Intervista tratta da Hurrà Juventus di marzo '97 in occasione del centenario della società.
Massimo Mucchetti per l'EspressoQual è stata la prima partita che avete visto? Umberto: Fu a Roma. Il Torino vinse 7 a 0 con la Roma. Il che mi riempì di orgoglio, non ero ancora tifoso...
Gianni : Quello era il grande Torino
Umberto: Sì, era subito dopo la guerra
Gianni: A me non viene in mente una partita particolare. Ricordo invece gli allenamenti, nel vecchio campo della Juventus. Andavo con mio padre. Quindi nel 31 o nel 31, avevo 12 o 13 anni. Si provava un'ala sinistra arrivata dall'Ungheria. Il suo nome era Hirzer, ma tutti lo chiamavano “gazzella bianconera”. Gli facevano correre i cento metri con gli altri. Era molto veloce. Allora si andava a guardare la squadra, gli allenamenti, come si andavano a vedere i cavalli da corsa.
Ma voi da ragazzi giocavate? Umberto: Pochissimo. Qualche volta a scuola. Come modesto difensore, picchiatore.
Gianni: Io ho fatto qualcosa al D'Azeglio, dov'era nata la Juventus, a 14-15 anni. E poi si giocava molto in piazza D'Armi. Con la gente che si trovava. Ma smisi presto.
Vostro padre, Edoardo Agnelli,diventa presidente della Juventus nel 23... Gianni:e nel 26 vince il suo primo campionato. Poi mette insieme la famosa squadra dei 5 scudetti negli anni trenta.
Era già il segno che la Fiat avrebbe fatto grande la Juve o si era in fase pionieristica? Gianni: No, era soltanto un fatto sportivo. In ogni città c'era una persona importante che ci teneva ad appoggiare una squadra. E naturalmente cercava di farlo bene, di vincere. Mio padre allora comprò quei tre argentini, che fecero la differenza. Ma gli altri erano piemontesi.
Umberto: In quegli stessi anni la Juventus comprò Rosetta..
Gianni: Che era di Vercelli
Umberto: Fu anche il primo acquisto di un calciatore italiano, una cosa fuori dall'ordinario.
Gianni: Quando morì mio padre, nel 35, mi fecero entrare per cortesia nel consiglio della Juve. Frequentavo così, ancora ragazzino, i vari Craveri, Mazzonis, allora un giocatore non piemontese era una cosa strana, un'anomalia. Come quando poi presi Nené, che fu il primo giocatore di colore in Italia.
Adesso le squadre sono imbottite di stranieri. Vi convince? Gianni: E’ un bene. Assolutamente.
Da dove passerà, allora, il processo di identificazione tra tifoserie e club? Umberto: L'unico giocatore piemontese della Juve oggi credo sia Padovano. Piace perchè fa dei gol. Se fosse siciliano sarebbe lo stesso.
Gianni: Sono stato una volta allo stadio a Roma con Bertone, un popolare di Mondovi che era allora ministro del Tesoro. Mi aveva chiamato. Avvocato, c'è la Juventus. L'ho accompagnato a salutare i giocatori.
Cerea, Fioei, come ca va.... silenzio, nessuno aveva capito...
Il rapporto della Juve con Torino, con l'Italia, nasce dunque soltanto dalle sue vittorie? Gianni: Non portare il nome di una città è un fatto di grande popolarità per una squadra. Perchè la rende nazionale.
Negli anni trenta la Juventus era la squadra regina in un paese retto da una dittatura. La quale, come tutte le dittature, utilizzava lo sport per ottenere consenso. Gianni: Sul piano internazionale certo non fummo favoriti. Allora c'era una sola coppa europea. SI giocava contro lo Slavia di Praga, l'Austria di Vienna, il Ferenevaros di Budapest: non l'abbiamo mai vinta quella coppa. Avevamo un piemontese, Vittorio Pozzo, che si occupava della Nazionale. Era una nazionalista, non un fascista. La nazionale del 34 aveva sette giocatori della Juventus. E anche quella che vinse i mondiali del 38 contava parecchi bianconeri.
