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Attualità di M. VIGHI del 12/06/2009 07:46:26
L’arte del surrealismo

 

“Cos'è la storia dopo tutto? La storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono col diventare storia.”
Così si esprimeva Jean Cocteau, mente tra le più rappresentative - per qualcuno il vero e proprio fondatore - del movimento surrealista. Per qualcuno. Per molti ma non per tutti, come recitava una pubblicità di qualche anno fa. Eh già, perché nel 1953 il suo collega Andrè Breton, dopo averlo diffamato pubblicamente, ebbe l’intuizione di autoproclamarsi leader del suddetto movimento.
Oggi tutto ciò arriva a noi, storia nelle cui pagine l’inchiostro è ancora fresco, luogo virtuale della conoscenza dove è ancora possibile correggere, rivedere, approfondire. Anche perché è trascorso meno di un secolo da quando i surrealisti nel circolo di Montparnasse si incontravano e nei diversi compimenti dell’arte trovavano espressione le loro anime inquiete.
Fra altri cento anni, chi scrive non ci sarà più, ma sarebbe tanto curioso di sapere chi avrà vinto. Perché qualcuno vincerà. Certo, quando parliamo di avvenimenti che hanno inciso un segno profondo nella storia dell’uomo, anche a distanza di secoli è possibile leggerne diverse versioni, analisi, correnti di approfondimento revisioniste e reazionarie.
Ma per i fatti per così dire minori, che non meno hanno segnato il cammino dell’umanità, questa opportunità non ci sarà. Le verità o le bugie diventate leggenda si ergeranno definitivamente, conformemente a quanto accaduto nel loro divenire, come storia. Senza appello. Fra cent’anni è molto probabile che Breton sia proclamato leader del surrealismo; oppure no. Senza se e senza ma.
Tutto questo relativismo reca con sé il fascino della curiosità. Un fascino indissolubile per la scoperta di misteri, come la creazione della vita, il germe dell’ingiustizia e un vago profumo di verità universale del quale non potremo mai altro che intuire la fragranza in maniera effimera.
Quando però al vaglio della nostra coscienza di memoria storica si pone qualcosa non ancora accantonato dai nostri ricordi, separare i fatti dal mendacio e dalle ipotesi è operazione possibile soggettivamente, e non demandata alla lettura di testi elaborati da altri.
Così, per uno juventino che non può (o non dovrebbe) dimenticare gioie e dolori che la sua squadra gli ha regalato o inferto nel corso della sua vita, il concetto veicolato nell’articolo di ieri pubblicato su La Stampa, “Milano in vendita. E la Juve sorride” suona falso quanto gli scudetti cartonati della banda degli onesti ottenuti grazie a Farsopoli.
Il tema dell’articolo verte sul confronto tra le politiche di bilancio attuate dalla Juventus e dalle milanesi. Paragone impietoso, si sa. La Juventus è sana quanto a conti, mentre le due formazioni di Milano presentano passivi talmente drammatici da richiedere una necessaria corsa ai ripari: leggasi cessione di Kakà in casa Milan (e nell’articolo si menzionano anche gli interessi del Chelsea per Pirlo e Pato), e quella possibile di Ibrahimovic e Maicon sul fronte Inter.
Forte del proprio stato di sostanziale parità, la formazione bianconera è l’unica ad aver registrato invece un acquisto degno di notizia: il brasiliano Diego.
Non ci sono interpretazioni possibili, i fatti dicono questo, e non possiamo che compiacerci. Ne siamo talmente consapevoli da aver sempre sostenuto anche da questi lidi (non che ci volesse troppa scienza) che prima o poi questo momento sarebbe dovuto arrivare.
Avrebbe senza dubbio potuto registrare lo stato dell’arte anche La Stampa, con altrettanta compiacenza vista la sua vicinanza alla squadra torinese.
