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Domenica 06/04/2025 ore 20.45
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Il Fatto di N. REDAZIONE del 22/12/2012 14:30:34
Delegato a vincere senza follie

 

Antonio Giraudo: Amministratore Delegato a vincere senza follie.
Intervista tratta da Hurrà Juventus del mese di Luglio 1997. Intervista di Adriano Costa.

La mano nuova che guida la Juventus si sentì subito appena, febbraio 1994, ne impugnò le redini.
Sono arrivati scudetti e titoli internazionali del più grande prestigio ed i conti sono tornati in attivo.
In tre stagioni la Juventus squadra ha vinto, in campo nazionale e internazionale, ben oltre quanto si poteva sognare che vincesse e la Juventus società ha registrato in ognuno dei conti economici annuali vitali poste attive.
Di questa duplice capacità di stare in testa alla classifiche sportive e di occupare l'apprezzamento degli analisti finanziari, raggiungendo un equilibro tra i due fattori che pare estraneo alle consuetudini del calcio italiano, parliamo con il polso tosto della mano felice di cui sopra: Antonio Giraudo, amministratore delegato della società, colui che delle sue anime sportiva e finanziaria, della Juventus, è chiamato, dalla proprietà, a rendere conto e ragione.

Dottor Giraudo, forse non ci sono segreti ma certamente esiste una formula alla base dei successi Juventus
Più che di una formula è opportuno parlare di metodo.
Quando la proprietà ci affidò la gestione della Juventus ci chiese di fornire al pubblico e ai tifosi un buon calcio, che facesse divertire e ci chiese di restituire agli azionisti la buona salute dei bilanci.
A svolgere questo compito si è posto un gruppo formato da Roberto Bettega, Luciano Moggi, Marcello Lippi e me che, assieme ai collaboratori, ha fatto l'analisi della situazione, l'esame dei mezzi a disposizione, ha delineato un quadro, si è posta degli obiettivi da raggiungere e si è mossa senza indugi sulla via da percorrere con gli imput di essere sempre vigili, pragmatici, rigorosi verso il raggiungimento degli obiettivi ma allo stesso tempo duttili nell'interpretare le traiettorie dell'azione.
La Juventus tutta è oggi una squadra bene affiatata, serena sia nella versione agonistica, quella formata dai giocatori e dallo staff che scende in campo allo stadio, sia nella sua versione manageriale, quella che in ogni giorno si misura con la necessità di individuare e selezionare le risorse che garantiscono alla squadra ed alla società i mezzi per sostenersi, evolversi e progredire. Quando, come è il nostro caso, i professionisti con cui si opera diventano anche autentici amici, il lavoro diventa un privilegio e il dovere un piacere.
Fatta questa premessa bisogna subito ricordare che la gestione di una squadra di calcio che abbia l'impatto, il prestigio, il valore e la tradizione della Juventus, prevede un'attenzione ed una operatività che impegnano noi tutti a 360 gradi. Per esempio prese di posizione più che legittime come quella di evitare che una società come la nostra dovesse continuare a pagare per il proprio posto di lavoro, oltretutto obbligato e non adatto alla bisogna, lo stadio, sessanta miliardi in sei anni, sono diventate un caso non più semplicemente aziendale, ma un caso sociale che ha determinato l'intervento di forze governative politiche


Tra i successi ottenuti qual è che Le ha dato più gioia?
Sicuramente la vittoria con l'Ajax in Champions League a Roma. Perché i tifosi desideravano più di ogni altra cosa quella coppa che non erano mai riusciti a conquistare completamente

