Non è bello, ma è così: della giustizia, quella vera, non importa a nessuno dei tanti commentatori, o delle tante coscienze a tassametro. Funziona il riflesso condizionato del giustizialismo, funziona la sfida fra poteri, avvince il clangore delle sciabolate, ma la giustizia non interessa.
Ecco la prova: basta leggere l’ordinanza (N.03891/2009 Reg. Ord. Sosp.) emessa dalla III sezione ter del Tar Lazio (presidente Italo Riggio, relatore Giulia Ferrari) per trovare qualche risposta. Anzi, a dire il vero, più di una risposta. Ma è la realtà. E così i Giudici Amministrativi hanno giudicato
doppiamente illegittimo (nonché illogico) il provvedimento emesso nei confronti di
Gianluca Paparesta, ordinandone la sospensione.
Ebbene: il 4 luglio del 2008 l’AIA decise l’estromissione dell’ex arbitro per motivi tecnici. Inizialmente senza neppure una proposta dell’Organo Tecnico. Successivamente dopo il pronunciamento del Tar e del Consiglio di Stato è arrivato il tanto atteso parere del Designatore, cioè l’Organo Tecnico. Ebbene, il succo di quel provvedimento/proposta era che, non avendo arbitrato per un anno (a causa di una sospensione cautelativa emessa dalla stessa Associazione Italiana Arbitri, perché colpito da un avviso di conclusione indagini da parte della Procura di Napoli che immediatamente dopo ha, al contrario di altri colleghi, prima stralciato e poi definitivamente archiviato la posizione del Paparesta), non era più in grado di arbitrare. Fine delle trasmissioni.
Adesso, dopo che la Camera di conciliazione del Coni ha rimesso nuovamente tutto nelle mani del Tar, sono gli stessi giudici a demolire – questa volta sì tecnicamente – quel provvedimento.
L’illegittimità deriva dal fatto che non è possibile ritenere un arbitro non più “idoneo” per il sol fatto di essere stato fermo per un anno. Non solo, dice il Tar, perché la norma sull’avvicendamento prevede una valutazione sul rendimento degli anni precedenti (sempre nei primissimi posti in graduatoria), ma anche perché detto organo (cioè il disegnatore) “arbitrariamente trascura i limiti che alle sue valutazioni – si legge nell’ordinanza del Tar – derivano dalla normativa sovra ordinata e comunque adotta, senza averne il potere, un criterio selettivo palesemente illogico…”.
Di tutto questo naturalmente si è letto poco, per non dire nulla, anzi, un amico ha giustamente evidenziato di come, nonostante le macerie di Calciopoli siano ancora vive e vegete, c’è qualcuno che pensa con un titolo di cancellare tre anni che rimarranno per sempre nella storia: per aver azzerato il calcio italiano nel mondo.
Senza averne il potere, e soprattutto le prove, la giustizia del calcio italico ha fatto detonare un ordigno che ancora oggi ha il suono sordo di chi, giustiziando e strumentalizzando, ha portato alla gogna chi di quel sistema non ha mai avuto fiducia.
La storia che seguirà continuerà a raccontare notizie di quello che doveva essere il più grande male del calcio italiano, scoprendo nel tempo poco più che una bolla di sapone, costruita senza averne il potere.
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