Il Delle Alpi, croce e deliziaIn tema di stadio,argomento di grande attualità per il tifo juventino, riprendiamo un vecchio articolo pubblicato da Hurrà Juventus nel mese di ottobre del 1990 a firma di Maurizio Crosetti (si proprio lui).
L’argomento che fa discutere è il nuovo Delle Alpi: dalla struttura al nome, dai costi dei biglietti alla progettazione.
Problemi conosciuti e valutabili da subito, che hanno portato negli anni alla sua demolizione e alla nascita, sulle sue ceneri, del moderno “Juventus Stadium” inaugurato proprio di recente.
Sopra il nuovo stadio della Juve
Tutto si può dire, dell’impianto che ha sostituito il Comunale, meno che non faccia discutere. Cerchiamo di svelare pregi e difetti del nostro moderno “teatro”… E’ il più bello d’Europa. E’ pensato solo per grandi rappresentazioni. E’ un’astronave atterrata su un prato verde. Oppure: è un luogo d’elite, suggestivo ma inadatto al calcio.
Splendido da vedere, sbagliato “per” vedere. E’ costato troppo, era indispensabile, se ne poteva fare a meno, è un’ingombrante eredità del Mondiale.
Tutto si può dire ( e si è detto) a proposito del nuovo stadio di Torino, meno che non faccia discutere. Il dibattito s’è aperto almeno anni prima che fosse posato il primo mattone, quando si pensava che potesse bastare una ristrutturazione del vecchio e glorioso Comunale.
Quindi la Fifa decisa che l’Italia avrebbe ospitato i Mondiali e allora si volle agire alla grande: ma la scelta di un impianto “ex novo”, anziché mettere tutti d’accordo scavò voragini laddove esistevano fossi, separò invece di unire.
E questo concerto grosso di voci, talora di urla, lungi dal placarsi prosegue mentre lui, il gigante di cemento e acciaio, si concede ogni domenica nella sua indiscutibile bellezza di forme.
Che lo stadio sia “mondiale”, nessun dubbio. Ha un nome un po’ retrò – Delle Alpi, anche se si trova al centro di una pianura che più piatta non si può – e nelle occasioni in cui è strapieno può contenere 70.024 persone sedute e al coperto. E’ un “catino”senza soluzione di continuità, parzialmente scavato con tre anelli sovrapposti di gradinate. Più croce che delizia, la pista d’Atletica che allontana il pubblico dal terreno di gioco e quindi ne compromette la visuale (lassù, in cima al terzo anello, la partita la si indovina, come del resto nelle prime sei file più basse per le quali si è deciso di non vendere i biglietti, tanto non li avrebbe acquistati nessuno). Ma nonostante qualche macroscopico difetto, i pregi non mancano: lo stadio è confortevole, facile da raggiungere, vicino ad autostrade e tangenziali, suggestivo, persin troppo bello a vedersi.
Parliamo del progetto. Nel 1984 la città di Torino decide di ristrutturare il Comunale, inaugurato nel lontano 1933 (Juventus-Ujpest Dozsa 6-2). Un anno più tardi viene conferito il progetto esecutivo: il costo, 30 miliardi. Ma nell’86l’amministrazione comunale cambia idea: meglio uno stadio nuovo di zecca. La giunta individua alla Contina delle Vallette, comprensorio di 72 ettari di proprietà comunale, la zona che dovrà ospitare l’impianto. Scatta il bando al quale rispondono otto società tra cui la Fiat e la Rozzi Costruzioni. Proprio il presidente dell’Ascoli, fedele al suo cliché, scatena la polemica affermando: “Come si può battere la concorrenza della Fiat a Torino?”. I fatti tuttavia, lo smentiscono: la commissione comunale incaricata sceglie il progetto dell’Acqua Pia Antica Marcia, società romana (da qui altre discussioni in ambito cittadino) alla quale spetterà per 30 anni la gestione dell’impianto, che alla scadenza passerà per sempre al Comune.
Sono tre i “papà” del nuovo stadio, tutti piemontesi: si tratta degli architetti Sergio Hutter e Toni Cordero e dell’ingegner Francesco Ossola, oltre ovviamente ai loro numerosi collaboratori. La convenzione definitiva viene approvata il 3 giugno 1987 dopo una visita del vicepresidente della Fifa, neuberger, che chiede la consegna dello stadio due mesi prima dell’inizio di Italia 90.