Il profilo della società professionistiche italiane di calcio sta velocemente alzandosi e pare più evoluto rispetto alle posizioni del Governo, del CONI, della Federcalcio e della stessa Lega. A loro volta i club italiani paiono però involuti, in ritardo, rispetto ai grandi club europei segnatamente di Gran Bretagna, Spagna, Olanda e Germania. La Juventus come vive questa duplice contraddizione?
È una situazione contraddittoria che proviamo a interpretare con energia e che stiamo contribuendo a modificare. Siamo presi nella tenaglia di due quadri di riferimento: uno, quello europeo, evoluto, l'altro, quello italiano, vecchio ed inadeguato. La realtà di questa duplice situazione di vita della società che si deve esprimere e confrontare sia in campo europeo che in ambito italiano è complessa e contraddittoria.
Essere inerti oggi significa compromettere la sopravvivenza di domani.
Il calcio è, di gran lunga, lo sport più diffusamente ed intensamente praticato al mondo: basta attraversare il più povero e sperduto villaggio africano o il più elitario college nordamericano per rendersene conto. Ed è anche lo spettacolo più ricercato e visto da una platea costituita da centinaia di milioni di persone. La diffusione planetaria della televisione renderà ancora più popolare il calcio, un gioco semplice, dall'attrezzatura elementare. Del calcio l'Europa è il grande laboratorio mondiale e il ricco bacino di attrazione: i migliori talenti internazionali, lautamente remunerati in conseguenza della sentenza Bosman, vogliono venire ad operare qui. I grandi club europei, dall'Ajax al Manchester, si sono da tempo trasformati in imprese produttrici di sport spettacolo, hanno messo a punto un marketing incisivo, hanno valorizzato il proprio marchio, le insegne sociali, la maglia, i volti della squadra, la sua storia, la sua epica. Sono club che hanno intrapreso attività commerciali connesse e questi elementi e avviato attività immobiliari incentrate su stadi, di loro proprietà, che sono presentanti e vissuti come la comune della società, della squadra e dei suoi tifosi. La Juventus, incontrando innumerevoli difficoltà, si è sintonizzata per tempo su questa linea che è oggi una strada a percorrere obbligata. Il nostro progetto prevede, in Torino, la costruzione del nuovo stadio della Juve, di un suo centro autonomo di preparazione con la facilità di adeguati terreni di gioco di infrastrutture per gli allenamenti atletici e non solo atletici della prima squadra e delle squadre minori. Il progetto globale prevede inoltre l'istituzione di una vallata alpina, che oggi è la Valle d'Aosta con Chantillon, di una casa Juventus estiva, dove svolgere, con la prima squadra e la primavera, la delicatissima fase di preparazione precampionato.
Noi dobbiamo attrezzarci con adeguate infrastrutture sportive e commerciali e con convenienti risorse finanziarie in modo da affrontare non impreparati la terribile concorrenza di domani, le sfide italiane ed europee.
Già oggi è evidente la brillantezza finanziaria del calcio britannico che si propone sui mercati con risorse finanziarie superiori, offrendo quindi non soltanto stipendi ed ingaggi principeschi ma anche il non indifferente supplemento della qualità della vita nelle proprie capitali, nonché la sicurezza e la civiltà del proprio sistema sociale
.

