Per chi, come il sottoscritto, non ha mai avuto la sfortuna di frequentare le aule di giustizia, questo lustro è servito a scoprire tanti aspetti che le contraddistinguono. Chi immaginava che un testimone fosse libero di sparare balle impunemente, di fronte ad una giuria? Chi sapeva che, al contrario di tutti gli altri ambienti chiusi d’Italia, nei palazzi di giustizia si potesse fumare liberamente? Chi si aspettava richieste di ricusazione ripetute del giudice, da parte dell’accusa anziché della difesa? Ma soprattutto, chi pensava che in Italia si potesse essere condannati anche quando l’innocenza è lampante? Certo, mi si può ribattere: “Tu non sei un addetto ai lavori, per cui non hai i titoli per determinare l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno”. Vero. Ed è anche vero che non sono un meteorologo. Ma se guardo fuori dalla finestra e vedo un bel cielo sereno con un sole splendente, avrete una bella voglia a convincermi che stia piovendo! L’inesistenza dell’associazione a delinquere era evidente quanto il sole che brillava sul San Paolo domenica scorsa. Eppure a Napoli c’è chi, a suon di miracoli, vuole contendere il primato a San Gennaro: dopo la partita rinviata per sole, abbiamo scoperto un nuovo genere di associazione a delinquere, in cui i partecipanti anziché guadagnarci qualcosa, in generale ci rimettono. Eh già, perché, al di là di tutte le elucubrazioni sulle schede svizzere e le palline dei sorteggi, c’era un dato fondamentale su cui tenere conto: quanti soldi si misero in tasca gli arbitri (cioè coloro che operavano sul campo e rischiavano di più) per questa associazione? Niente. Nulla. Nisba. A parte il regolare compenso percepito per la loro attività, tra l’altro inferiore a quello di tanti colleghi neppure sfiorati dall’inchiesta, non esistono strani movimenti sui conti correnti, controllati sia dalle autorità che da altri strani “enti” che in Italia sembrano potere operare liberamente, senza particolari preoccupazioni.
Ma è inutile cercare ragioni in una vicenda pazzesca, che dimostra solo la verità delle sacre scritture: la giustizia non è di questo mondo. E, anche se lo fosse, non passa dalle aule di giustizia italiane. Ora ci possiamo fare mille domande. Su tutte, ci si può chiedere se la linea difensiva adottata dalla maggioranza degli avvocati degli imputati sia stata corretta. Moggi, da uomo di calcio, sa che quando si perde, al di là degli episodi e delle ingiustizie, bisogna anche cercare i propri sbagli. E allora forse c’è da chiedersi se l’idea di attaccare a testa bassa tutto il mondo sia stata controproducente. Certo, da juventini dobbiamo ringraziare Luciano per essersi impegnato ad andare oltre la propria difesa, denunciando un malcostume dilagante e i misfatti dei sedicenti “onesti”, che da troppo tempo ci facevano la morale. Ma spostare l’attenzione sugli altri è stato utile agli imputati? Se sono accusato di avere rubato un’auto, non posso difendermi dicendo che oltre a me lo facevano anche tutti i miei vicini di casa.
Ma questo è solo un appunto, tra l’altro dettato più dalla delusione e dall’affetto, che da una reale convinzione. Perché poi, se si ripensa a tutto quanto accaduto in questi anni, sembra che neppure una bomba atomica avrebbe potuto scalfire le marmoree certezze dei forcaioli anti-juventini, ai quali si sono aggiunti anche i giudici di Napoli. Abbiamo scoperto scandali pazzeschi, senza che nessuno battesse ciglio: una struttura spiava liberi cittadini ed andava a braccetto con i poteri forti del nostro Stato, eppure nessuno sembra meravigliarsene. Quella stessa struttura era legata mani e piedi a coloro che maggiormente hanno beneficiato delle traversie degli imputati di Napoli, eppure giornali e tv non trovano l’argomento interessante. Molti imputati di Napoli furono spiati da quella struttura, eppure nessuno ne parla. Insomma, in Italia è normale per tutti che qualcuno possa fregarsene bellamente di tutte le leggi di ogni ordine e grado. Ma poi, se un paio di giornali con il giusto pedigree segnalano un mostro da bastonare, tutti i lettori appecoronati preparano i sassi da scagliare e gioiscono nel vederli distrutti.
Questa sentenza è a suo modo perfetta: distrugge chi andava distrutto (Moggi su tutti) e assolve chi aveva il potere di fare male (la società Juventus). E allora chi se ne frega se è praticamente impossibile immaginare una realtà in cui Moggi e Giraudo siano colpevoli, mentre la Juve era innocente? La nostra nazione è sulla via della rovina. E questo è un dato di fatto, che va ben al di là di quanto accaduto nelle aule di giustizia napoletana. Ma anche quest’ultimo episodio è un sintomo evidente dello stato misero in cui tutti noi versiamo: dove può andare a finire un popolo che festeggia, anziché indignarsi, per un’ingiustizia tanto evidente?
E, a proposito di festeggiamenti, la ferita più grande per uno juventino non è stata la condanna subita da chi ha fatto la storia recente della Juve, portandola in cima al mondo, ma la reazione della stessa società, il cui avvocato in tribunale ha esultato senza ritegno e il cui gelido comunicato ha scaricato per l’ennesima volta uno dei pochissimi che in questi anni ha fatto di tutto per difendere, oltre se stesso, anche i colori bianconeri. La gioia della società per la propria assoluzione ed il contemporaneo completo disinteresse per il destino di uno dei suoi più importanti protagonisti del recente passato dimostrano perfettamente quale sia il nuovo corso juventino: nonostante i grandi proclami e le mirabolanti promesse, quel che conta è solo il freddo tornaconto personale. Evidentemente, i discendenti di Gianni e Umberto Agnelli non hanno ereditato dai propri avi la cosa più importante: l’amore per la maglia bianconera e per chi l’ha indossata con onore, magari anche solo idealmente. Si tengano il loro nuovo stadio: forse lo riempiranno di persone, difficilmente di passione.
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