Racconto liberamente ispirato alla storia di Lorenzo Rotelli alla ricerca da anni di un tifoso juventino di Foggia conosciuto ad Anversa in occasione della finale allo stadio Heysel.
Lorenzo, ventitré anni nello zaino ed un pugno di sabbia di quella spiaggia celeberrima di Anzio dove crollarono esanimi uomini sbarcati al macello e dove oggi sono in guerra soltanto le onde, accarezzava la sua sciarpa bianconera immerso nel piacevole frastuono del rullaggio roboante dell'aeroplano sulla pista di Ciampino. Bruxelles, tanto agognata, così vicina e così lontana.
28 maggio 1985, Lorenzo, finalmente con le nuvole sotto la pancia che brontola un panino ed anche il cuore mette le ali al pensiero di quello scontro epico fra titani. Platini, il sovrano senza eguali, dominerà certamente la contesa contro i rossi albionici ed i loro noti campioni e duri scarponi. Ad Atene, gli dei furono gelosi persino del suo incedere e lo disarmarono, beffardi, passando il suo scettro ad un ignoto marrano dal tiro felice e mancino. Poi Lorenzo ha ceduto al sonno, cullato dall'auspicio farcito dal trionfo, prima di riaprire gli occhi sul Belgio. Chissà perché gli viene alla mente Superga, sciogliendo mezza preghiera e le ultime paure quando i carrelli atterrano il sogno ragazzo nel cuore dell'Europa.
Non poteva esserci altro cerimoniere più impettito del sole ad accogliere sulla scaletta dell'aereo i figli della Vecchia Signora giunti dalla parte più bassa dell'italico calzare. Avellino, Foggia, Matera, ed oggi più che mai anche Anzio è meridionale. Lorenzo si unisce subito al coro a squarciagola: “E' ora, è ora, la coppa alla Signora...”. Poi, le anime sbarcate sul suolo delle Fiandre si confondono presto in promessi appuntamenti e negli affollati itinerari in mezzo alle carezze delle loro bandiere. Un fischietto assale i timpani, impossibile spegnere il fiato a quel ragazzino scatenato dal trucco zebrato. Il primo grande pullman grigio sul piazzale raccoglie gli attimi ed i bagagli indimenticabili di esaltati e smarriti in questo carnevale posticipato.
Anversa è l'anticamera del sogno. Un letto d'albergo, lenzuola bianche e stirate, intanto la mente spia al di là dell'armadio cabinato il vasto lido di Anzio. La nostalgia di sera, è nota canaglia... Meglio scendere subito al bar e stenderla al tappeto, appena risorta dalla bianca spuma del mare in quella di una grande birra chiara. “Di dove sei ?”: sente chiedersi al di là del vetro spesso del boccale mentre il suo naso è intinto di bianco. “Di Anzio !”: risponde perentorio con orgoglio al ragazzo accanto, col braccio posato sul bancone. “Io vengo da Foggia”: aggiunse quello, sorridendo. “Una bella passeggiata !”: ghignò Lorenzo, causticamente. “Per la Juve questo e altro !”: commentò di botto, entusiasta, il giovane dauno. “Vuoi una birra ?”: gli chiese Lorenzo. “Grazie !”: accettando con un mezzo inchino, compiaciuto. “E di che, fra gobbi...” E così, chiacchierarono allegramente per tutta la serata, di sconfitte e vittorie, donne e motori, alla sacra vigilia della madre di tutte le partite. Poi, dirigendosi ognuno nella sua camera, sfiancati dall'alcool e dalla baldoria, augurandosi la “buonanotte” si arresero al sogno della grande Coppa.
E' molto bella Bruxelles, così diversa da Roma, sembra una bomboniera di porcellana la “Grand Place”. Fa un gran caldo, ma questi Belgi hanno sguardi freddi, sembrano automi. “Chissà in Italia i miei cosa staranno facendo”: prima di telefonare a casa da una cabina, si domandava Lorenzo, distaccandosi dal suo gruppo, in vena di foto ricordo ed in cerca di souvenir. Poi, da lontano, improvviso un urlo di guerra travestito da canzone: “Liverpool, Liverpool...” “Arrivano gli Inglesi !!”: intimorito, strillava uno dei ragazzi più piccoli. Avranno anche la fama che hanno, ma non sembravano tanto minacciosi. Inveivano, ma senza cattiveria, verso il gruppo molto più numeroso dei bianconeri che si compattarono subito coraggiosamente rispondendo ritmicamente forsennati: “Juve ! Juve ! Juve ! Juve ! “. Finì lì... Almeno per il momento... Anzi qualcuno di loro scambiò persino la sciarpa con alcuni italiani. Sembrava quasi un miracolo, nonostante i cocci di bottiglia rotti e le vetrine infrante.