Un ritardo dei permessi degli enti (quello del Coni-Cis arriva solo nel marzo ’88) impone un notevole ritardo all’inizio dei lavori, che prendono il via soltanto nel giugno dello stesso anno con lo scavo di 500 mila metri cubi di terreno.
Nel gennaio ’89 cominciano ad essere posate le gradinate e a maggio si iniziano a montare i pennoni che reggono la copertura, anzi la “tensostruttura” ( che in prossimità delle curve ricorda la “vela” in plexiglas dello stadio Olimpico di Monaco).
Nel gennaio ’90 la copertura viene piazzata e a marzo è la volta del prato, dei sedili per il pubblico e dell’impianto di illuminazione. Tutto è pronto, con qualche apprensione e la necessità di lavorare anche di notte, alla luce delle fotoelettriche, per non consegnare in ritardo lo stadio alla Fifa.
Le polemiche. Tante, forse troppe. Alcune motivate, altre strumentali e pretenziose. Il primo dibattito riguarda la necessità di costruire anziché ristrutturare: comunque le cifre dell’intervento sul comunale, irrimediabilmente segnato dal tempo, si rivelano subito altissime. Quale stadio per Toirno? Con o senza pista d’atletica? Per il calcio o anche per altro?
Viene scelta la seconda soluzione, che adesso sembra penalizzare troppo il football: della grande atletica, a torino non s’è vista neppure l’ombra e i megaconcerti stanno vivendo la loro stagione più amara (si pensi al fiasco di Madonna, con i biglietti regalati dall’organizzazione ai Cral aziendali pur di non avere lo stadio semivuoto).
Un altro tema scottante è l’individuazione della zona: centro o periferia? La Sovraintendenza alle Belle Arti mette il veto all’abbattimento del Comunale e nello stesso tempo l’amministrazione cittadina decide di valorizzare un’area popolare, quella delle Vallette, celebre fino a quel momento solo per le case-ghetto, il supercarcere dei processi antiterrorismo e il mattatoio.
Si continua per mesi a discutere e litigare
sulla scelta del progetto (con ricorso alla magistratura da parte di alcuni esclusi),
sui tempi d’esecuzione, ovviamente sui costi (ci arriviamo tra un attimo), per finire
sul nome.
Come battezzare l’impianto mondiale? La tragica fine di Scirea sembra indicare la strada più giusta e logica d percorrere, anche perché Gaetano è un simbolo assoluto dello sport, non solo dei colori bianconeri.
Ma Comune e Acqua Marcia hanno il timore di essere impopolari di fronte ai granata, che spingono per il nome Grande Torino. Non piace neppure l’idea più neutrale di intitolare lo stadio all’ex tecnico azzurro Vittorio Pozzo. A questo punto di rischia una clamorosa e grottesca caduta di gusto, quando un gruppo di “specialisti”dell’immagine e della pubblicità, su incarico dell’Acqua Marcia, elabora una rosa di possibili ( e ridicoli)nomi: si va da Agorà a Zeus, da Summit a Eracles. C’è infine un’ultima proposta, alla francese (ma perché, poi?): Des Alpes, certo più adatto ad un alberghetto montano che ad uno stadio ribollente di passione. Tuttavia il nome, italianizzato in Delle Alpi, sembra adatto e così sia.
I costi? Il progetto iniziale prevede una spesa di 60 miliardi, 30 dei quali li deve sborsare il Comune che mette inoltre a disposizione l’area su cui edificare e copre i costi di urbanizzazione.
Ma lo stadio di miliardi ne costa alla fine ben 160: insomma, centomila milioni in più a carico della società costruttrice che non ha nessuna intenzione di rimetterci. Da parte sua , l’amministrazione non intende tirar fuori altro denaro pubblico: la “lite”dovrà essere risolta da un arbitrato e pare che si andrà le lunghe.
E’ giusto parlare anche
degli esborsi, piuttosto alti a carico del pubblico. I biglietti sono salati e non si tratta solo di un fenomeno torinese. Particolarmente difficile risulta la vendita delle cosiddette tribune-vip (1.600 posti atre milioni e 600 mila lire l’uno) e dei diciannove palchi “supervip” completi di frigobar, telefono e tivù (210 milioni l’anno!).
Il più bello spettacolo del mondo sta diventando anche il più caro.
Maurizio CrosettiI precedenti appuntamenti: Cosa scrivevano nel 1967? La mafia del pallone...Commenta l'articolo sul nostro forum!