Il calcio è quello sport in cui la palla è rotonda e la partita dura 90 minuti. Dove quando si vince con più di un goal di scarto si parla di rendere più rotondo il risultato. Dove quando una squadra è in crisi ed i giocatori vogliono salvare la panchina all’allenatore, essi si impegnano in sodale a fare quadrato intorno all’allenatore. Senza parlare della disposizione degli undici in campo, a formare una squadra molto corta in fase di pressing e possesso palla, o troppo lunga quando le gambe non mulinano più a dovere ed i difensori non trovano più le energie per sortite offensive, né le punte quelle per rientrare a difendere. Uno sport per il quale in tempi non troppo remoti, quando ancora il superenalotto non occupava le fantasie degli italiani più delle passerelle della Arcuri, uomini e donne avrebbero tanto desiderato avere la sfera di cristallo per poter azzeccare un 13 al totocalcio. Uno sport, come tutti del resto, dove la forma è essenziale. Quella fisica, quella mentale, quella della disposizione tattica. Ci sarebbe in realtà anche un altro tipo di forma, e mi riferisco questa volta alla comunicazione, ovvero al modo di esporre i contenuti di una qualsiasi dichiarazione, sia nel senso di stile, sia nel senso di esteriorità rispetto al contenuto. In questo la Juventus era maestra, chiunque la rappresentasse di fronte a microfoni o telecamere. Ed era maestra anche in un altro tipo di forma: quella propria del comportamento, tanto da meritarsi nel corso della storia l’etichetta di “stile Juventus”. Con un rammarico di non poco conto, mi accorgo però di dover prendere atto che negli ultimi tempi ci sono stati alcuni episodi in contrasto con questa qualità che, di riflesso, sentivano orgogliosamente come propria anche i tifosi di Madama. Due esempi sono lampanti. Il primo concerne certamente il finale della stagione passata, e il confronto con la maledetta stagione del 1990 che ricordo benissimo rende decisamente l’idea. Come ammesso pubblicamente da alcuni giocatori, in primis se non erro l’allora capitano Stefano Tacconi, in quella stagione lo spogliatoio si ribellò all’allenatore in quel momento in carica, Gigi Maifredi. La squadra aveva disputato un girone d’andata più che dignitoso e si trovava ancora in una situazione ipoteticamente di contesa dello scudetto. I giocatori voltarono le spalle al tecnico ex Bologna, e la Juventus, per la prima volta dopo quasi trenta anni, chiuse il campionato con un piazzamento che la escludeva dalla possibilità di partecipare alle competizioni europee. Incancellabili nella mia memoria magre colossali, quali quella con il Pescara, o con il Genoa, tanto per citarne un paio. Chi stava però in quel momento nella plancia di comando della gloriosa Juventus, da par suo, prese la decisione di non licenziare l’allenatore e lasciargli concludere la stagione prima di sostituirlo. Così fu, e certamente non vi fu nessuno stillicidio di dichiarazioni fuori luogo o scene isteriche da parte dei professionisti della Juventus. Ben diverso l’atteggiamento a cui si è assistito nella passata stagione, dove i giocatori sembravano cani sciolti, ognuno libero senza subirne poi conseguenze (almeno a quanto si sia saputo) di dichiarare la propria insoddisfazione. Dalle battutine di Camoranesi ai lamenti di Giovinco, dai pianti isterici di Buffon al continuo tira e molla nei confronti di chi in campo non ha reso quanto nelle aspettative, come ad esempio Tiago, mai confermato e dunque incoraggiato a parole, ma anzi cercato disperatamente di liberarsene, peraltro senza successo (come del resto accaduto anche nel recente calcio mercato, e non solo per il portoghese). Grave anche l’atteggiamento nei confronti dell’allenatore, più volte a parole confermato e subito sconfessato nelle dichiarazioni successive, sulla graticola fino a fine inverno, prima di essere scaricato a parole ma non ancora nei fatti quando in primavera la squadra appariva molle e priva di determinazione. Una condotta che verosimilmente ha inciso fortemente sull’improvviso scompenso degli equilibri che recò un esasperante filotto di partite senza vittoria, e che portarono all’allontanamento di Ranieri lasciato solo con il cerino in mano. Una decisione che avrebbe dovuto essere presa molto prima, assumendosene le responsabilità; oppure, in caso contrario, a fine stagione come avveniva nei tempi passati. Nessuna sorpresa che molti tifosi si siano sentiti spaesati da un licenziamento avvenuto a tre giornate dal termine, nella migliore tradizione dei presidenti mangia-allenatori, i Cellino, Zamparini o Gaucci della situazione, con tutto il rispetto parlando. Lo stile Juve era un’altra cosa. Del resto, passando al secondo esempio, le contestazioni sono sempre esistite anche nella tifoseria bianconera, tuttavia non ricordo sit-in di protesta e striscioni dei tifosi fuori ad attendere mentre si tenevano i cda, né ostracismi violenti come quello che si continua a vedere nei confronti di Cannavaro, anche se in verità quasi ristretto agli ultras del gruppoViking. Potenza di farsopoli, in grado di dividere ed esacerbare gli animi di una tifoseria già di per sé poco coesa in passato. Un ulteriore episodio curioso, legato a Buffon, mi riporta con la memoria al Marcello Lippi dell’interregno tra il Lippi1 ed il Lippi2, ovvero alla sua parentesi presso la corte degli onesti, allorquando infuriato si espresse davanti alle telecamere con un perentorio “se fossi il presidente prenderei tutti a calci in culo”. Con quale petto tronfio ci confrontavamo tra tifosi bianconeri, rimarcando che tali espressioni in casa Juve, dove vige uno stile, non si sono mai sentite né dal bel Marcello né da altri. Peccato che per molto meno in questi giorni Gianluigi Buffon, che a quanto pare da alcuni mesi non riesce a tenere a freno né i pianti né la lingua in una fiumana continua di dichiarazioni, risponda ad un giornalista “mi sono rotto i coglioni” di rispondere alle vostre domande sul gap tra juve e inter.
Certo fa specie rilevare tutto ciò a fronte di un presidente, Giovanni Cobolli Gigli, che almeno in quanto a parole delle forme sembra esserne innamorato, al punto da citarle anche con espressioni assolutamente inusitate. A fine luglio, prima della gara contro il Real Madrid nella Peace Cup, le sue parole furono: “La Juventus è una squadra rotonda che non ha più bisogno di nulla per competere al più alto livello”. Se Ranieri amava ripetere ai microfoni che desiderava una squadra quadrata e compatta, temo che avesse sbagliato tutto: perché la squadra che ha in mente il nostro management è rotonda. E del resto, come giudicare l’inizio di Ciro Ferrara come allenatore, dichiarazione rilasciata ieri in concomitanza con il match con il Milan? “Penso che sia un uomo vero nel senso rotondo del termine”. Buon per Ferrara, rotondo è bello. Ma stia attento, perché potrebbe non bastare. E al presidente piace molto anche Conte: “lo stimiamo molto, lo apprezziamo, lo ricordiamo come grande giocatore della Juventus, lo abbiamo apprezzato anche come tecnico, poi, per una serie di ragionamenti fatti da Blanc, abbiamo preferito Ferrara, ma questo non vuol dire che il nostro apprezzamento per Conte non sia reale.” Che abbia voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte?
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