Curioso che invece Laura Bandinelli e Jacopo D’Orsi, firmatari dall’articolo, non si limitino a questo e abbiano invece pensato bene di suggellare tale verità insindacabile, incastonandola abilmente tra un cappello introduttivo e una chiusura di editoriale che intonano una ode cieca a monsieur Jean-Claude Blanc, che non rispetta tempi e battiture e scrive le proprie note su un pentagramma tutto suo.
Leggiamo così subito nell’incipit dell’articolo che il francese ex organizzatore del Roland Garros sarebbe l’artefice della situazione economicamente eccellente della juventus, prima di ricordarne il merito e la lungimiranza per il famigerato progetto dello stadio di proprietà, cui si fa cenno due volte tanto per rafforzare il concetto: una al termine del primo capoverso ed una come chiusura dell’intero pezzo.
Sul giubilante finale, si fa in fretta a mettere per l’ennesima volta i puntini sulle i: l'oculatezza del progetto è paternità della gestione precedente, da ripartire equamente tra Giraudo e Gay.
Quello che però appare come un artificio fin troppo evidente per esaltare le doti del manager francese è il primo periodo dell’editoriale.
“Jean-Claude Blanc è francese e ha nel dna i geni della rivoluzione”, si dice. Ma forse i geni della rivoluzione, nel senso però di rivoltare la verità storica, sono altrettanto presenti nel dna delle due penne del quotidiano di famiglia, che definiscono Blanc “ideatore del football sostenibile”.
Peccato che la gestione precedente all’attuale in casa Juventus, la tanto vituperata triade Moggi-Giraudo-Bettega, abbia preso per mano la Juventus proprio in un momento nel quale la proprietà non era propensa ad esborsi eccessivamente onerosi. Morale della favola: 12 anni di straordinari successi senza dover quasi mai ricorrere alle tasche, per così dire, di famiglia. Proprio quel che si dice autofinanziamento. E a quando risale l’impostazione di tale politica? 15, dicesi 15, anni fa.
E Blanc sarebbe l’ideatore del football sostenibile? Ma come!?
Per carità, magari ci si può sbagliare sui termini e con “football sostenibile” si intende qualcosa di diverso. Ma no, i due autori dell’articolo specificano: “fatto di vittorie sul campo ma soprattutto di bilanci a posto”.
Fantastico. Quindi dove sta la dimostrazione del talento di monsieur Blanc? Vittorie sul campo, a meno che si voglia considerare il campionato cadetto, nessuna, manco la Coppa Italia. E bilanci a posto? Sì, ma quale autofinanziamento!?
Il merito di aver proseguito il progetto di Giraudo-Gay è senz’altro da riconoscere al francese, in prospettiva. Ma quanto al presente, il risultato in pareggio degli esercizi è soprattutto frutto della famosa ricapitalizzazione.
Ancora una volta, quindi, ci si trova di fronte a bugie che in mancanza di attenzione o adeguate rettifiche, una volta consolidate, potrebbero passare per storia. Di nuovo Cocteau, dunque, un surrealista per una situazione surreale.
Surreale che a passare da eroe di gestione sia alla fine chi ha impiegato i 105 milioni di aumento di capitale in acquisti la maggioranza dei quali a dir poco discutibili.
Surreale che un quotidiano da sempre vicino alla Juventus abbia rimosso gli indiscussi meriti e la politica vincente di autofinanziamento derivato dalla sola gestione sportiva del precedente management, visto che si cita Blanc come ideatore del football sostenibile.
Surreale e inquietante l’ennesima casualità: è di pochi giorni fa l’intervista di Blanc al quotidiano poco pulito, rosa, in cui il dottor Jean-Claude si autocelebra per le stesse ragioni portate in luce nell’articolo in questo editoriale preso in esame.
Come se un deus ex machina stesse involontariamente agendo per innalzare l’indice di gradimento nei suoi confronti.
Ma che andiamo dicendo, è surreale solo pensarlo.
Surreale.
Come tante altre leggende…


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