Innanzitutto lasciatemi fare una doverosa precisazione: così come non ho mai creduto a certi giocatori che, alla firma di un nuovo contratto, dichiarano di aver sempre tifato fin da bambini per quella squadra, anche se vivevano a nove fusi orari da lì, allo stesso modo non ho mai creduto e non credo tuttora a certi innamoramenti improvvisi per il nostro "paese d´o sole e d´o mare" da parte di calciatori provenienti da altre nazioni.
Se qualcuno fosse rimasto particolarmente turbato da questa mia rivelazione, beh, credo sia d´obbligo, per completezza d´informazione e non per cinismo, rivelare a costoro che il vecchio trippone di rosso vestito che scende dai camini a Natale non esiste.
E se per caso insistete, dicendo che l´avete visto, beh, o dovete smettere di bere, o è l´amante di vostra moglie.
Fatta questa doverosa premessa, volevo dire anche io la mia sulla questione "Oriundi", che molti, da molto tempo, identificano con la vicenda Amauri.
Voglio giocare con l´Italia, no, col Brasile, no, con l´Italia... "Franza o Spagna basta che se magna", diceva un saggio motto popolare, e mai come in questo caso si dimostra come certi detti grondino letteralmente saggezza.
Infatti il nostro eroe, a seguito del matrimonio con una ragazza che andava a scuola con la figlia del panettiere che era amico di un tale che una volta era venuto in vacanza in Italia, ha avviato le pratiche per ottenere il passaporto Italiano e ha cominciato a mandare messaggi d´amore al nostro Bel Paese, alla Maglia Azzurra e al CT Marcello "Paul Newman" Lippi.
Che poi nelle scelte di Dunga lui stesse dietro a Ronaldinho, Adriano, Ronaldo, Pato, Bibì, Bibò e Capitan Cocoricò, beh, quello è proprio solo un caso.
Poi si sa, la vita è una ruota che gira, e può capitare che un´epidemia di infortuni (e di mojitos) falcidi la rosa brasiliana, e che per un´amichevole si liberi un posto come vice-sotto-aiuto-riserva. Che fa allora il nostro eroe?
Si rimette la maglietta verde-oro, si professa brasiliano nel cuore, nel corpo e nell´anima, e se non fosse per il presidente Cobolli che lo acchiappa quando è già sulla scaletta dell´aereo, Amauri Carvalho de Oliveira avrebbe già pronunciato il suo "sì" per legarsi in modo irrevocabile alla "Selecao".
Il resto è storia dei giorni nostri... il treno è passato e non ne passano (almeno per ora) altri, il nostro bel tenebroso è rimasto sulla banchina, e dalla mattina dopo è ripreso il tormentone Amauri si, Amauri no, il passaporto quando arriva, io ce lo voglio, io non ce lo voglio, e blablabla, e blablabla...
Ad essere sinceri, però, e a voler dare a Cesare quel che è di Cesare, se definiamo Amauri un pochetto "opportunista", quali definizioni dovremmo dare a tutto il colorato entourage del pianeta Papalla?
Andiamo nell´ordine e proviamoci:
"Vengo anch´io, no tu no".Sfruttando la visibilità data da Amauri al fenomeno oriundi, decine di calciatori snobbati a vario titolo dalle nazionali dei rispettivi paesi d´origine, si sono lanciati immediatamente a presentare nonni brianzoli, zii calabresi, bisnonni veneti, antenati sabaudi e così via.
Rodrigo Taddei, Thiago Motta ed altri sperano così di sfruttare l´eventuale apertura della porta per Amauri al fine di sgattaiolare dentro prima che la stessa si richiuda.
"Siamo tutti CT"Con un microfono davanti al becco, improvvisamente ognuno si sente legittimato a dire la sua in facoltà di dispensatore della Verità Assoluta.
E se posso capire il "nein" di Toni, sul quale certamente pesa un possibile rischio di concorrenza per la stessa maglia da titolare...
E posso anche comprendere quello di personaggi come "Ringhio" Gattuso, giocatore che stimo per la sua schiettezza (al di là della maglia che indossa), sicuramente indispettito dal "tira e molla" del nostro campione...
Beh, mi rimane francamente difficile, invece, comprendere le ragioni di chi sostiene a prescindere che "Amauri non ci serve". Ok, posso capire che di attaccanti in Italia ne abbiamo a bizzeffe, ma da quando esiste il gioco del calcio credo che ogni allenatore o CT preferisca avere problemi di abbondanza che non di carenza di uomini.
E soprattutto non dimentichiamo che Toni non è proprio un giovincello, quindi nell´ottica di un progetto a lunga scadenza quel posto rimarrebbe comunque vacante. Ah, già, dimenticavo, bisogna tenere libero il posto per quel campione di sportività e correttezza con le pettinature strane che arriva da Milano...
"Ein Reich. Ein Volk..." Il calcio si conferma ancora di più una sorta di entità astratta, staccata da tutto il pianeta sport. Infatti, oltre a tutte le motivazioni espresse sopra, i maggiori "non expedit" arrivano da chi sostiene che gli Oriundi non debbano essere convocati in nome di una sorta di Italianità da proteggere, di Denominazione d´Origine Controllata della Nazionale azzurra.
Ok, accettiamo anche il discorso; "Nazionale Italiana, giocatori italiani". Ma allora, se la proprietà transitiva e soprattutto la coerenza non le vogliamo usare proprio solo per pulirci certe parti del corpo che dirvi non voglio, beh, allora dovremmo dire anche, se non "Squadra della città, giocatori della città", perlomeno "Squadra italiana, giocatori italiani, o proprio al massimo comunitari". E qui non dico di più, se no mi dicono che sono troppo fazioso.
Il bello è che, come dicevo, il calcio si conferma per l´ennesima volta unico giapponese rimasto sulla sua isoletta a combattere guerre finite da sessant´anni, vedasi l´introduzione di nuove tecnologie come la moviola in campo, i sensori sulle porte, etc, etc, etc...
Lo stesso vale per gli atleti "adottati" a vario titolo da una nazione. Senza arrivare agli eccessi degli Stati Uniti, che se hanno bisogno di una pattinatrice offrono asilo politico ad una russa, ospitano ginnaste cinesi se ne mancano, proteggono maratoneti africani se ce n´è bisogno e così via in nome della "Libertà", anche qui in Italia gli esempi di persone che difendono i colori azzurri senza essere nati tra Bolzano e Lampedusa si sprecano: la mitica ed inossidabile Josefa Idem nella canoa, la saltatrice/ballerina/attrice/mangiatrice di merendine Fiona May nell´atletica, la battagliera Aguero nella pallavolo, i molti rugbisti o giocatori di tennis tavolo adottati dalle nostre Nazionali...
Non solo, tutti costoro (o quasi tutti) avevano già alle spalle precedenti esperienze sotto la loro bandiera d´origine, ed ora ricevono al loro collo medaglie sotto un tricolore che sventola e sulla melodia dell´Inno di Mameli (e nessuno gli rompe gli ammennicoli a vedere se lo cantano o no... anzi, a proposito: il Dio dello slittino, Armin Zoeggeler, Italiano al 100% per passaporto, non lo canta, perché "...io non konoshe kwesta kanzona...").
Nel calcio no. Nel calcio se hai giocato 5 minuti in una Nazionale, anche solo in un´amichevole per beneficenza, rimani indelebilmente marchiato, e nessun altro potrà mai convocarti.
Ma va bene.
Continuiamo così, facciamoci del male...
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