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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Editoriale di M. VIGHI del 23/07/2009 15:44:41
FATTI, NON PUGNETTE!

 

“Fatti, non pugnette!”, chiosa il cabarettista Paolo Cevoli nei panni di Palmiro Cangini, improbabile assessore alle attività varie ed eventuali del comune di Roncofritto. Il divertente personaggio personifica l’insipienza, l’ignoranza, l’incapacità e l’arroganza dei pretestuosi politicanti dei piccoli comuni del nostro Paese. Ed esteso in larga scala, naturalmente, dell’intero panorama dei nostri rappresentanti in parlamento.
“Fatti, non pugnette!” può essere visto come uno slogan dalla doppia lettura. Nella più classica interpretazione, l’invito alla concretezza pronunciato da un soggetto prototipo dell’inettitudine, punta il dito contro chi predica bene e razzola male, e contro il nulla cosmico che si cela dietro tante belle parole con cui chi detiene il potere, piccolo o grande esso sia, cerca di rabbonirci.
Personalmente, volendolo caricare di un ulteriore significato pungente in onore della migliore satira dai risvolti costruttivi, lo estenderei anche all’altro lato della medaglia: sì, è vero, siamo circondati da gente che proclama e mai mette in pratica. Ma è altrettanto vero che è lo stesso volgo, inteso come massa anonima, che sembra avere una particolare predilezione per le pugnette ed una scarsa propensione all’attenzione per i fatti.
Non si spiegherebbero altrimenti le composizioni dei vari palinsesti televisivi, sempre più scarni di cultura ed educazione, ed invece costantemente popolati da sederini, pettegolezzi, scandali, urla e vacuità varie.
Il format caratteristico della maggioranza dei telegiornali troppo spesso sembra oramai ricalcare la seguente struttura: 5 minuti di cronaca, 5 minuti di insulti tra politici, 10 minuti tra cronaca nera e casi umani strappalacrime vari, 5 minuti di chiappe al vento e gossip sui “vips”, 5 minuti di meteo (quest’ultimo attesissimo ormai quasi quanto il posticipo domenicale!). Infine, sezione ad hoc dedicata allo sport (o meglio alle chiacchiere sullo sport). Ai fatti dunque il 25% (quando va bene), il restante alle pugnette.
Il meccanismo televisivo insegue fatidicamente la massimizzazione dell’audience, e se questo è ciò che trasmette, significa che l’italiano medio ama trastullarsi pigramente sulle note delle canzoni di Al Bano, accompagnate dalle sue vicissitudini con Loredana Lecciso, cogliendo i minimi dettagli dell’omicidio di Garlasco, divagando tra le accuse reciproche tra PDL e PD (mai d’accordo ovviamente su nulla, sempre inveendo gli uni sugli altri, non sia mai avanzare qualche proposta per il Paese, neanche fossero lì per quello…), sfogliando le nuove foto di Fabrizio Corona e ammirando il fondoschiena della Arcuri.
Del resto, anche se ormai nessuno se lo ricorda più, un mese e mezzo fa siamo stati chiamati alle urne per rinnovare il mandato dei nostri delegati al Parlamento Europeo.
Quanti minuti hanno speso le televisioni e quanto inchiostro versato i quotidiani per rinfrescare in noi la memoria del meccanismo di attribuzione dei seggi a Bruxelles? Quanto parimenti per ingraziarci il nostro voto attraverso proposte elettorali in chiave continentale? L’1% della fiumana ininterrotta di aggiornamenti sulla natura del rapporto tra Noemi e Berlusconi?
Ma cosa aspettarci di diverso se nell’estate del 2006 alla Juventus venne applicata la sanzione della retrocessione e la revoca di scudetti anche sulla base del “sentimento popolare”? Le pugnette in quel caso furono determinanti più dei fatti.
E ancora, il quotidiano poco pulito, rosa, non mancò di titolare con caratteri giganti in prima pagina la richiesta dei PM, perché solo di tale si trattava, nel processo Gea: “6 anni a Moggi!” (immaginiamo comunque senza fatica le pugnette di tanti a quel titolone…). Titolone per la richiesta, non altrettanto per la sentenza. Oggi che il processo di Napoli sta correndo tutto in un’unica direzione, quanto spazio i quotidiani, ed in primis quelli sportivi, riservano alla cronaca? Poco o niente. Neanche l’ombra della voracità con cui si contendevano gli scoop delle telefonate di Alessandro Moggi con Ilaria D’Amico.
Sistematicamente, le pugnette vengono preferite ai fatti.