Mentre al tifoso premono sopratutto, se non esclusivamente, la consistenza e la competitività della squadra del cuore e le sue possibilità di vittoria, a Lei stanno anche molto a cuore le necessità più generali e gestionali della società tutta.
Ad ognuno il suo mestiere, recita un antico adagio piemontese. Il tifoso fa il tifoso e vuole vincere a qualunque costo, indifferente ad altre considerazioni. Il tifoso vuole appassionarsi alla vicende ed alle azioni dei nostri calciatori, alle loro imprese, ai progressi ed alle vittorie della sua squadra. Il tifoso chiede una continuità eccellente. Eppoi ci sono diversi tipi, diversi livelli di tifosi che noi vogliamo soddisfare. Il tifoso che viene alla partita pretende giustamente anche una ottima visibilità allo stadio, un livello di comfort adeguato al prezzo del biglietto che paga, chiede servizi e parcheggi comodi, tempi accettabili di afflusso e deflusso, vuole garanzie sulla sicurezza e l'incolumità personale.
Il tifoso che non può frequentare lo stadio vuole poter egualmente seguire la propria squadra, e noi dobbiamo cercare di garantirgli nel tempo più stretto possibile, la massima disponibilità di informazioni ed immagini degli eventi che lo appassionano. La Juventus ha, per limitarci all'Italia, oltre dieci milioni di tifosi appassionati e fedeli, una popolazione più vasta di quella in grado di intendere e di volere di Svezia e Svizzera messe insieme. Una popolazione che non siamo messi in condizioni di soddisfare come essa vorrebbe in termini di visione diretta di tutti i matches della propria squadra. Immaginatevi cosa succederebbe in Svezia e in Svizzera se le loro popolazioni non potessero vedere in diretta tutti i matches della propria squadra nazionale. E il tifoso juventino ha un attaccamento alla propria maglia paragonabile all'attaccamento delle varie tifoserie nazionali ai propri colori ed ai propri beniamini. Noi abbiamo, oltre a quello di vincere anche altri obiettivi solo raggiungendo i quali è possibile accontentare tutte le tipologie delle nostre tifoserie. A ogni tifoso, ad ogni consumatore del prodotto Juve, come direbbe un esperto di marketing, dobbiamo mettere a disposizione ciò che richiede.
Per realizzare tutto ciò noi dobbiamo renderci finanziariamente forti, dobbiamo poterci garantire i migliori uomini che compongono la squadra e gli specialisti che la assistono.
Dobbiamo avere a disposizione strutture autonome per poter operare in contenitori adeguati sia in chiave di preparazione atletica, tecnica, agonistica, fisiologica, sia in chiave di allestimento del match-spettacolo settimanale che è la puntuale verifica della bontà o meno del nostro operato.
Dobbiamo attivare adeguatamente la catena costitutiva dalla creazione della squadra e dei risultati sportivi, che sono i prodotti che esponiamo al mercato costituito, da un lato, dagli sponsor che si legano alla squadra per accompagnarla ed assimilarsi ad essa nei suoi effetti di penetrazioni presso il pubblico e , dall'altro lato, dai network televisivi che sono il più immediato tramite di diffusione presso un utenza che oggi non è soltanto più dei tifosi ma anche di spettatori neutrali che ci apprezzano. Un'utenza, oltre tutto, che non è soltanto più eminentemente maschile, non è più soltanto eminentemente italiana e neppure più soltanto europea e rappresenta dunque una domanda di Juve estremamente articolata e composita.
Tutti i grandi club puntano a questi obiettivi e se è vero che la platea è stata mondializzata dalla tv e si è allargata fino a diventare immensa è anche vero che il podio dell'eccellenza è estremamente privilegiato e ristretto. La concorrenza estrema e serrata ha provocato un rialzamento delle competenze necessarie, un'impennata alla corsa all'emulazione ed una rivoluzione nel senso dell'ammodernamento. Il processo in corso è vasto ed articolato e non coinvolge soltanto più le risorse e le energie interne alle società ed intrinseche al mondo del calcio nazionale ma anche quelle dei Governi, delle Federazione, delle Leghe, degli Enti di gestione nazionali ed internazionali