“Madonna che caldo questa Bruxelles”: esclamò Lorenzo all'amico che rideva di gusto al balletto di un vecchio inglese sbronzo e sdentato, di verde tatuato su tutto il corpo. Un biondo avanzo di galera, di certo non proprio l'orgoglio della Thatcher e della Regina Madre. Gli battevano le mani freneticamente tutti assieme, Inglesi e Italiani, come ad una scimmia ammaestrata. “E' proprio un circo l'umanità”, pensò Lorenzo ad alta voce. Qualcuno annuì, altri risero, eccitati. Lo schizzo improvviso del vomito dell'ubriacone calò bruscamente il sipario allo squallido teatrino albionico. Si scansarono tutti, schifati, lasciandolo in terra da solo a tossire ed a sputare sulle pietre come una lucertola con la coda tagliata. “Andiamo, è meglio incamminarsi verso lo stadio”: sentì dire fermamente Lorenzo da un capo comitiva alle sue spalle. “E' ora, è ora, la Coppa alla Signora”: tuonò di riflesso eccitato l'intero gruppo dei tifosi meridionali, incamminandosi fra gli applausi spontanei degli altri juventini isolatamente sparsi nella “Grand Place”.
La fermata della metro aveva lo stesso nome evocato da più di un mese, quasi fosse quello di un santo, “Heysel”, proprio come lo stadio. “Scendere ! Siamo arrivati...” Lorenzo, in un brivido realizzò “finalmente”: dopo tutta quella strada e due pedalini arroventati era a poche centinaia di metri dal sogno. Il piazzale dell'antistadio si tinse in pochi attimi di bianco e di nero. Qualche residua sciarpa rossa sembrava stonare nell'orgia non immorale di quei colori. Tacquero d'un colpo, al suono rauco delle trombe tutti gli altri pensieri. Un popolo in cammino come un esercito che si preparava alla battaglia ed alla gloria, in nome del football, si disponeva in fila ordinato, davanti alle porte di entrata nel campo. Le voci sommesse di laidi bagarini insidiavano i dialetti di tutte le regioni, quei sorrisi di anziani e giovani mescolati e più felici dei loro stessi bambini. Tutti quanti figli della stessa madre, fratelli e amanti della stessa compagna. Era la Juve, principio e termine dei loro affanni, spasmo dei loro orgasmi, l'onore da difendere, una bandiera a due colori da sventolare in barba alle stagioni ed agli umori, ai rovesci delle sorti individuali, imbianchini o principi ereditari.
Un delirio la coda davanti all'unico ingresso, ancora più stretto della porta del paradiso. Faceva troppo caldo anche per i cani poliziotto dei gendarmi belgi sempre più nervosi che abbaiavano a comando di tanto in tanto. Alla perquisizione li setacciarono quanto noti lestofanti, con quelle facce inespressive da merluzzi, un po' ebeti. Gli mancavano persino i baffoni e certe facce sornione dei nostri celerini la domenica, il ruminare delle loro gomme da masticare fra gli accenti aperti del verbo di quel medesimo sud che sforna le pizze, i carabinieri e la mafia, che coltiva i pomodori e raccomanda i figli ai concorsi e per un posto fisso in banca. “Sembra la coda per timbrare all'ufficio di collocamento”: pensa fra sé, Lorenzo. E fra uno spintone e l'altro, con il suo nuovo amico, storditi dall'emozione, sono finalmente all'interno del settore Z: “Juve ! Juve ! Juve ! Juve ! Juve !“. Bruxelles, 29 maggio 1985, il vetusto stadio Heysel è come la valle di Giosafat. Non suonano le trombe del giudizio universale, ma quelle dei tifosi della Goeba. Bandiere bianconere sbattono sulle loro facce mentre cercano un posto “buono” sulla gradinata spinti da quel vento mite di Primavera che le agita. “Juve ! Juve ! Juve ! Juve ! Juve !“. Un mantra di una religione politeista. Un dogma di fede che nessun' altro all'infuori degli adepti potrà comprendere, né sarebbe mai possibile spiegare con parole. Subliminale l'istinto, anche in Lorenzo, di spiegare alto nel cielo il suo canto di fedele bianconero abbandonandosi all'apoteosi sugli spalti invasati.
Caldo opprimente, la curva oramai è gremita all'inverosimile. Sono le sette passate di sera. “Ma cosa avranno tanto da fischiare quegli ubriaconi di merda, perché ce l'hanno con noi, non gli abbiamo fatto niente !?”. Impressionato dalle parole di Lorenzo, l'amico rabbuiandosi gli fa da eco, subito: “Ma che cazzo fanno quei pochi poliziotti là in mezzo, se ne vanno ?” Una infame pioggia di ferro e di pietre è solo il preludio all'assalto. “Attaccano !!”, piangente una ragazza con le mani a guardia del seno, ci viene addosso correndo terrorizzata, prima di una fiumana di persone. “Scappiamo !” ...“Via di qua !”... “Allontanatevi !”... “Madonna, dio”...”Bastardi !!”...“Aiuto !”. Il tonfo sordo d'una lattina piena di birra annuncia il crollo pesante di un uomo in terra con la fronte insanguinata. Alcuni tifosi inciampano sul suo corpo, a catena. Gli Inglesi sono più vicini e sferrano calci e sprangate a destra, a manca, su tutto quello che si muove colorato di bianco e nero. Lorenzo pressato da ogni parte si accorge che ha smarrito il gruppo e sente mancargli il respiro. A un tratto, non sente più dolore, né il rumore di questo scricchiolio perverso di carne ed ossa. Butta lo sguardo sul prato verde del campo che si riempie a macchia d'olio di centinaia di persone. La vista a poco, a poco, si annebbia, ma sente distintamente nelle sue orecchie il canto del mare increspato alla sera ed il suo profumo d'estate. Il pianto di un bambino in braccio a suo padre che non vuole più tornare a casa. “Andrea... Andrea...”, lo chiama mentre li rincorre. E' il mare dell'Heysel, innocente come quello di Ustica e come quello di Anzio. Ed il mare è sempre senza peccato, in tutti i casi in cui al posto dei demoni ci pensano gli uomini.
