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Sabato 23.11.2024 ore 18,00
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Eventi di N. REDAZIONE del 29/05/2012 10:21:23
Heysel: 'Anche io ricordo quella notte'

 

Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza che Michele Valsecchi ha voluto condividere con noi, proprio nel giorno del ricordo della strage dell'Heysel

Non ancora diciottenne, seconda finale di Coppa Campioni dopo Atene, che fu per me la prima vera partita di calcio vissuta dalla tribuna, dal vivo. Inutile specificarlo, fu anche la prima grande delusione da tifoso juventino ma, come si suol dire, quella è un'altra storia. Non ricordo molto la partenza; ricordo solo che ero molto teso e che era una bella giornata di sole, e lo stesso a Bruxelles.
Ricordo il trasferimento verso lo stadio con il pulmann privato, visto che il viaggio era organizzato tramite agenzia. Atraversammo il centro, la Grand Place piena di tifosi Italiani e Inglesi, mescolati tra loro. Non c'erano tensioni, sembravano tranquilli. Poi l'arrivo allo stadio, ma era presto. Non erano neppure le 14.00 e la fame si faceva sentire. Intorno lo stadio il nulla, a vista d'occhio non si vedeva nulla.
Ad un certo punto decidemmo di andare in cerca di un ristorante o un bar dove poter mangiare. In lontananza scorgemmo un paesino/centro abitato piuttosto distante e, da buoni Veneziani, ci incamminammo. Eravamo circa in 7 tra cui mio padre e alcuni amici.
Finalmente arrivammo e trovammo un posto per ristorarci; ricordo ancora il nome, 'La Pergola'. Un ristorante/Bistrot, tipo francese, carino, anche elegante e con i tavoli tutti vicini. Ci sedemmo e ad un certo punto uno della nostra compagnia rivolse la parola ai commensali al nostro fianco, praticamente gomito a gomito: "ma lei è Ferlaino?"
Rimasi impietrito, la risposta fu pacata e tranquilla: "sì, sono io!"
Vicino a lui il nostro Direttore Moggi e il calciatore Nico Penzo (se non ricordo male) con rispettive consorti. Ci dissero che erano ospiti della Juventus e che venivano da Parigi per vedere la finale. Non ricordo di aver ingoiato il cibo, tanta era la fame.
Dopo un bel po' tornammo verso lo stadio. Mescolati con gli Inglesi, ubriachi ma abbastanza socevoli; ci parlai in attesa che le porte si aprissero. Erano tranquilli, o almeno cosi sembrava. In mano tenevo stretto il biglietto, che conservo ancora integro, con quella Z sopra. Finalmente si poteva entrare, forse erano le
19.00, e poco dopo scoppiò l'inferno.
Tralascio i dettagli, persone ferite gravemente, la paura, l'angoscia, il trauma; e non trovavo più mio padre.
Mi persi nella folla accalcata verso la recinzione, come pecore amassate in cerca di una fuga. Ricordo la pressione delle persone dietro che urlavano e spingevano. Ad un certo punto mi fermai. Avevo un ferro compresso nello stomaco, uno di quei tubi che c'erano una volta, nei vecchi impianti, che servivano ad appoggiarsi durante le partite. Un dolore tremendo! La gente mi comprimeva verso di esso e, come se fosse stata una trappola, non riuscivo ad uscirne. Lì accanto c'era un ragazzino come me, il padre subito dietro ci urlò di abbassarci, di passare sotto, ma la paura di rimanere decapitati ci fece desistere.
Ad un certo punto il ferro cominciò a cedere. Sentivo il cemento muoversi, disgregarsi. Pensai che fosse giunta la fine. Crollò tutto in avanti. Il padre dell'altro ragazzo in un gesto estremo e probabilmente istintivo ci spinse oltre. Saltai e caddi con il capo rivolto verso le tribune. Non vedevo più il padre del ragazzo, era sotto tutti. Il figlio aveva la testa tra un gradino ed il tubo di ferro. Lui non era balzato oltre.
Era impossibile aiutarlo, c'era troppa gente amassata sopra di lui. Mi girai e vidi l'uscita, la rete di recinzione. Passai sopra a delle persone già morte e saltai in campo.
Ero completamente sotto shock. Vidi la tribuna centrale e riuscii ad entrare. Mi misi a sedere tremante, senza scarpe, senza il maglione ricoperto di sangue non mio.
Due sedie sopra di me, Edoardo Agnelli piangeva con le mani nei capelli. Ad un certo punto vidi mio padre che vagava in campo, nella pista d'atletica. Lo chiamai ma per lui era impossibile sentirmi. Gli andai incontro. Scesi e finalmente ci riunimmo. Ma in tribuna non potevamo più rientrare, e allora decidemmo di dirigerci verso l'altra curva. Entrammo. Non ci restava altro da fare che aspettare.
Prima dell'inizio della partita rientrai nel terreno di gioco. C'erano i nostri beniamini che tentavano di tranquillizzarci, e il caos. Ci sarebbero molti altri dettagli da raccontare ma mi dilungherei troppo. Non ho visto la partita, rimasi tutto il tempo seduto nella gradinata.
Finita la partita tornammo all'aereoporto, ma l'aereo non c'era. Passai una notte insonne su una maledetta sedia di plastica in attesa di partire la mattina successiva.

Dedicato a quel padre e quel figlio che mi hanno salvato la vita.
 
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