Perché i Governi?
Faccio soltanto un esempio: quello della pressione fiscale. In Italia è eccessiva, la più alta in Europa in materia di club. Ciò significa che, a parità di ogni altro parametro, una società si vede sottrarre più risorse, più denaro, se è collocata a Milano invece che a Londra od ad Amsterdam. Nella fattispecie ad una società italiana in confronto ad una inglese è come se si togliessero dei quattrini... Inoltre lo Stato italiano non si occupa di gestione diretta dello sport ed infatti non abbiamo un Ministero dello Sport. Lo Stato italiano ha di fatto delegato questa funzione al CONI ma non gli fornisce risorse autonome. Ed il Coni, per vivere e dare da vivere alle sue federazioni, trae le risorse dalla gestione dei concorsi pronostici del calcio. Questi concorsi pronostici, ad esempio in Inghilterra, appartengono ad organismi associativi delle società di calcio che riversano all'interno il prodotto che esse stesse creano. Le società di calcio italiane non intendono venire meno a questa loro funzione produttiva primaria, sfruttata in funzione di sostegno di altre branche sportive, una funzione vitale ed ormai storicizzata di motori pulsanti e di fornitori di risorse delle varie federazioni sportive, ma chiedono almeno che il CONI snellisca le sue funzioni e si modernizzi sul piano tecnologico per permettere giocate più comode e rapide dei concorsi. E il fatto che alla guida della Lega della società calcistiche sia stato chiamato un uomo come Franco Carrato, anche ex presidente della nostra Federazione, del CONI stesso e membro del Comitato Olimpico Internazionale fornisce a tutte le parti in causa una garanzia di equità, di competenza, di equilibrio.
E la Federazione? Come vede all'interno lo sviluppo delle funzioni della Federcalcio oggi che Lei ne è consigliere ed alla guida sta un timoniere aperto al nuovo come l'avvocato Nizzola?
Oggi la nostra Federazione vive trepidamente la delicata fase di trasferimento verso le esigenze di uno sport di élite sempre più spettacolare e spettacolarizzato dai media. L'ordine devi valori sportivi deve essere mantenuto nella sua funzione primaria e basilare ma non si può prescindere dal tenere conto di una evoluzione irreversibile nel senso e negli indirizzi dello spettacolo. La protezione e lo sviluppo dei valori e delle prestazioni sportive restano la base pressoché unica della natura del calcio dilettantistico di cui sono l'anima e che fungono da presupposto della successiva organizzazione professionistica.
Per quanto riguarda l'assetto professionistico oggi le 128 squadre di calcio che ne fanno parte in Italia sono un numero eccessivo. Questa esuberanza crea distonie. Qual è la situazione all'estero?
Presto detto: in Inghilterra i club professionisti sono 98 mentre quelli dilettantistici sono 44.00, cioè quattro volte più numerosi dei nostri. In Germania hanno meno di un terzo dei nostri club professionistici, 36, ma più di due volte i nostri club dilettantistici, cioè 26.000. In Francia? I club professionistici sono 42 e quelli dilettantistici 6000.
Sono cifre eloquenti e lo diventano ancor più quando confrontiamo con l'assetto societario ed i numeri del nostro calcio con quelli dell’intero sport professionistico del paese più industrializzato e ricco del mondo, cioè degli Stati Uniti d’America: con un numero di abitanti quasi cinque volte maggiore del nostro e comprendendo le squadre canadesi che partecipano ai campionati americani, mettendo insieme le leghe degli sport più popolari e diffusi che sono basket, football americano, hockey e baseball. Negli USA operano, in tutto, un centinaio di teams professionistici. Se confrontiamo le cifre USA con quelle delle nazioni che formeranno l’Europa unita di domani dobbiamo constatare che soffriamo di una prolificazione degli apparati e di un gigantismo del sistema che appare ancor più stridente in confronto con una realtà americana che dispone di risorse economiche e di energie sociali nettamente superiori. All’interno di questo confronto negativo fra due supernazioni in qualche modo simmetriche ed omogenee, almeno sotto il profilo delle civiltà che le hanno generate, spicca distonica una realtà italiana ancor più distorta, fittizia e paradossale.
Alla Federcalcio il compito di guardare in seno a questa realtà anomala ed ipertrofica ed apportare le correzioni del caso. Inoltre la Federcalcio ha il dovere di recuperare un maggior peso in campo internazionale, presso la FIFA e la UEFA, in modo che le nostre società siano opportunamente tutelate ed i pertinenti valori e le opportune esigenze del calcio italiano siano convenientemente protetti