E’ in un contesto così intellettualmente vivace e stimolante che trova giustificazione l’importanza attribuita a Zdenek Zeman, boemo di Praga nato nel 1947 e nipote di Cestmir Vicpalek, quest’ultimo allenatore della Juventus nei primi anni ’70. Fu proprio lo zio materno Cesto ad instradarlo nel mondo del calcio: divenne così allenatore delle giovanili del Palermo nell’anno 1981.
Come allenatore, Zeman è stato sempre coerente alla impostazione tattica del cosiddetto 4-3-3. Una volta entrato nel mondo professionistico, i suoi schemi sono stati spesso oggetto di discussione per la loro vocazione offensiva, certamente spettacolare, ma non necessariamente redditizia: se si segnano una caterva di goal ma se ne subiscono una caterva più uno, in classifica non ci si muove!
Ad ogni buon conto, ancora più che per gli schemi calcistici, giornali e televisioni si sono spesso interessati al tecnico ceco in virtù delle sue dichiarazioni al vetriolo: dichiarazioni velenose e polemiche, contro un “sistema” calcio e molto più spesso contro un “sistema juventus”, mai supportate, nelle sue parole, da fatti concreti. Poteva pertanto l’italietta antijuventina e sempre pronta a gridare all’intrigo di palazzo (salvo poi tacere quando esso davvero è in atto!) non partecipare gaiamente a una simile pugnetta? Un’orgia di pettegolezzo, in parole povere.
Zeman ha persino il suo sito ufficiale, e cosa troviamo in homepage? (sì, ci sono andato: sono un voyeur anch’io, lo ammetto!). Niente meno che la sua affermazione ad effetto, dalla quale Guariniello & Company presero spunto per il processo per doping alla Juventus conclusosi con un nulla di fatto, ovverossia con la piena e completa assoluzione dalle accuse di doping.
Ma nell’immaginario collettivo di ogni antijuventino, naturalmente, la Juve è rimasta colpevole, e Zeman assurto a paladino della giustizia. Potenza della pugnetta. D’altronde sarebbe ingrato levare questa piccola soddisfazione agli altri. Abituato a godere fino in fondo, essendo sul campo costantemente superiore, il tifoso juventino deve almeno lasciare la consolazione della pugnetta agli altri.
Antonello Venditti ha persino dedicato una canzone al coraggioso Don Chisciotte boemo, “La coscienza di Zeman”, immagino scimmiottando il titolo del libro “La coscienza di Zeno” (pugnetta mia ovviamente sottolineare che il gioco di parole accosta Zeman a Zeno, e che il personaggio del libro di Italo Svevo è indiscusso archetipo della figura dell’inetto!!!).
“A mio parere, la grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza in ogni angolo del mondo c'è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi. Ma il calcio, oggi, è sempre più un'industria e sempre meno un gioco”. Estrapolata dal contesto, in effetti, la frase appena riportata di Zeman è di una verità insindacabile. Ed anche di una banalità e ovvietà tali da fare impallidire il celebre (per chi c’era e se lo ricorda) Catalano della banda di Renzo Arbore di “Quelli della notte”.
Peccato che quel ricorso alla parola “farmacia” fu l’inizio di una serie di invettive verso i muscoli di Vialli e Del Piero ed il lavoro di Agricola e dello staff medico juventino.

Potrebbe venire da chiedersi se sia Zeman che abbia cavalcato l’onda emotiva dell’antijuventinità per guadagnare maggiore celebrità e credibilità, oppure se il tecnico sia sempre stato in realtà coerente con l’ideale dello sport pulito che tutti noi ci auguriamo, e siano state stampa e televisioni e costruirgli intorno l’alone mistico di paladino dei poveri contro i ricchi (ovvero contro i vincenti di sempre, quindi contro la Juventus). La seconda interpretazione appare un po’ ardua. O presumerebbe quantomeno una ingenuità colossale di Zeman nel non accorgersene, e di conseguenza accondiscendere involontariamente a questo processo di identificazione.
La domanda comunque mi pare un po’ troppo pretestuosa, pertanto non la approfondisco oltre e passo al sodo: molto in sintesi, la carriera di Zeman.