Lei Avvocato, divenne presidente nel 47, subito dopo la guerra: Gianni: Scrissero: una società di cinquant'anni ha ora un presidente di 25.
Dottor Agnelli, lei è diventato presidente nel 55... Umberto: In verità per una stagione fui commissario. Ero militare, avevo vent'anni...
Allora il boom economico era agli albori. Quali furono le relazioni fra la squadra della Fiat e L'italia che scopriva l'auto? Umberto: La squadra ha seguito l'evoluzione del paese , perchè i calciatori costavano più cari
Gianni: Sono stati indicizzati...
Si dice che per un Agnelli la presidenza della Juve sia una scuola di leadership. Con il calcio avete imparato più l'arte del comando o la ricerca del consenso? Gianni: Per me la Juventus, in quegli anni, fu soprattutto una scuola di cattive abitudini: si scherzava con i giocatori, si facevano contratti strani, si rideva con l'allenatore... non era una scuola di disciplina, di gestione. Adesso lo è diventata.
Umberto: Quando venni nominato presidente io, c'era già stato il salto dal periodo del gioco alla ricerca della professionalità.
Diventava molto importante la scelta dei collaboratori. Quali sono la prima scelta felice e il primo errore che vi vengono in mente delle vostre presidenze? Gianni: Le scelte sono quelle dei giocatori. C'entra molto la fortuna. Mi viene in mente Charles e ci tengo a dirlo. Charles era sotto attenzione dell'Inter di Moratti padre, e avremmo finito per fare una spiacevole asta. Con enorme cortesia Angelo Mortatti, grande personaggio, ce lo ha lasciato. Dire quali giocatori abbiano rappresentato scelte sbagliate mi dispiacerebbe. Per loro
Charles evoca Omar Sivori, come arrivò alla Juventus: Umberto: Ci fu segnalato da un nostro collaboratore che viveva in Argentina
Gianni: Carletto Levi
Umberto: Erano tre: Angelillo, Maschio e Sivori. I famosi angeli dalla faccia sporca. Non c'è discussione, Sivori era il migliore. Angelillo al primo anno vinse la classifica dei cannonieri, ma poi sparì. L'acquisizione di Charles e Sivori fu un grandissimo sforzo, in parte compensato dalla cessione di Kurt Hamrim dal punto di vista economico... La vendita dello svedese fu per noi un vero sacrificio sportivo. La prima partita della formazione con Charles e Sivori fu un'amichevole a Bologna che perdemmo 7 a 0. Madonna pensai, qua abbiamo sbagliato tutto. Ma poi quella squadra vinse il campionato.
Gianni: Charles per noi era già molto caro, quando ci si aggiunse Sivori, che era carissimo... però il valore di due giocatori così è enorme. Se aggiungi il terzo diventi imbattibile.
Umberto: Se avessimo potuto tenere Hamrim... ma fu venduto alla stessa cifra alla quale fu acquistato Charles.
Gianni: l'aspetto patrimoniale prevalse su quello tecnico.
A proposito di scelte: perchè la Juventus rinunciò al povero Gigi Meroni, fantasista del Torino negli anni sessanta? Gianni: Non per ragioni economiche, per Meroni successe una mezza rivoluzione in città.
Umberto: Era molto difficile portarlo via al Torino..
Gianni: Vennero a far chiasso anche qui sotto. Era una bandiera, non si poteva.
Stile Juve: volete darne un'interpretazione autentica? Gianni: Di stile Juventus parlano gli altri, non noi
Umberto: Diciamo una cosa. Il comportamento di Lippi e dei dirigenti che erano domenica a Firenze, nessuno si è lamentato, è una componente di ciò che possiamo chiamare un buon stile
Gianni: Nessuno si è lamentato e, aggiungo, nessuno si è spaventato...
Sopportare gli eventi senza protestare, dunque. Viene in mente il numero di Adriano Galliani a Marsiglia, quando dette in escandescenze chiedendo di invalidare una partita che il Milan stava perdendo... Gianni: Non sta a noi giudicare gli altri
Umberto:
Mi limito a dire che, se Giraudo facesse una cosa analoga, mi spiacerebbe molto. Gianni: Soprattutto non ottenendo risultati. Ricordo che l'Inter protestò per il lancio di una lattina, ma almeno ebbe la ripetizione dell'incontro.
