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Eventi di G. FIORITO del 26/05/2013 08:41:23
Umberto Agnelli, l’altra faccia della Juve

 

C’è un episodio che non riesco a dimenticare. Partecipando a un paio di convegni su calciopoli ho udito più di una volta Gigi Moncalvo e Luciano Moggi raccontare come il giorno della scomparsa del Dottore l’ex DS della Juventus si trovasse in auto con Giraudo e avendo appreso per telefono la triste notizia, questi commentasse che per entrambi era tutto finito.

Giorno 1 Novembre 1897 nasceva a Torino la Juventus. 37 anni dopo, giorno 1 Novembre 1934, il miracolo della vita metteva al mondo l’ultimo dei 7 fratelli Agnelli, nati da Edoardo e Virginia Bourbon del Monte di San Faustino, nipoti del senatore del regno d’Italia Giovanni Agnelli, che fu tra i fondatori della FIAT. Il piccolo Umberto rimase ben presto orfano dei genitori, che scomparvero entrambi in un incidente, il padre aereo quando era di appena un mese e la madre automobilistico, quando non aveva che 11 anni. Per questo motivo la sua fama è di essere stato tra gli Agnelli quello che meno subì l’influenza del nonno e riconobbe in Gianni una figura più significativa di quella di un fratello.
Come era scritto nel destino e in quella data che indissolubilmente lo legava alla Juventus, Umberto ne divenne il più giovane presidente tra il 1956 e il 1962, a soli 21 anni, guadagnandosi la fama di sapersi assumere l’onore e gli oneri di una riorganizzazione che seppe aprire due cicli di grandi vittorie per la squadra bianconera. Quando aveva 12 anni aveva assistito a un match Roma Torino finito 0 a 7 e si era infatuato del colore granata, motivo per il quale raccontava come un aneddoto la lavata di capo ricevuta in famiglia per tornare al bianconero. L’entusiasmo e la precoce maturità condussero Umberto a concepire subito un piano grandioso, che si concretizzò nei tre scudetti del 1958, del 1960 e del 1961, propiziati dall’aver affiancato a Giampiero Boniperti due stelle del calibro di Charles e Sivori. Si narra di una notte insonne con il collaboratore Walter Mandelli, nella quale furono consumate andando su e giù le pietre della pavimentazione di Piazza San Carlo, per il dilemma di dover far coincidere quegli acquisti da record con l’obbligo dettato dalla politica di bilancio bianconera, che imponeva investimenti solo in vista di guadagni. Dettaglio che ha fatto chiedere a Maurizio Crosetti se mentre l’Avvocato con la Juve ci giocasse, non fosse nelle corde di Umberto piuttosto lavorarci.

Le brillanti operazioni per la conquista della Prima Stella, una sua invenzione, portarono per acclamazione il giovane Umberto alla Presidenza della FIGC, giudicata però in conflitto di interessi quando la Corte di Appello Federale decise di rimangiarsi la vittoria a tavolino rimediata dall’Inter contro la Juve per una presunta invasione di campo. Ormai fuori tempo per uno spareggio, avendo i bianconeri già incassato lo scudetto, i nerazzurri mandarono in campo una formazione giovanile, che perse per 9 a 1. In quella partita si chiudeva un epoca e ne sbocciava un’altra, così come giocava per la prima volta Sandro Mazzola e per l’ultima Giampiero Boniperti.

Nel 1965 Umberto assunse la presidenza della Piaggio e della SIMCA, dopo aver sposato la figlia adottiva di Enrico Piaggio nel 1959, che nel 1964 gli diede il primogenito Giovanni Alberto. Nelle intenzioni di Umberto c’era un modello gestionale di gruppo non più di tipo piramidale, ma organizzato per società operative dotate di autonomia, che cercò di trasferire alla FIAT quando nel 1970 fu nominato amministratore delegato.
Nel 1974 arrivarono le seconde nozze con Allegra Caracciolo, cugina di Marella, moglie di Gianni e altri due figli: Andrea nel 1975 e Anna nel 1978.

Nel frattempo si aprì nel 1976 una parentesi politica che lo portò a candidarsi e a essere eletto nelle file della DC con l’intenzione di perseguire la formazione di una nuova classe dirigente più competente e interessata alle problematiche economiche. Deluso dall’esperienza e dall’ostruzionismo di Donat Cattin, per nulla propenso a cedergli il collegio senatoriale di Pinerolo, tornò alla FIAT, dove intanto, in seguito alla crisi aziendale del 1980 e allo scontro con i sindacati, era maturata la soluzione di affidare il management a Cesare Romiti. Fu forse in quel periodo che Umberto si guadagnò la fama di colui che intendeva maggiormente spostare gli interessi dalla FIAT, dando agli affari di famiglia un respiro più internazionale. Lavorò infatti a trasformare l’IFIL, la finanziaria di famiglia, in una holding internazionale.
In realtà Gianni Agnelli aveva espresso il desiderio di passare il testimone alla presidenza della FIAT al fratello Umberto al compimento del 75° anno d’età, nel 1996. Trovandosi ancora l’azienda in forte stato di crisi, fu però definito con il direttore di Mediobanca Enrico Cuccia un piano di ricapitalizzazione che avrebbe posto dei vincoli alla libertà di azione degli Agnelli, escludendo di fatto il Dottore dalla presidenza.

