Molte volte ci siamo trovati ad affrontare problemi legati alla comunicazione concentrando le nostre attenzioni sul come si attua il condizionamento mediatico anche attraverso i messaggi di chi, per ruolo e immagine pubblica, ha la possibilità di raggiungere una vasta platea. Proprio con riferimento a questa problematica, riporto la domanda e relativa risposta tratta dall’intervista a Buffon della Gazzetta dello Sport pubblicata nell’edizione del 30.01.2013.(
Link)
Chiede il giornalista:
Voi calciatori vi rendete conto del peso che hanno le vostre parole? La risposta di Buffon:
«Sappiamo di avere il potere di condizionare gli altri. Ma non per questo spetta a noi educare le persone, è una responsabilità che non è giusto darci, anche perché molti di noi sono giovanissimi. Poi è chiaro che su questioni legate ai tifosi, come i cori razzisti, ogni tanto è opportuno lanciare un messaggio».La prima riflessione non è altro che una conferma:
c’è la consapevolezza di avere il potere di condizionare. Proprio per questo, spesso critichiamo i campioni/dirigenti/presidenti, che prima di un impegno importante, lanciano messaggi subdoli atti a creare una pressione psicologica sul tifo (e non solo) che magari potrebbe tramutarsi anche in uno stimolo involontario alla violenza. Basta ricordare le recenti parole di De Rossi riprese da tutte le testate sportive: "Chi ci stava davanti, in un momento preciso è stato fortunato su alcuni episodi” (
Link). Con quale consapevolezza si lanciano e si diffondono questi inutili messaggi?
Una cognizione che dovrebbe inevitabilmente portare ad avere
responsabilità, sia da parte dei campioni, sia da parte dei media. Per educare e far crescere una sana cultura dello sport è indispensabile poter contare sull’impegno di chi “può condizionare”, soprattutto in un mondo come quello del calcio, capace di tramutare una chiacchiera da bar in un’accusa atta a capovolgere l’esito di un campionato (calciopoli docet).
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