Si dice che la Juve fosse la padrone del calcio mercato. Eppure alcune stelle vi sono sfuggite. Quali sono i grandi rimpianti? Gianni: Alfredo di Stefano. La famiglia sua era originaria di Capri. Perfetto oriundo italianizzabile. Giocava nella squadra del Millionarios in Colombia. Quando prendemmo Ricagni, ebbi la notizia che Di Stefano era sul mercato. Chiamai Levi: ‘ceda Ricagni e prenda Di Stefano’. Ma lui preferì il Real Madrid perchè la moglie parlava spagnolo e andava volentieri là.
Pelé? Gianni: Non l'abbiamo mai trattato..
Costava troppo? Umberto: No era impossibile anche soltanto cominciare il discorso, con quello che significava per il Brasile.
Gianni: Con Cruyff invece abbiamo parlato ma fummo bloccati dalle limitazioni agli stranieri
Umberto: Un campione che forse avremmo potuto prendere
e non si è preso per ragioni quasi politiche è Diego Armando Maradona. Era ancora ragazzino, ma il governo argentino si oppose all'uscita, il ministro degli interni non voleva.
Gianni: Ci riuscì però il Barcellona. Come con Kubalà, anni prima. Era un giocatore straordinario. Lo tenevo alla pro patria di Busto Astirzio, ma non ci lasciavano mai utilizzarlo. Provai i grandi ungheresi. Ferene, Puskas, l'Italia non li ha voluti. Con loro invece la Spagna ha costruito il grande Real Madrid. Sugli stranieri abbiamo avuto limitazioni assurde e interminabili.
Gli anni 50 rappresentarono il periodo d'oro di Boniperti, oggi eurodeputato di Forza Italia. Boniperti ebbe due cicli formidabili, da giocatore e da manager, entrambi finiti quando Umberto Agnelli si è occupato di Juventus...Gianni Brera malignava... Gianni: Lo chiamava Marisa..
Umberto: Non era Lorenzi (Benito, centravanti dell'Inter detto Veleno ndr) ?
Gianni: Ma anche Brera l'aveva soprannominato Marisa perchè lo trovava così bellino, biondo, grazioso...
Umberto: Non giocava di testa per non spettinarsi...
La malignità di Brera che ricordavo era un'altra: che Boniperti si ritirò dal calcio giocato in seguito alle pressioni di SivoriUmberto: Non è esatto. Boniperti ci teneva a lasciare al massimo della condizioni. Voleva finire in bellezza.
Gianni: E’ vero, io stesso l'avevo pregato di rimanere.
Perchè trent'anni dopo Boniperti lascia anche la presidenza? Lei dott Agnelli, non fu estraneo a quella decisione? Gianni: Umberto in verità, l'aveva scelto, gli aveva dato la responsabilità...
Umberto: E l'ho aiutato ad uscire...
Quella dall'ultimo Boniperti era una Juve dalle mani bucate. Umberto: Boniperti era economo per natura. Poi, a un certo momento, venne fuori il fenomeno Berlusconi. E la Juventus gli corse dietro. Ma inseguire è sempre impossibile.
Gianni: oltre che impossibile
Umberto: Boniperti si è fatto trascinare nella rincorsa, e quando uno prende abitudini simili, beh, quelle toccano un po' tutto. Aveva fatto per tanti anni bene, poteva anche lasciare.
Citate il caso del Milan Berlusconiano, una squadra che allora spese un sacco di soldi... Gianni: Sono stati anche molto fortunati. Perchè ne hanno sborsati tanti anche adesso, ma non va.
Spendere tanti soldi... è piacevole averli, ma non basta.
Al vertice della società c'è di nuovo un ex calciatore come Roberto Bettega, vice presidente. Seguirà le orme di Boniperti? Umberto: Fa parte di un gruppo di dirigenti tecnici e di collaboratori fortissimo e affiatato. Speriamo che duri.
