Così si esprime John Elkann nei confronti dell’affaire Agnelli, in questi giorni soggetto ad una significativa esposizione mediatica: “Sono indignato, e mi rendo conto di non essere l'unico, per le strumentalizzazioni e manipolazioni e per la violenza delle parole e delle falsità su mio nonno Gianni Agnelli. […] Tutte queste vicende vanno affrontate nelle sedi adeguate e non sui media”.
Ripensando alla famosa frase pronunciata da John il 7 maggio 2006 in riferimento ai presunti (in quel momento erano tali) atteggiamenti poco ortodossi della triade in campo sportivo, “risponderemo nelle sedi
opportune”, le espressioni “adeguate” e “opportune” suonano come sinonimi.
Ma se nella lingua italiana i sinonimi sono sovrapponibili senza modificare il senso della frase, le reazioni di John in risposta alle due differenti situazioni sono tutt’altro che identiche.
Così come la direzione della sua indignazione.
E allora, ancora una volta, viene naturale, quando non
opportuno, richiamare alla mente anche il caso equity swap, le responsabilità di Gabetti, l’atteggiamento di Jaki verso la stampa e quello della stampa versus Exor.
Tre situazioni esemplificative, da osservare sotto tre diverse angolazioni, e se qualcuno per caso aveva deciso di non considerare il triangolo, si senta pure invitato a fare, anche solo per curiosità, l’esercizio intellettuale.
Filo conduttore delle tre situazioni è la temporalità: quando J. Elkann invita a discutere nelle sedi preposte, le tre questioni sono in fase di inchiesta e ancora lontane da qualunque esito della giustizia. La coerenza del giovane rampollo di casa Agnelli non corre invece sullo stesso binario. Scoprire il nonno al centro di qualsivoglia interrogazione, e ci mancherebbe altro non fosse che per questioni affettive, è fonte di dolore; lo sdegno appare quindi una forma estremamente forte e significativa di difesa.
Nel caso Gabetti-equity swap, la difesa dell’operato del grande manager braccio destro del nonno è certamente meno partecipe, ma egualmente decisa.
Moggi, Giraudo e Bettega, invece, vengono scaricati senza appello con la famigerata dichiarazione: “Siamo vicini alla squadra ed all’allenatore”.
Mio modesto parere è che qualsiasi tifoso juventino abbia verosimilmente ritenuto
opportuno che Jaki a suo tempo avrebbe dovuto mantere la medesima coerenza anche nei confronti dell’ex management vincente di corso Galfer. Ma tant’è, andò diversamente. E John Elkann valutò che l’
opportunità fosse diversa.
E che dire delle reazioni nei confronti della stampa?
Scartando, causa mancanza di elementi per la valutazione, il caso Gabetti, giacché la pressoché totalità degli organi di informazione ha speso in merito si e no un decimo dell’inchiostro versato per acclamare o condannare il “cucù” di Berlusconi alla Merkel, John Elkann esprime forte sdegno nei confronti delle pubblicazioni apparse su Il Giornale e su Libero in questi giorni. Due quotidiani il cui insieme dei lettori è assai lontano dal rappresentare l’intero panorama del bacino degli utenti avidi di informazione.
Anche in questo caso, le differenze emergono subito nette: non una parola in tal senso fu proferita nei confronti dell’accanimento mediatico che accompagnò la formazione bianconera e la sua dirigenza, iniziato il 22 aprile 2006, giorno della prima soffiata sul quotidiano poco pulito, rosa, dal quale la penna di Palombo già iniettava cianuro nel corpo del popolo bianconero, e gli esiti conclusivi della farsesca inquisizione sportiva di quella maledetta estate.
Coerentemente a quanto sopra esposto, vale anche in questo contesto la diversa natura dell’affetto attaccato dai media: nonno e squadra calcistica non possono essere messi sullo stesso piano.
