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Editoriale di I. SCALISE del 14/11/2011 11:03:17
La vittoria di Pirro

 

«Gli eserciti si separarono; e, da quel che si dice, Pirro rispose a uno che gli esternava la gioia per la vittoria che “un'altra vittoria così e si sarebbe rovinato”. Questo perché aveva perso gran parte delle forze che aveva portato con sé, quasi tutti i suoi migliori amici e i suoi principali comandanti; non c'erano altri che potessero essere arruolati, e i confederati italici non collaboravano. Dall'altra parte, come una fontana che scorresse fuori dalla città, il campo romano veniva riempito rapidamente e a completezza di uomini freschi, per niente abbattuti dalle perdite sostenute, ma dalla loro stessa rabbia capaci di raccogliere nuove forze, e nuova risolutezza per continuare la guerra.»

È così che Plutarco ci tramanda la famosa “vittoria di Pirro” che tante volte nominiamo e abbiamo sentito nominare per descrivere quelle battaglie da cui il vincitore esce peggio dello sconfitto. Battaglie vinte inutilmente.

Quella a cui abbiamo assistito martedì scorso è una classica vittoria di Pirro. La società, grazie al lavoro svolto dai legali di Luciano Moggi, arringhe finali comprese, è riuscita a rinviare la minaccia dei risarcimenti mentre l'ex direttore generale e amministratore incassava una condanna dietro l'altra. Ha esultato come un praticante il legale che di quel processo è stato per anni poco più di uno spettatore. Per il troppo entusiamo nel riferire a Pirro cos'era successo, ha rischiato il caldo abbraccio, fuori dall'aula, di quei tifosi che eppure avrebbe dovuto rappresentare e rendere orgogliosi.

Proprio come duemila anni fa, gli amici e i comandanti erano perduti, gli eserciti divisi. Mentre, dall'altra parte, i comandanti nemici ritrovavano la forza delle tesi iniziali e guadagnavano ampio spazio su televisioni e giornali. Si è detto e si dirà ancora che la società è stata necessariamente cinica. Che cinico è stato lo spettatore nella sua esultanza. Che cinico è il comunicato con cui Moggi viene lasciato solo alla sua condanna. Come se il cinismo possa essere confuso con l'idiozia.

La storia ha visto naufragare sodalizi ben più forti e duraturi di quello in essere tra la Juventus e Moggi. Può succedere di non andare più d'accordo, di avere interessi diversi, di separare le proprie strade. Non c'è nulla di male. Pessimo e inutile invece è il tentativo di cancellare pubblicamente un dirigente che ha contribuito a rendere forte la Juventus e non solo per quegli ultimi due scudetti contestati.

Tutte le società devono fare i conti con quella che è la reputazione, qualcosa che non costruisci in un giorno ma che in un giorno puoi distruggere. Dal 2006 ci sono una famiglia e un ufficio legale che, a fronte dei numerosi patteggiamenti e di altri comportamenti discutibili, stanno distruggendo una reputazione costruita in oltre un secolo di storia. Anche questi sono danni e chissà che non s'aggiungano alle inevitabili cause civili che pioveranno sulla società se il reietto Moggi e il trasparente Giraudo non riusciranno a dimostrare la propria innocenza entro gli ultimi due gradi di giudizio. Poiché quell'esclusione in sede penale non esclude richieste future in altra sede con l'aggiunta di nuove parti lese.

Fa specie che non abbia subito proferito parola in merito Andrea Agnelli. Uno che, prima di ringraziare John Elkann per la sua - ben nascosta - determinazione, dovrebbe ringraziare lo stesso Luciano Moggi che ai tifosi juventini l'ha raccontato e raccomandato. Alla fine un altro degli amministratori assunti dal padre è stato condannato per associazione a delinquere. Umberto Agnelli, per la procura e per i giudici napoletani, assumeva dei delinquenti della peggior specie, di quelli che barano nelle competizioni sportive. E lo staff legale del figlio esulta in aula nell'apprendere la notizia.




Pubblicato da CalcioGP n.38
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