Roberto Baggio, Gianluca Vialli: se ne sono andati, non senza polemiche. La juve degli anni novanta non riesce a convivere con i campioni? Chi è cambiato, la società o gli assi? Gianni: Sono state due scelte di natura tecnico-economica: giocatori che costavano cari e potevano uscire a condizioni ancora buone. Umberto, non è che avete avuto dei contrasti?
Umberto: No, non mi pare
Gianni: Il contrasto, semmai, era se pagare quello che costavano o risparmiarlo.
Finale di coppa dei campioni all'Heysel di Bruxelles, nel 1985: 39 morti sugli spalti. Il famoso stile Juventus non avrebbe dovuto consigliare di non giocarla quella partita con il Liverpool? Gianni: Non avevano altra scelta
Umberto: La gestione dell'ordine pubblico prima della gara non fu certo brillantissima, però la richiesta di giocarla era diventata a quel punto un fatto di ordine pubblico.
Gianni: Io c'ero, ma non riuscii ad entrare nello stadio e tornai subito indietro. Vidi la fine della partita in tv all'aeroporto di Torino. Invece quando lei mi parla dello stile, il problema è un altro. Ho avuto molta gente che mi ha detto: non accettatela quella coppa. Quella in effetti poteva essere una scelta.
Perchè invece l'avete accettata? Gianni: Perchè una coppa non si può mai rifiutare. Poi ci sarebbe toccata la finale della supercoppa a Tokyo.
Il calcio, oggi forse più di ieri, è usato come biglietto da visita in politica: Berlusconi cita il Milan come prodotto-tipico del suo presunto talento di leader. Si può mescolare calcio e potere? Umberto: Ma non è il nostro caso. Con noi si va molto indietro nel tempo, agli anni Venti. Per noi la Juventus era già lì. Una tradizione. Che abbiamo sempre coltivato con passione.
Gianni: Per quanto riguarda la Juve, io non lo potrei fare.
L'Italia era la mecca del calcio. Importatrice secca di giocatori. Oggi sono gli italiani ad essere comprati... Gianni: Me lo sono sempre augurato. Mi dicevo: la nostra vera forza si vedrà quando gli altri compreranno i nostri.
Umberto: e il nostro campionato continuerà a restare, come in effetti resta, il più bello del mondo.
Sarà, ma gli inglesi stanno facendo incetta di campioni senza badare a spese. Secondo voi il boom d'oltremanica è un fenomeno o una bolla speculativa? Umberto: Fondamentalmente è una cosa seria. Gli introiti televisivi tendono ancora ad aumentare, in funzione della fame di questi programmi a livello internazionale.
Gianni: in Inghilterra hanno avuto prima che da noi i vantaggi della televisione pay per view. Ma questi vantaggi arriveranno poi dappertutto.
Umberto: La caratteristica degli inglesi oggi, come gli spagnoli del resto, è tuttavia quella di spendere fin d'ora le entrate dei prossimi anni. Quindi rischiamo di spendere troppo. Il controllo dei costi di gestione gli sta sfuggendo.
Gianni: Come lei può vedere dai bilanci, i debiti sono sempre sicuri, i crediti meno.
Eppure oggi il calcio tende a presentarsi come un business. La legge consente che le società abbiano scopo di lucro. Sergio Cragnotti vende la Lazio ad una società quotata: Gianni:
Io non lo so, mi auguro che uno possa guadagnare i soldi con gli affari industriali normali senza aver bisogno di ricorrere alla società di calcio. Questa è un motivo di prestigio per la città, per il paese, se si può mantenere in equilibrio bene, se non si può è un peccato, ma si troverà la maniera di aiutarla. Credere di farne un oggetto di lucro non mi piace.
Dunque il re del capitalismo nel calcio non vuole essere tale. Umberto: Condivido pienamente il sentimento di mio fratello. Però penso che sia show business
Gianni: Si è una cosa molto diversa dalla squadra alla quale mi avvicinò mio padre. Ma pensi che cosa può voler dire show business: in Amercia, già molti anni or sono, gli Yankees di New York o i Giant, ora non ricordo bene, sono stati venduti a Los Angeles. Si potrebbe dunque ipotizzare che la Juventus possa essere venduta a Madrid. Spero di non vederlo mai.
