Tribunale di Napoli - Udienza del 16 giugno 2009
La novità è rappresentata dalla sostituzione del pm Filippo Beatrice (trasferito alla Direzione Nazionale Antimafia) con il pm Capuano. Durante la chiamata delle parti, in sottofondo si possono sentire i pm che concordano l’ordine di escussione dei testi. «Questo qua lo possiamo spostare di una o due udienze? E questi due qua?»...«Così noi ci sentiamo questi tre e chiudiamo le schede, e Galati ce lo riserviamo per una delle due udienze di luglio. Perché noi abbiamo il problema di riempire due udienze…». Narducci “eccepisce” al collega: «…[incompresibile] che questa non sia troppo incazzata, sennò oggi non si fa niente». Capone: «Eh vediamo, se no noi glielo diciamo…». Ma come, i pm hanno questa considerazione per l’impermeabilità umorale del Presidente? “Pubblico ministero, così non va eh!” (cit.). «Vabbè, mò me li segno e me li vedo oggi i nomi …», bravo!
Paparesta, anche in considerazione delle sua precedente condizione di indagato nel procedimento, è il primo testimone assistito da un legale di fiducia. Paparesta per tutto quanto non già oggetto dei precedenti verbali si avvale della facoltà di non rispondere, si limita a conferire sulle dichiarazioni già rese in istruttoria.
Dopo aver illustrato tutto il suo CV di arbitro (o ex arbitro non si sa), Gianluca Paparesta riferisce sui suoi legami e quelli del padre con Moggi e Fabiani. Per quanto riguarda i rapporti di Romeo Paparesta con i due imputati, l’ex arbitro Gianluca conferma in modo pedissequo la testimonianza del padre.
Narducci chiede al teste se e in quali occasioni ha utilizzato i telefonini che Moggi aveva dato al padre. Paparesta jr. ricorda le polemiche e le contestazioni successive a Reggina-Juventus del novembre 2004. Paparesta ricorda la visita nel suo spogliatoio di Moggi e Giraudo, «i quali si lamentavano delle mie decisioni, che vedevano a loro dire sempre la Juventus penalizzata. Queste proteste erano forti, vibrate, però senza mai eccedere in parolacce. Erano solo con toni molto alti, dicendo che era una vergogna che ogni volta che arbitravo la Juventus accadevano queste cose. Ce l’avevo con loro… Nei confronti dei miei assistenti avevano un tono piuttosto simile». Paparesta chiese ai due drigenti di rimanere calmi e di uscire. Narducci chiede di riferire le frasi che Moggi e Giraudo gli avevano rivolto, ma non ottiene nulla di nuovo rispetto a quanto il teste ha già raccontato fino a quel momento. Pochi minuti dopo i due rientrarono in compagnia del presidente della Reggina, Giraudo evidenziava con toni simili ai precedenti che «i moviolisti di tutte le trasmissioni gli confermavano la colossalità degli errori che lamentava». I movioisti «erano scandalizzati dall’arbitraggio e dagli errori commessi». Paparesta per la seconda volta invitò i dirigenti a accomodarsi fuori dallo spogliatoio arbitrale. A questo punto Narducci chiede: «In quelle circostanze, al primo o al secondo accesso, è mai stata chiusa dall’esterno la porta dello spogliatoio in cui vi trovavate?» Paparesta: «Io non ho avuto mai, assolutamente, nessuna percezione di chiusura di porta o altro. Io ho saputo di questa chiusura nel momento in cui sono venute fuori le prime notizie di stampa che dicevano che a Reggio Calabria c’era stato un arbitro chiuso negli spogliatoi, ma non immaginavo fosse il mio caso. Veramente non ho avuto percezione di questa chiusura». Narducci procede a formale contestazione: «dal verbale del 13 maggio 2006 su questo specifico punto lei invece dice: “non escludo che proprio nel lasso temporale rappresentato dall’uscita del Moggi e del Giraudo dagli spogliatoi per poi rientrare, la porta del nostro spogliatoio sia stata materialmente chiusa a chiave. Tale ultima circostanza mi sovviene in relazione a un’espressione, se non ricordo male, di uno dei due assistenti che si chiedeva testualmente: ma che hanno chiuso la porta?”. Questa è la circostanza che lei riferì, in particolare di un’espressione utilizzata da uno dei due assistenti». Paparesta: «Ho detto questo perché sicuramente forse (sicuramente o forse? ndr) anche in maniera forte chiusero la porta. Uscirono sbattendo la porta. Ma io della chiusura con la chiave della porta dello spogliatoio o se questa è avvenuta, io non ho avuto percezione. Perché comunque mai io ho tentato di uscire dallo spogliatoio e ho trovato questa porta chiusa». Narducci: «Ma questa frase lei la ricorda? Questa espressione utilizzata da uno dei due assistenti». Paparesta: «Sì, la ricordo perché in quei momenti di concitazione ci fu anche la chiusura della porta. Questo mi ha portato a pensare e a dire questa frase, ma non perché io volessi dire che l’avevano chiusa. Anche perché non avrei motivo per non riferire questo episodio. Io non ho avuto mai percezione della chiusura a chiave dello spogliatoio». Pace in terra agli uomini di buona volontà! Narducci si arrende: «Ho compreso!». Paparesta racconta che omise di repertare l’episodio per non acuire le tensioni con la dirigenza juventina, per di più aveva voluto considerare la concitazione del momento e la circostanza che i dirigenti bianconeri non avevano proferito parolacce. Al pm che incalza, Paparesta ribadisce che non voleva acuire le tensioni con quella che era una delle principali società del campionato italiano e fa presente che ha considerato anche che un eventuale provvedimento verso i due dirigenti non avrebbe avuto ripercussioni apprezzabili sull’esito del campionato (una squalifica ad un dirigente non è come una squalifica ad un calciatore o ad un tecnico). Narducci ricorda a Paparesta che il 13 maggio 2006 ha dichiarato: «Se avessi determinato un deferimento nei confronti dei dirigenti juventini per i motivi sopra accennati ne sarebbe derivata una consistente compromessine delle mie aspettative di carriera». L’avvocato Prioreschi contesta che si tratta di sensazioni… Teresa Casoria: «Lo pensava lui, abbiamo capito» Paparesta ribadisce che «conoscendo il potere e la forza di quella società (la Juve) nell’ambito federale, ha preferito evitare di riportare quei fatti nel referto».