Uno scroscio di acqua sugli occhi lo risveglia: “Ehi, su, bevi !”. Quel tifoso juventino con la borraccia gli sussurra di seguito: “Va tutto bene, è finita...” Lorenzo, recuperando le forze, ha un sussulto, ma gli gira forte la testa, ripensando immediatamente al suo amico. Si rialza piano in piedi, aiutato da un medico della croce rossa e scopre davanti a sé l'orrore di quei poveri corpi avvinghiati fra loro, imparentati all'abbraccio di sorella morte, in mezzo a calcinacci e filo spinato. Sembra proprio come nel racconto dei nonni durante lo sbarco sulla spiaggia di Anzio. Amarissimo scherzo del destino. “Forse la guerra non è mai finita..” : sentenzia il pensiero che lo sfiora nella mente e scoppia a dirotto in un pianto lungo e liberatorio. La voce di Scirea dall'altoparlante dello stadio, gli ricorda quella partita di cui dovrebbe ancora sapere. “Dove sei ? Dove sarai finito, caro amico mio ?”: disperato si domandava, seduto per terra sulla gradinata sbrecciata con i pantaloni a pezzi, in mezzo al groviglio di scarpe, sciarpe e giornali. E mentre una barella portava via un morto od un ferito, chi mai lo saprà, Lorenzo guardava con gli occhi sbarrati nel vuoto l'”Atomium”, un gigante di ferro che non li aveva difesi.
“Dove sei ? Dove sei finito, amico mio ?”. Era il fresco pungente della sera a riproporgli ferocemente quella domanda, a pochi metri dalla tribuna stampa, dov'era stato accompagnato e medicato, mentre le squadre entravano in campo, come se nulla al mondo fosse accaduto. Lorenzo assisteva alla scena da un altro pianeta e lo infastidiva, persino, ora, tutto quello spreco di fiato... “Juve ! Juve ! Juve ! Juve ! Juve !“. Le gambe gli facevano sempre più male. “Rigore per la Juve !!”: lo scosse dal torpore un tifoso a lui di fianco. Platini sulla palla, poi prende la rincorsa... Parte il tiro... “Goal ! Goal !!” La Juventus si porta in vantaggio ! Lo stadio obitorio diviene una bolgia, Lorenzo è inconsolabile : “Ma tu, dove sei ? Dove sei finito, fratello mio... Lo vedi, abbiamo pure vinto, siamo Campioni, ma tu non ci sei...”
All'aeroporto che fastidio i microfoni dei cronisti ad altezza del mento. “Lasciateci in pace”... “Ci è bastata già una guerra”... “English Animals !”... “Una vergogna, è una vergogna, ci hanno massacrati con la polizia assente”... “Uno stadio di merda, la colpa è dell'Uefa”... Le due mani in volto a coprirsi, con pudore, nel silenzio interrotto a scatti dalle domande lecite e più stupide degli inviati dei giornali. Dolore, solo dolore, nel corpo e nello spirito, nessuna voglia di parlare, soltanto di casa e di tornare. Il rombo dei motori del Charter è finalmente musica per il cuore, “ti prego dio, portami via dall'inferno”, sussurra a se stesso, salendo le scalette dell'aereo, zoppicante. “Lorenzo !!”... “Lorenzo” !!!... “Sono qui !”... Davvero sono contati quegli istanti della propria vita che valgono l'attimo fatato che ti ha generato per amore e ti ha messo al mondo, quelli in cui la gioia ti ha fatto brillare il cuore come una mina, senza chiederti null'altro in cambio e senza che nessuna cifra avrebbe potuto valere quell'incanto... Lorenzo si voltò, di scatto, raggiante come quel sole di maggio che fidanzava il cielo con la terra ed alla seconda lacrima a rigargli la guancia di commozione, spalancando le braccia l'accolse.
P.S. Chiunque si riconosca nel ragazzo di Foggia conosciuto da Lorenzo Rotelli ad Anversa è cordialmente pregato di scrivere una mail, all'indirizzo: postmaster@saladellamemoriaheysel.it . GRAZIE. Di Domenico Laudadio Commenta l'articolo sul nostro forum!