Pensate che l'Italia possa tornare a essere l'ombelico del mondo per il calcio? Gianni: E già oggi molto vicino ad esserlo. Ha squadre molto forti. La Nazionale ha avuti incidenti, ma il sistema è forte.
Umberto: Prendiamo la partita di Tokyo, la migliore squadra sudamericana e la migliore europea, oppure Juventus-Manchester: insomma, c'è un abisso. Poi, certo, il Barcellona in giornata può anche batterti, ma fuori d'Italia non c'è un Vicenza, non c'è un Parma...
Dottor Agnelli, lei cita il Vicenza: ma la Juventus sembra essersi schierata con le otto grandi del campionato, alcune sedicenti tali, come le provinciali. Lo trova bello? Umberto: La mutualità calcistica, ovvero l'attribuzione agli altri di una parte degli incassi, ha senso fino ad una certa dimensione. A un certo punto conviene un sistema un po' meno solidaristico anche per spronare queste altre squadre a fare meglio: se entrano nel gruppo più altro, poi prendono di più, soprattutto nel nuovo filone di entrate costituito dai diritti televisivi legati alla pay per view
Si andrà quindi verso un super torneo europeo al posto dei campionati nazionali? Umberto: La partecipazione di due squadre per nazione alla Champions League non ha senso se non come primo passo verso un campionato europeo. Che avrà la base di selezione nei campionati nazionali.
Gianni: Umberto è più operativo di me. Arriva 15 anni dopo. La mia idea di Juventus è ancora legata a quella di mio padre.
Lei, dottor Agnelli, ha avuto un'esperienza anche nella Federazione. Conosce dunque anche i palazzi del calcio. Come valuta il ritorno di Franco Carraro alla presidenza della Lega? È il segno di un patto d'acciaio tra Milan e Juventus? Umberto: Ma no, non scherziamo! La vera passione di Carraro è lo sport, anche se ha fatto diverse altre cose. Penso che risponda in modo positivo alle esigenze del calcio professionistico di oggi.
La Juve, la Fiat, la famiglia. Avvocato, le società di calcio non guadagnano. Perchè attribuire la proprietà a società quotate in Borsa come l'ifi e la fiat, che hanno per scopo il lucro? Gianni: Ma vede, a un grande gruppo industriale, che sia la Fiat, l'Opel o la Philips poco importa, può procurare soddisfazione. Attorno all'industria ruota un vasto sistema: dipendenti, fornitori, clienti. All'estero la Juve crea immagine. Sono infinite le aziende automobilistiche il cuo nome compare sulle maglie come sponsor. Una società finanziaria invece, non avrebbe lo stesso interesse a queste forme di promozione.
Perchè allora, avete deciso di trasferire all'Ifi, che è una finanziaria, anche la partecipazione della Fiat, che è un'industria, nella Juventus? Gianni: Guardi, la verità è che la Fiat in questo momento ha una tale massa di problemi, gestionali e di altro genere, che non avevo voglia di aggiungervi anche questo. Adesso ce ne occupiamo noi. Poi, un giorno, vedremo.
Ma quanto vale oggi la Juve? Gianni:
Secondo me sentimentalmente moltissimo, materialmente nienteSe fossi un investitore, non comprerei mai titoli di una società di calcio. Sono quelli che sul mercato si chiamano trophy investiments, investimenti trofei. Come il vino Chateau Margaux.
In effetti l'Ifi ha in carico la Juventus più o meno al valore nominale, cioè a pochissimo. Ma sarete inseparabili? Nella storia del gruppo Agnelli, nei momenti di crisi, si sono venduti anche gioielli di famiglia. Gianni:
Personalmente spero di non vedere mai il giorno in cui dovesse sorgere un simile problema.
La ragione vera per cui mi dispiacerebbe è che penso a qualcuno che voglia comprare la Juve penso a qualcuno mosso da ragioni prave. O per farsi perdonare qualcosa, o per cercare popolarità a buon mercato. Per gli Agnelli è più cedibile la Juventus o la Fiat? Gianni: nessuna. Sono due ipotesi a probabilità zero.
La redazione ringrazia Tyson1983 per aver fornito copia dell’intervista e bociaale per averla trascritta
Alcune delle immagini allegate all'intervista