Roberto! Dal profondo del cuore, ti auguro di passarlo serenamente con la tua famiglia e i tuoi amici. Quella famiglia che hai sempre custodito gelosamente, lontano dai riflettori e lontano dalla città, non solo per curarti ai tempi che furono ma soprattutto per ricercare quella tranquillità e calore che gli uomini saggi riconoscono come bene primario.
Questa Associazione non ha mai nascosto l’affetto nei tuoi riguardi. Non l’ha nascosta ai suoi inizi, tributandoti larghi applausi nel corso dei Consigli di Amministrazione.
Non l’ha nascosta dalle mani del suo presidente, quando nel 2009 ti è stata consegnata la tessera di socio onorario. E solo perché hai lasciato il tuo posto prima della fine non si è fatto in tempo a consegnarti anche quella di quest’anno.
Non l’ha nascosta all’interno del suo sito internet, tributandoti un lungo video, cliccatissimo su youtube.
Non l’ha nascosta nei suoi editoriali. Questo è il quarto a te dedicato. In precedenza era stato
Gianluca Galazzo, nel marzo del 2009, e successivamente
Franco Del Re in due editoriali a breve distanza l’uno dall’altro, che hanno incorniciato il tuo discusso ritorno alla corte in quel momento di Blanc. Una lettera piena di commozione quella di Gianluca, due piene di angoscia e smarrimento quelle di Franco, che avrebbe voluto capire il perché di quella scelta, un perché che ancora oggi molti di noi faticano a comprendere.
Chissà se un giorno vorrai rispondere alle nostre domande, che indubbiamente restano. Alcuni soci hanno vissuto la tua scelta come un tradimento: e quando a tradire è un amore si arriva a soffrire e a rovesciare il sentimento. Così il tuo approdo alla trasmissione sportiva di Mediaset è stato anch’esso fonte di discussioni, così come i tuoi interventi, apparsi ai più troppo blandi nelle prese di posizione verso il glorioso passato degli anni della triade, e con qualche critica di troppo nei confronti della gestione attuale. Salvo poi apprezzare la tua solita ironia con la quale hai bacchettato gli avversari della seconda squadra di Milano invitando il patron nerazzurro a battere di nuovo alla porta di Palazzi in caso di mancato successo internazionale contro gli improbabili avversari coreani ed africani.
Io voglio solo farti gli auguri, sperando un giorno di incontrarti di nuovo di persona, chissà, magari chiarendo quella strana parentesi. E’ già successo sai? Nel ritiro di Salice Terme, durante una amichevole. A pochi metri da te, persi tutto il primo tempo a guardarti, cercando il coraggio per chiederti un autografo e scattare una foto insieme. Alla fine mi convinse mia moglie, estenuata.
Sai, anch’io sono fra i tanti cresciuti nel tuo mito. Il mio papà voleva persino battezzarmi Marcello Roberto Bettega, e solo mia madre lo fece desistere. Te lo dissi quella sera mentre mia moglie ci scattava la foto, e tu un po’ imbarazzato mi risposi “sarebbe stato sufficiente Roberto”.
Quella foto ogni tanto la guardo. Perché il calcio regala quelle emozioni che ti riportano bambino, e i campioni che ti segnano li senti un po’ tuoi, come degli affetti, anche se razionalmente è chiaro che sia assurdo. E ogni volta che la guardo rido da solo, perché sembro davvero un ragazzetto con dieci anni di meno, dietro quel sorriso ebete che mi ritrae affianco al campione di mio padre, divenuto nel tempo anche il mio.
Per me, e per molti altri, nessuno come te potrà mai impersonificare la Juventus ed il suo stile. Vorrei solo che fosse così per tutti, per renderti giustizia. Ma questo non dipende da me. Forse dipende da te, dalla voglia e da quanto e se riterrai un giorno opportuno raccontare il perché delle tue ultime scelte. Se tu lo vorrai ricordati che in questa associazione troverai sempre e solo braccia aperte pronte ad abbracciare un grande campione, dentro e fuori dal campo.
Auguri Roberto. Diciamolo insieme, perché il tuo cuore batte non meno del mio a pronunciare quelle parole, ed oggi è il tuo compleanno:
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