E dalla vostra Lega delle società cosa vi aspettate?
La lega, partendo dal punto fermo della salvaguardia dell’unità del movimento professionistico, deve, all’interno di questa globalità irrinunciabile, tutelare le diverse esigenze di ogni singolo club. Non deve sacrificare all’egida di un egualitarismo fasullo le sue funzioni più nobili ed istituzionali che sono la tutela e la promozione globale nel pieno rispetto delle diversità. Non sono uguali, anzi sono diversi e semmai raggruppabili in fasce la realtà e gli obiettivi di ogni società di calcio. La Lega, che è un organismo comunitario, che è la casa di tutti, deve rispecchiare e salvaguardare la natura e le esigenze e gli interessi di queste diversità e dei differenti condomini, ferma restando la funzione collettiva di puntare al raggiungimento di obiettivi comuni. Ciò significa mantenere un’ottica in qualche modo mutualistica, ma con procedure realistiche; significa darsi strutture articolate; significa attivare le potenzialità commerciali latenti in modo da garantire la rendita di un giacimento comune rilevante ma oggi ancora inerte e improduttivo. Noi, le società professionistiche, dobbiamo, a nostra volta favorire la buona navigazione della Lega ed il rispetto di un procedere il più possibile armonioso. Questa rotta mi pare obbligatoria stante l’evoluzione in corso di uno sport dai risvolti sempre più allargati, spettacolari e mas mediatici. Le società di calcio professionistiche sono chiamate a una gestione che dovrà essere sempre più rigorosa e, se necessario, severa. L’irreversibile trasformazione in società di capitali quotabili in Borsa, società produttrici di spettacolo sportivo con una importante componente immobiliare e commerciale, comporta ristrutturazioni col rigore della gestione di impresa. Siamo immersi -prosegue Giraudo- in un processo di globalizzazione e di internazionalizzazione del calcio, d’altronde simmetrico ad analoghe evoluzioni di componenti ed universi dell’economia generale come quelli dell’auto, dell’elettronica, della telefonia, dell’informatica, della moda. Quando si parla di villaggio globale, nel senso di un modo in cui i settarismi e particolarismi locali tendono a essere superati e dove le merci tendono ad abbattere le barriere e i confini, dobbiamo essere coscienti che il calcio, massimo ed ecumenico, spettacolo sportivo, non sfuggirà a questa logica”.

Spettacolo universale che travalica tutte le divisioni in categorie di razza, di censo, di sesso, di età; spettacolo che coinvolge uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri di ogni paese, il calcio importa anche all’interno delle proprie compagini l’indifferenza delle barriere delle multirazzialità. Qualsiasi colore della pelle, qualsiasi lingua ed etnicità, qualsiasi nazionalità sono ben accette in quella sorta di grandi famiglie e di piccole comunità egualitarie che sono le squadre di calcio, un buon esempio di democrazia reale.
Le grandi società stanno costruendo compagini sempre più internazionali. Il primo paese che, per evidenti ragioni di mixing della sua popolazione nazionale, ha messo in campo uomini di provenienza continentale diversa è stato il Brasile: la sua storia di grandi successi è inequivocabile ed eloquente. Ogni grande squadra di club europea mette insieme campioni di provenienza diversa. La stessa recente migrazione dei nostri campioni all’estero è, a questo proposito, significativa. Ed il fenomeno ha cominciato a investire anche i quadri tecnici. I tifosi non guardano al passaporto, ma alle qualità tecniche, atletiche, agonistiche e allo spettacolo. Il tifosi di calcio non è razzista anche se ci sono, è ovvio, dei razzisti tra i tifosi del calcio, ma questo è un fenomeno meramente statistico. L’Italia in particolare ha sempre adottato i grandi campioni, di ogni disciplina, indipendentemente dalla loro provenienza. Basti pensare a fuoriclasse che sono diventati patrimonio sportivo comune come Sivori, Maradona, Pelè, Eusebio, Platini, Merckx, Lauda, Cassius Clay, Owens, Killy. Sotto questo profilo non ci sono e non ci possono essere sintomi di disaffezione dei tifosi. Credo, ad esempio, che l’Africa sia il grande serbatoio di talenti del domani. Il calcio è anche uno sport di iniziazione estremamente popolare: con un oggetto rotondo, che talvolta non è nemmeno un pallone vero e proprio, mette insieme dieci persone a svolgere, per puro piacere, un’attività comune e gioiosa. Sport altrettanto belli richiedono invece attrezzi costosi, contenitori specifici e sono dunque poco diffusi. Per i paesi in via di sviluppo il calcio, come la corsa (che del calcio è tanta parte), si impone come l’attività più naturale. L’esempio televisivo funge poi da ulteriore diffusore emotivo da esemplificatore tecnico. Il richiamo e l’attrazione di ragazzi che, partiti da villaggi poveri, sono diventati ricchi e famosi in Europa, hanno una funzione incentivante”.