Dopo aver parlato dell’accaduto col padre, Romeo, e su suo stesso consiglio, Paparesta decise di chiamare Moggi per chiarire la sua posizione e per cercare di far cessare i duri attacchi mediatici ai quali - a suo dire - era sottoposto per un’occulta regia del Dg bianconero. Fu così che Romeo Paparesta, utilizzando uno dei telefonini forniti di sim svizzera, chiamò Moggi e lo passò al figlio. La conversazione, secondo quanto riferisce Gianluca Papapresta, ebbe durata brevissima, forse dieci secondi. Non appena Moggi sentì l’arbitro disse chiaramente che con lui non voleva parlare e riagganciò.
Romeo Paparesta, non arrendendosi al rifiuto di Moggi, cercò l’intercessione di Fabiani per far riallacciare il contatto tra il Dg bianconero e il figlio. Nei giorni successivi, utilizzando un telefonino che gli prestò il padre e chiamando un numero già in memoria, dopo due telefonate e tramite Fabiani riuscì a parlare con Moggi. Paparesta riferisce che: «i toni erano molto meno tesi della precedente (telefonata), però ognuno rimase sulle proprie posizioni. Io sostenevo che avrei fatto solo quello che giudicavo giusto fare nel momento che andavo ad arbitrare sia la Juventus che il Milan, che la Lazio, che il Chievo, che qualsiasi altra squadra. Lui sosteneva che invece io a priori andassi quasi a penalizzare la Juventus».
L’attenzione del pm si sposta sui rapporti tra Bertini e Paparesta. L’arbitro barese riferisce del legame di amicizia che lo lega al collega Bertini e di come era solito anche sfogare i momenti di sconforto con quell’amico. Il pm chiede anche delle telefonate avute con Bertini, in paticolare chiede se abbia usato il telefonino che gli aveva dato il padre, la risposta è negativa. Il pm chiede delle conseguenze a cui andò incontro dopo gli errori di Reggio Calabria. Paparesta risponde che ci fu una riduzione dell’impiego relativamente alle partite di serie A e alle partite di cartello. Il fermo durò solo una o due settimane.
Narducci chiede al teste se è mai stato a Quarto d’Altino (VE) e se in quella località ha utilizzato un telefonino consegnatogli dal padre. Qui Paparesta è un po’ contraddittorio: il padre gli avrebbe lasciato il telefonino perché scarico, incaricandolo al contempo di chiamare con lo stesso telefonino Fabiani e rimandare un appuntamento telefonico già fissato. Paparesta jr chiamò il numero memorizzato, ma vanamente. Dopo quell’occasione non ebbe mai più modo di utilizzare i telefonini del padre.
Narducci ricorda a Paparestta che dal 3 all’11 febbraio del 2005 (da giovedì a venerdì compresi) fu impegnato in un toreo under17 in Turchia. In relazione a quest’impegno il pm chiede a Paparesta se in quei giorni parlò con Moggi o con Fabiani, Paparesta risponde di no e, intuendo che il pm glielo chiede perché da una intercettazione sembra che Moggi sapesse la data del suo rientro da quell’impegno, smentisce tutto quanto il dirigente bianconero afferma con sicurezza in quella telefonata. In particolare Paparesta smentisce di essere rientrato dalla Turchia nella data prospettata da Moggi e ricorda di come gli obblighi di partecipazione agli eventi del torneo in cui era impegnato lo rendessero impossibile.