Un risarcimento particolare lo attendeva: il ritorno alla guida della Juventus, che aprì l’era di Lippi, della quotazione in borsa che sanciva il passaggio da sport in business, ma soprattutto della Triade. Il nuovo gruppo dirigente della Juventus fu costituito da una mente, Antonio Giraudo, dal massimo conoscitore e operatore del mondo calcistico italiano, Luciano Moggi e da Roberto Bettega, il volto che perpetuava e garantiva la costante dello stile Juve.
Con la Triade la Juventus raggiunse vertici di successo straordinari, non solo con la conquista di 5 scudetti, una CL e una Coppa Intercontinentale, ma soprattutto alla luce di un piano gestionale riassunto da Antonio Giraudo con queste parole nella famosa intervista rilasciata a Repubblica giorno 1 aprile del 2006, appena un mese prima che lo tsunami di calciopoli vanificasse tutto : “Una grande industria che produce utili per una parte sportiva di assoluta eccellenza”.
Il tifoso granata Giraudo era approdato a fianco di Umberto Agnelli, del quale fu segretario personale, amministratore del patrimonio e fautore di un rilancio nel settore immobiliare, passando per la Toro assicurazioni. Scrisse Gianluca Beltrame su Panorama il 4 febbraio 20010 che il suo ufficio in corso Marconi, al piano nobile del quartier generale della FIAT, era diventato il quartier generale degli umbertiani. Ne nacquero divergenze di strategia con Romiti, che si concretizzarono in guerre periodiche, finché Romiti, “tra il 1989 e 1990 non ottenne la testa di Giraudo”. (LInk)

Giraudo si trasferì in via Solferino, dove era la sede dell’IFIL. Fu il consigliere di Umberto tanto quanto Gabetti e Grande Stevens lo furono di Gianni. Nel 1994 diventò amministratore delegato della Juventus, iniziando un’altra era, dopo quella di Giampiero Boniperti.
Nel suo libro “Storia segreta del capitalismo italiano”, Cesare Romiti ha raccontato nel 2012 un episodio che tocca l’apice drammatico della rappresentazione della faida intestina che ha rischiato di spaccare e distruggere la famiglia del Re d’Italia Gianni Agnelli, trascinandosi dietro in un vortice che di tanto in tanto sembra tornare a girare, qualche pezzo del nostro paese e qualcosa che a vario titolo, livello intellettuale e intensità emotiva è nel cuore di un quinto circa degli italiani: la Juventus. Oltre a rimproverare a Gianni Agnelli di aver sottovalutato le potenzialità politiche del Cavaliere, Romiti ha spiegato di avere in qualità di ottuagenario l’età e l’esperienza per concedersi talune rivelazioni, rievocando la sua devozione fedele all’Avvocato sia ai tempi di tangentopoli, che quando fu scelto in John Elkann il suo successore. Come un vecchio aedo ha fatto rivivere Umberto sul palcoscenico di un teatro dove si è consumata una tragedia, narrando come nel corso del consiglio dell’accomandita gridò in faccia a tutti e soprattutto al fratello il suo disappunto per l’estromissione del figlio Andrea: «Gianni, tu ci hai convocato oggi per decidere la designazione di John. Voglio venga messo agli atti che è esclusivamente una tua decisione». Romiti ribatté: «Io dissi che era una convinzione di tutti i presenti. Umberto replicò: "No, caro Romiti, è una decisione dell'Avvocato"». (Link)


Nel settembre 2005, racconta Giorgio Dell’Arti nel “Catalogo dei viventi 2015” citando Marco Ferrante (Link), prima di una nuova assemblea dell’accomandita, Andrea Agnelli si dichiarò contrario in un’intervista all’operazione di equity swap che avrebbe dovuto riportare la famiglia sopra il 30% dell’azionariato FIAT. Voleva rendere chiaro l’interesse per l’azienda e non per i propri affari, sostenendo la soluzione di un accordo con le banche. Intendeva far pesare il filone ereditario, il fatto di chiamarsi Agnelli. Secondo Ferrante la tensione all’interno della famiglia ebbe due picchi. Il primo quando La Stampa, il giornale di famiglia, dichiarò che quelle di Andrea erano opinioni personali e che all’Ifil era in carico come stagista, mentre era anche consigliere d’amministrazione della Fiat e portavoce di una quota del 10 per cento circa dell’accomandita che detiene insieme a sua sorella Anna. Il secondo perché “Andrea, come tutto il lato umbertiano della famiglia, era contrario alla defenestrazione di Moggi e Giraudo e a tutta l’operazione di cosiddetta ‘pulizia’ portata avanti dai gianniani della famiglia”.

Nel 2009, dopo essere stato assolto con formula piena, così come Giraudo e Bettega, nel processo per doping amministrativo, Giraudo ribadì: “Valeva 20 milioni di euro. L’abbiamo lasciata con un valore di 250 milioni. Non esisteva società migliore della Juventus: per 12 anni siamo stati un modello per il calcio nel mondo. Solo il Manchester United aveva più ricavi grazie alla proprietà dello stadio. Averne uno nostro era il mio progetto”.

Nel 1997 è scomparso, anche lui portato via da un tumore come il padre, il primogenito di Umberto. Quel progetto continua con Andrea, che il 19 maggio 2010 è diventato ufficialmente presidente della Juventus, aprendo una nuova era che ha l’ha già condotto alla vittoria di 2 scudetti, dopo la parentesi di J.C.Blanc.
Umberto Agnelli non temeva che la dimensione di luce carismatica nella quale si muoveva il fratello Gianni potesse gettare ombra sulla sua personalità più pragmatica e volitiva. Ha molto amato la Juventus. Non lasci suo figlio che siano le ombre di calciopoli a offuscarne la memoria.

"Un giorno (Ivana) Nedved trovò in cucina un signore che non conosceva. Si preoccupò e telefonò al marito: 'Pavel, in cucina c'è un vecchietto'. Il vecchietto era Umberto Agnelli..." . Da “La mia vita normale”, di Pavel Nedved.
 
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