Ciò che accadeva, fino a qualche anno fa, per la base negli slums dei neri e nei ghetti ispanici delle metropoli americane
Dall’Africa arriveranno in futuro i grandi talenti, ma io ritengo che sia una forma di colonizzazione andare oggi là ad impiantare delle strutture di selezione. Credo di più all’attrazione naturale dell’Europa attraverso quei paesi che in Africa hanno una presenza dovuta al loro passato politico. I giovani dei Paesi africani hanno un vantaggio, quello di avere da una conformazione fisica superiore a quella dei loro coetanei europei. Come è stato dimostrato anche in un convegno delle Federcalcio tenutosi al Centro Tecnico di Coverciano, essi raggiungono precocemente la completezza delle strutture cartilaginee che permette un ancoramento e uno sviluppo preventivo delle masse muscolari. Ciò spiega la maturità di espressione atletica delle squadre giovanili africane rispetto a quelle europee. Un vantaggio che viene poi compensato dalla migliore maturazione tecnica, da un intenso e costruttivo allenamento atletico dei giovani europei, dal training tattico e anche da quello psicologico che punta sulla capacità di mantenimento della concentrazione per lunghi periodi. Il ritorno in patria come tecnici, animatori e organizzatori di calcio degli attuali giocatori africani sparsi in Europa favorirà l’evoluzione del gioco e dell’organizzazione societaria in paesi destinati a diventare grandi serbatoi di campioni del domani”.

Il ruolo dell’allenatore sarà sempre più quello di un direttore di squadra con alle dipendenze collaboratori destinati a prendersi cura di aspetti specifici dell’allenamento: dalla preparazione atletica sempre più individualizzata, da quella dei portieri fino alla preparazione psicologica?
La figura dell’allenatore sta cambiando: da uomo tuttofare in campo, la sua funzione si è trasformata in quella di regista globale, capace, anche fuori dal campo, di modulare i sistemi di gestione di un gruppo formato da una ventina di bravissimi attori dalle notevoli e disparate personalità e intelligenze. L’allenatore deve essere, oltre che il tecnico e lo stratega della squadra, anche un leader particolare che mantenga l’armonia dell’insieme, che accetti la personalità dei singoli che renda accetta la propria, pur esercitando inevitabili funzioni impositive e di comando. Un uomo in grado di indirizzare e controllare anche lo staff di assistenti che fa da perimetro alla vita della squadra. Un uomo dotato di qualità polivalenti, delicate e ben composte, che vanno espresse e mantenute nel lungo periodo e in condizioni di stress collettivo. La Juventus ha, in Marcello Lippi, un allenatore che possiede queste doti; esse fanno parte del suo bagaglio naturale e fanno di Marcello un campione anche nel senso esemplificativo del termine”.