Tornando sui fatti di Reggina-Juventus, il pm chiede se anche in altre occasioni i due dirigenti bianconeri avessero fatto irruzione nei suoi spogliatori. L’ex fischietto barese ricorda di altre decise proteste ( come ad esempio dopo la finale di ritorno di Coppa Italia del 2004 tra Juve e Lazio), ma nessun ulteriore episodio di irruzione negli spogliatoi. Su domanda di Narducci, Paparesta ricorda che dopo quella finale di coppa rimase fermo per quasi un mese. Il provvedimento di fermo fu motivato dai designatori per l’intervista non autorizzata rilasciata a fine partita ai microfoni della RAI.
Narducci chiede se i designatori Bergamo e Pairetto avessero il medesimo tipo di rapporto con tutti gli arbitri o se con alcuni il rapporto fosse particolare. Alcuni arbitri usavano intrattenersi di più con i designatori, dopo cena, anche giocando a carte. Vi era «un forte rapporto di confidenza tra i designatori e il collega Trefoloni, che era quello più assiduo a questi incontri e a questi rapporti più confidenziali. C’era anche De Santis. Soprattutto era palese questa differenza con Trefoloni».
Alla domanda se ai raduni arbitrali sia mai stato presente Moggi, il testimone conferma che in una sola occasione, la consegna di alcuni premi di categoria, ha constatato la presenza del dirigente bianconero.
Comincia il controesame delle difese.
Il primo a controinterrogare è l’avvocato Messeri, difensore di Bertini, che era molto amico di Paparesta. «Bertini le ha mai detto di avere una scheda telefonica svizzera?» Risposta: «No». «Ha mai telefonato a Bertini su un numero svizzero?» Risposta :«No» «Bertini era tra quegli arbitri che avevano un rapporto che lei avvertiva come privilegiato con i designatori?» Risposta: «No».
Per la difesa di Moggi il controesame è condotto dall’avvocato Trofino. L’avvocato chiede a Paparesta, che ha dichiarato di aver omesso di repertare l’irruzione di Moggi e Giraudo soprattutto “perché la Juventus era una delle squadre più importanti del campionato e perché aveva un peso”, «se nell’occasione si fosse trattato dell’Inter, del Milan o di un’altra squadra di peso, la sua valutazione sarebbe stata la stessa?» Paparesta: «Ovviamente sì». Trofino: «Tra le ragioni che la portarono a volersi giustificare con Moggi o con altri, vi era anche la consapevolezza di aver commesso un errore vistoso, che aveva danneggiato grandemente la Juventus?». Paparesta: «Non volevo giustificarmi il mio errore. Volevo solo sottolineare che non c’era da parte mia nessuna volontà di penalizzare nessuna squadra». In merito al periodo di fermo (per altro piuttosto breve) e alla destinazione a partite di serie B, l’avvocato Trofino chiede a Paparesta di chiarire se questa era la prassi adottata nei confronti degli arbitri che sbagliavano. Paparesta conferma che quella era la consuetudine e che il fermo da lui subito rientrava nella prassi normalmente adottata. Il legale di Moggi chiede anche se, nonostante le valutazioni personali dell’arbitro, fosse comunque vietato agli arbitri di rilasciare interviste non autorizzate come invece aveva fatto Paparesta dopo la più volte ricordata finale di Coppa Italia tra Juventus e Lazio. Paparesta, nonostante voglia porre l’accento sui contenuti delle dichiarazioni, deve ammettere che questo divieto esiste.
L’avvocato De Vita, difesa di Bergamo, ricorda a Paparesta che nel campionato 2004/2005 ha arbitrato quaranta partite, l’ex arbitro barese conviene che si tratta di un numero importante. È evidente, come tende a dimostrare la difesa, che in quella stagione Paparesta non subì ostracismi di sorta. Paparesta dichiara che solo dopo gli eventi di Reggio Calabria venne a conoscenza del telefonino che Moggi aveva dato al padre. I legale di Bergamo chiede se ai raduni a Coverciano presenziavano anche i dirigenti delle squadre di calcio. «C’era una logica di amalgama tra modo arbitrale e mondo dirigenziale?» Paparesta: « I dirigenti non venivano, tranne che in occasione dei sorteggi arbitrali. Ricordo di aver visto solo dirigenti o segretari di squadre toscane». De Vita: «Attualmente percepisce qualcosa di diverso?» Paparesta: «Attualmente sono fuori e non conosco la situazione all’interno. Sicuramente non vedo particolari differenze».
Interviene l’avvocato Bonatti, difesa Pairetto. «Lei è mai stato avvicinato in modo anomalo dal Dott. Pairetto con la richiesta di privilegiare alcune squadre o di adottare criteri diversi dai suoi standard di oggettività, le è mai stato richiesto un trattamento preferenziale per chicchessia?» Paparesta: «No, assolutamente».
Dopo gli interventi degli avvocato Gandossi (per Meani) e Morescanti (Fabiani) Paparesta viene congedato.
Evviva! Forse ci siamo finalmente convinti che Paparesta non è mai stato sequestrato e che Moggi non fa parte dell’anonima sequestri. |