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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Farsopoli di E. LOFFREDO del 10/07/2009 16:53:18
Insinuazioni ad scolorandum

 

Come la maggior parte delle volte accade in questo Paese, l’ondata emotiva della prima ora viene delusa dal maturare degli eventi.

Così sta accadendo anche per calciopoli. La piena giustizialista dell’estate del 2006 viene lentamente ridimensionata dallo svolgersi del processo in corso a Napoli per quei medesimi fatti che hanno levato un quasi unanime coro di indignazione verso l’ex dg della Juventus.

Capita quindi che le penne all’epoca intinte nel livoroso sentimento popolare (espressione di Moggi) tornino a voler solcare con l’inchiostro della menzogna l’opinione pubblica: solo la menzogna può occultare la menzogna.

Siccome dal processo napoletano a Moggi e ad altri ventitre presunti consociati (già altri ventitre!) comincia ad emergere tutto il fumus persecutionis che ha sostenuto le accuse in sede di giustizia sportiva, gli audaci ed intrepidi giornalisti italiani tornano alla carica. Ma non per raccontare finalmente una verità che sembra avere connotati diametralmente opposti a quella finora da molti sponsorizzata.

Se dunque dalla nona sezione del tribunale di Napoli emerge che a Reggio Calabria non vi fu mai sequestro di persona a Paparesta e ai suoi assistenti, se emerge che lo stesso negozio – il cui titolare è vicino di casa di molti calciatori interisti – dove comprava schede svizzere l’impiegato della Juve era in realtà frequentato anche dalla dirigenza interista e dal fratello del presidente nerazzurro, se emerge che il trapassato Giacinto Facchetti intratteneva rapporti con un arbitro in attività e insieme a questi complottava per “incastrare” Moggi e la Juve, se emerge tuttò ciò e anche altro, è colpa del presidente del collegio giudicante, Teresa Casoria!

Teresa Casoria è colpevole.
È colpevole di avere un modus operandi e una dialettica che concede poco sia alle difese che all’accusa. Già, il non favorire i pm è una colpa. In un paese emotivamente giustizialista come il nostro, poi, lo è ancor di più.

Soprattutto, Teresa Casoria è colpevole di capire poco o nulla di calcio (magari non tifa neanche per “‘O Napule”). E non capendo e non interessandosi di calcio, è forse (e sottolineo forse) impermeabile al “comune sentire popolare” di calciopoliana memoria.

Ah, il comune sentire popolare!
Cara Teresa, Lei non può capire, è forse (e ri-sottolineo forse) troppo imparziale!

È partita dunque in queste settimane la consueta azione di censura a mezzo stampa dell’operato del Presidente del collegio che deve giudicare Moggi.

Tra gli ultimi a dire la loro, c’è l’avvocato Bruno Catalanotti, difensore del Brescia calcio, tra le parti civili escluse dal processo. L’esimio avvocato ricorda che le parti civili sono state escluse dal processo «per criteri di economia processuale. Motivazione comica, appunto, surreale, fuori da ogni previsione del sistema processuale, arbitraria ed irragionevole. Il Brescia è stato costretto a ricorrere alla Cassazione in forza dell’articolo 111 della Costituzione che prevede tale impugnazione contro i provvedimenti ‘abnormi’».
Per il nostro, quindi, non si possono addurre motivi di economia processuale per decidere se una parte deve stare o meno in giudizio.
Ma come, non era stato lui ad appellarsi al criterio di economia processuale per far riammettere il Brescia? Riprendo quanto scrissi dell’intervento dell’avvocato Catalanotti nell’udienza “Dattilo” del 21 aprile: “facendo leva sui criteri di economia processuale fondanti l’ordinanza di esclusione delle parti civili, ricordando che solo sette o otto delle originarie trenta parti hanno presentato ricorso per Cassazione – non potendo più le altre a causa dello spirare dei termini per la proposizione –, si può ben accogliere l’istanza di revoca l’ordinanza, non rappresentando così poche parti (che essendo più qualificate, non proporrebbero tutta la serie di eccezioni, ostacoli bagatellari e eccessiva litigiosità, ndr) un impaccio al processo”.

Quindi la compostezza e l’educazione processuale di poche “elette e qualificate” parti civili sarebbe motivo sufficiente per farle riammettere? E quale sarebbe il discrimine rispetto ai diritti delle altre parti non ricorrenti in Cassazione? Ché forse gli avvocati delle altre parti bestemmiano e dicono parolacce in aula? Boh!
E che sono queste, se non “motivazioni comiche, surreali, fuori da ogni previsione del sistema processuale, arbitrarie ed irragionevoli”?

Sempre per restare al rispetto del Diritto, di cui sono sicuro l’esimio avvocato Catalanotti è un grande cultore, farebbe bene l’illustre giurista a smentire il passo in cui ricordando gli altri ricorrenti per Cassazione, afferma: «E con il Brescia, anche gli altri soggetti danneggiati dalla cupola “moggiana”».
Cupola “moggiana”? Forse all’ex dirigente bianconero potrebbe non far piacere essere accostato a condotte sanzionate dall’articolo 416bis del codice penale (associazione di tipo mafioso). Chissà, magari potrebbe agire in virtù dell’articolo 595 c.p. (diffamazione).

Ma vi è di più. L’insigne avvocato, prima ancora che la Cassazione riammettesse sei delle sette parti civili ricorrenti, si è spinto addirittura a censurare un eventuale rigetto degli “Ermellini” . Infatti, se la Cassazione avesse rigettato il “suo” ricorso avrebbe condiviso «con il Tribunale di Napoli le responsabilità, innanzitutto morali, dell’ingiustizia perpetrata».
Cos’è questo, mettere le mani avanti? Dopo la decisione di stamattina della Suprema Corte, l'avvocato Catalanotti si sarà sicuramente rasserenato. In attesa di tornare a condividere il proscenio processuale con «i valorosissimi pubblici ministeri».

L’avvocato Catalanotti si lamenta infine che questa situazione di «denegata giustizia» (parole usate durante l’udienza del 21 aprile) è figlia di «una modalità, quella dell’attacco al pm (i “valorosissimi pubblici miniseri”, Catalanotti, 21 aprile 2009 - ndr), che ricorda molto da vicino quella che utilizzarono i nemici di Tangentopoli, nella pretesa di legalizzare l’accaduto con il ricorso all’insopportabile refrain ‘così fanno tutti’».

Da che pulpito! Sentire una simile predica da chi si posiziona in prima fila per gettare discredito sul Presidente del Collegio che lo ha escluso dal processo, mi pare francamente “contraddittorio”.
Mi ricorda quei presidenti e “onesti” praticanti della pedata, che giustificano anni di insuccessi con l’errata decisione su un fuorigioco e al contempo tacciono di aver subito sul campo per settantacinque-ottanta minuti su novanta.

Ciò che silenziosamente sta trapelando dal Tribunale di Napoli sconfessa un bel po’ di gente nel Belpaese.
Ecco allora che chi si accorge di essere in fuorigioco non rientra al di qua della linea dei difensori, ma incomincia a sbraitare e dà la colpa all’arbitro se viene pizzicato in off-side.

Prevedo brutte pagelle per l’arbitro Casoria il lunedì dopo la sentenza.

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