Fatto: il primo successo di Zeman allenatore porta la targa del Licata, stagione 1984/85, che conquista la promozione dalla serie C2 vincendo il girone D.
Pugnetta: “straordinario il suo tabellino: in 34 partite ottenne 15 vittorie, 14 pareggi e solo 5 sconfitte; 58 gol realizzati contro i 30 subiti” (dal sito di Zdenek Zeman, sono recidivo!).
Fatto: in un campionato a 3 punti il cammino del Licata equivale a 59 punti. Esempio a caso: nella stagione 2007/08, C2 girone B, stesso numero di partite, la classifica finale è stata la seguente: Reggiana 70, Bassano 66, Portogruaro 61. Con 59 punti il Licata si sarebbe pertanto classificato quarto? Non c’è controprova. Ma se il Licata fece un campionato “straordinario”, l’allenatore della Reggiana del 2008 dovrebbe essere stato come minimo convocato da Perez per allenare il futuro Real Madrid di Kakà e CR7.
Pugnetta: la Lazio di Zeman fu sfavorita da molti errori arbitrali (sempre il suo sito).
Fatto: tre anni dopo, allenatore Eriksson, la Lazio vince lo scudetto.
Pugnetta: “Luglio 1998: scoppia la bomba doping. Il mister parla di calcio che deve uscire dalle farmacie e dagli uffici finanziari, provocando la scomposta reazione di molti personaggi dell'ambiente che si sentono tirati in ballo dalle dichiarazioni di Zeman. Tali dichiarazioni gli porteranno non pochi problemi.....quante partite senza rigori durante il campionato successivo!!!!!!!!!” (dal sito di Zeman: i punti esclamativi non sono stati aggiunti dal sottoscritto. E vale la pena di aggiungere un'altra nota: era allenatore della Roma quell’anno).
Fatto: due anni dopo, allenatore Capello, la Roma vince lo scudetto.
Fatto: nei soli campionati professionisti, Zeman ha collezionato una decina di esoneri. Anche nei campionati esteri (Fenerbahce, Stella Rossa) nessun trofeo e due licenziamenti.
In conclusione, dal 1986 al 2008 Zeman ha allenato le seguenti formazioni: Foggia, Parma, Messina, ancora Foggia, Lazio, Roma, Fenerbahce, Napoli, Salernitana, Avellino, Lecce, Brescia, ancora Lecce, Stella Rossa.

Dunque Zeman da quasi una decade non ottiene una panchina di prestigio nel panorama del calcio italiano di serie A.
La sua notorietà, tuttavia, non tende minimamente a calare. Certo, dal punto di vista prettamente tecnico 10 anni sono molti, specie per chi non vanta un palmarès personale invidiabile. Così, secondo alcuni rumours di calciomercato, l’unica proposta che potrebbe essere vagliata da Zeman allenatore sarebbe relativa, almeno per il momento, alla panchina del Gallipoli.
Ma lo Zeman opinionista delle grandi crociate per un calcio pulito è sempre sulla cresta dell’onda, con stile immutato: accusa vaga, sempre stuzzicata dal giornalista di turno, e mai circostanziata.
E così, mentre a malapena i quotidiani dedicano quattro righe una tantum al processo di Napoli, spesso travisandone il reale significato, il quotidiano poco pulito, rosa, trova l’opportunità negli ultimi quattro mesi di pubblicare un paio di interviste al tecnico boemo. Evidentemente, ciò verrà reputato più opportuno e consono alla vendita del quotidiano del chiedersi come mai Secco fu ripreso per aver tenuto contatto con un soggetto inibito (Moggi), mentre ciò non avviene per il contatto tra Moratti e un altro inibito (Preziosi).
Prendiamo atto che il lettore medio del quotidiano rosa non tende a porsi domande su fatti, come quello sopra esposto, ma vuole sentirsi tranquillizzato nelle sue convinzioni.
Come nell’intervista di Calvi a Zeman del 30 aprile 2009.
- Lo scandalo calcio non c’è più, eppure gli arbitri sbagliano ancora tanto.
«Ma non ci vedo malafede. Al limite, riscontro la solita sudditanza verso i grandi club: c’è stata e ci sarà sempre. E' umano, invece, che gli arbitri sbaglino, come capita a giocatori, allenatori e presidenti».
Come si vede, il giornalista suggerisce già la risposta (lo scandalo non c’è più), e il paladino della giustizia tranquillizza gli inquieti: sì sì, ora non c’è più malafede.
Salvo comunque tra le righe buttarla lì sul solito mondo di raccomandazioni che lo taglia fuori in quanto troppo puro.
- S’aspettava le «promozioni» di Ferrara alla Juve e Leonardo al Milan?
"Ferrara? Non mi meraviglio più di niente, soprattutto dopo che il c.t. della Nazionale ha fatto capire che un allenatore va valutato anche al di là dell’aspetto tecnico-tattico. Leonardo? È intelligente, saprà imporsi: intanto, però, frequenta ancora il corso di Seconda categoria e poi potrà allenare con la deroga". (sempre Calvi, intervista del 21 giugno 2009).

Ma sì, insospettiamoci perché Leonardo può allenare e Zeman invece è corteggiato dal Gallipoli.
Magari se lo chiederà anche la redazione sportiva, al telegiornale, dopo averci mostrato il clima di domani, l’ammissione della Hunziker che si era presa una cotta per Bisio, un bel servizio su Michael Jackson (da qui a settembre non ce lo leva più nessuno) e l’intervista alla zia della vicina della nonna della D’Addario, che naturalmente è molto più importante dei decreti al varo del governo.
A furia di pugnette, vien quasi il sospetto che il suolo italico sia ormai prevalentemente popolato da ciechi! Del resto, i fatti gli cosano. E chi non partecipa alla pugnetta in compagnia, o è un ladro o è una spia. Oppure, più semplicemente, non viene preso in considerazione perchè è stufoso.
 
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