La necessità di rispettare gli investimenti degli azionisti e la correttezza dei bilanci in una fase di costante crescita dei costi e di conseguente ricerca di ulteriori risorse per farvi fronte, le esigenze del calcio-spettacolo, provocheranno una selezione fatale fra le grandi società professionistiche europee? E chi non sarà preparato per tempo declinerà? La Juventus sta dimostrando con i fatti (che sono i risultati sportivi raggiunti) la costante azione di reperimento di nuove risorse e il contributo alla modernizzazione del quadro istituzionale di riferimento costituito da CONI, Federazione, Lega. Le chiediamo se ciò non comporterà il corollario di una gestione angusta dove le ragioni del bilancio potranno in qualche circostanza prevalere su quelle della ricerca della performance agonistica massima.
Le rispondo subito di no. L’attuale management della Juventus ha ricevuto dall’azionista disposizioni precise ma confini clastici alla loro realizzazione. In soldoni, nessuno ci indica di non spendere per prendere Ronaldo o di vendere Ravanelli per ragioni di cassaforte. L’imput è di fare il massimo per ottenere il miglior risultato. Soltanto una società finanziariamente sana, controllata da una proprietà non emotiva e senza fini trasversali, una società ben programmata e dai programmi lucidi, è in grado di mantenere obiettivi e livelli alti e costanti nel tempo. La Juventus non è mai finita in serie B e non è mai scesa sotto certi livelli. Noi ci siamo posti degli obiettivi alti e intendiamo mantenerli. Tanto più oggi quando soltanto le aziende produttrici di calcio in grado di offrire autentici spettacoli agonistici, con grandi attori e altrettanto importanti avversari, hanno un avvenire certo. Le esigenze del calcio spettacolo daranno sempre più spazio a compagni in grado di mettere in scena grandi competizioni ed intense emozioni. Le dirò di più: il messaggio nuovo renderà meno esasperato il tatticismo che ha contrassegnato gli ultimi anni ed imporrà un arretramento delle tattiche di puro contenimento. Il calcio del domani è un calcio che privilegerà tecnica e fantasia, che concederà vetrina e spazio ai talenti genuini. Una sorta di ritorno al passato che, pur tenendo conto delle ultime evoluzioni del gioco, valorizzerà ed esalterà lo spettacolo e il divertimento. Questo è il più avanzato orientamento generale della società coincidente con il pensiero di Marcello Lippi. L’europeizzazione del calcio mondiale è in corso d’opera e l’adeguamento delle qualità tecniche di base dei singoli giocatori a un gioco che richiede velocità, prestanza atletica e grande versatilità tattica è il contributo che, insieme al altri, la nuova Juventus sta portando all’evoluzione generale del gioco”.

Questa capacità di interpretare l’evoluzione delle cose e magari di anticiparla. Lei l’aveva già mostrata quando, a metà anni ’80, prese in mano il Sestriere. Una stazione di sci decaduta che, nel 1982, non risultava classificata tra le prime 24 stazioni di sci italiane e che otto anni più tardi, con Antonio Giraudo come amministratore delegato, era diventata una delle più note e avanzate campitali mondiali degli sport invernali. Quanto dello spirito di quella avventura imprenditoriale ha portato con se affrontando l’esperienza Juventus?
Entrando in Juventus sono rientrato in un mondo, il calcio, che amo moltissimo e che avevo frequentato fino ai tempi dell’università da calciatore dilettante e nella cui Federazione avevo accettato di ricoprire un ruolo già tempo prima. Sestriere fu una sfida globale accettata e affrontata in un mondo, quello della neve e del turismo, che non praticavo e con cui non avevo affatto dimestichezza. Ciò mi impose di affrontare le cose come un campo ignoto, totalmente da esplorare, su cui c’è tutto da affrontare e che è meglio affrontare senza preconcetti. Anche lì trovai intrecci personali e abitudini consolidate e sclerotizzate nel tempo, un attenzione agli aspetti gestionali di stampo antico, una filosofia aziendale impreparata ad affrontare le sfide dei tempi. Sestriere mi ha insegnato che le formule preconfezionate sono poco utili, che conta l’impegno quotidiano, perché ogni giorno bisogna mettere in discussione le proprie posizioni e verificare l’efficacia delle proprie idee. Mi ha insegnato che non tutto dipende dal rigore tuo, dei tuoi uomini, della tua azienda perché, così come nel calcio una palla che rotola infelicemente può stravolgere un risultato a cui tanti lavorano da tempo, in montagna una nevicata che non arriva può compromettere la programmazione di un periodo e avvilire la laboriosità di una intera comunità. Sestriere, così come altre attività lavorative all’interno del gruppo a cui appartiene anche la Juventus, mi ha insegnato la pazienza”.

La redazione ringrazia Tyson1983 per aver fornito copia dell’intervista
 
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