Tuttavia, non ci si può certo esimere dal chiedersi per quale ragione ogni tifoso juventino immune da perversioni masochiste si sia sentito umiliato dalla condanna preventiva e continua dei mezzi di informazione (senza dimenticare che tutto ciò fu imprescindibile per la determinazione di quel sentimento popolare causa della retrocessione della Juventus, stante assenza di illecito sportivo) ed invece l’attuale presidente della gloriosa società bianconera non vi abbia mai fatto caso. Né prima, né mai. A mani bassi e cilicio indossato, ci si concesse a 4 mesi di derisioni, allusioni, sputi in faccia e quant’altro, senza batter ciglio. Ed ancora oggi, passati tre anni, non è stata presa distanza da quegli atteggiamenti, ed anzi si continua ad annoverare il quotidiano sportivo poco pulito, rosa, tra le partnership della Vecchia Signora. Perché non si considerò mai questa
opportunità? Dulcis in fondo, espressione di rara intempestività, giacché in questo editoriale semmai non ci sottrae dal bere fino in fondo l’amaro calice, resta da analizzare la gestione dei tre casi da parte dei quotidiani.
Già detto che giornali e televisioni ritennero opportuno analizzare poco o niente il caso Gabetti-equity swap, la differenza di comportamento dei restanti due da parte delle testate giornalistiche, che dovrebbero essere “amiche” di casa Fiat, assume contorni quantomeno inquietanti.
Se Repubblica ha molto ma molto timidamente cavalcato l’inchiesta de Il Giornale e Libero, i giornali del gruppo Rcs ed il quotidiano di famiglia La Stampa non solo sono stati ben attenti a mantenersi a distanza di sicurezza dalla sacrilega rotta dei due dissidenti organi di stampa, ma hanno ravvisato l’
opportunità di lanciarsi in una controffensiva di rara intensità, pubblicando due interviste di forte condanna nei confronti della figlia dell’Avvocato, Margherita, nonché madre di John e Lapo. Sulle pagine del Sole24Ore tocca a Henry Kissinger, grande amico dell’Avvocato. E sul Corriere della Sera è invece la volta di Guido Rossi, ironia del caso, proprio colui che contribuì largamente all’affossamento della Juventus, dando vita ad un serie di anomalie nel procedimento sportivo mai viste in precedenza, a partire dall’abolizione di un grado di giudizio, l’arbitrato, passando tra le altre cose per la sostituzione delle giurie ad incolpazioni già pronunciate, fino a spingersi alla attribuzione dello scudetto di cartone alla seconda squadra di Milano.
Si dice che oramai il Quarto Potere sia fin troppo sottovalutato nella sua definizione di “Quarto”, vista nella società di oggi la sua capacità di plasmare l’opinione pubblica. Ma anche senza prospettare necessariamente chissà quali ingerenze da parte di John Elkann, che pure recentemente si è mostrato seccatissimo nei confronti de Il Mondo, reo di essere stato un po’ indelicato nei suoi confronti, viene abbastanza naturale sospettare che un professionista ci pensi su, non una, ma cento volte prima di causare un danno, anche solo di immagine, al proprio datore di lavoro.
Perché allora furono invece proprio Gazzetta dello Sport, Corriere e La Stampa i quotidiani più inferociti nel dar addosso alla Juventus, e nessuno si pose questi scrupoli? Nessuno in quei casi si chiese se non fosse
opportuno girare il collo dall’altra parte, per non temere di offendere il capo?
Senza contare che chi si ritrova con grandi poteri nel mondo dell’editoria, sa bene che effetto possa scaturire una offensiva mediatica.
Persino Buffon se n’è accorto in questi giorni, rilasciando la seguente dichiarazione: “Era da ottobre che continuavano martellamenti di ogni genere, offerte dall'estero e mica solo estero, voci strane. Nessuno smentiva, per cui mi sono fermato a pensare: non è che ci sia qualcosa di vero? A un certo punto era anche venuto fuori che mi stavo separando da Alena: quando cominciano a circolare queste cose, vuol dire che stanno costruendo le condizioni per mandarti via. E siccome il calciatore è come il marito cornuto, l'ultimo a sapere, mi sono detto: se è vero, tolgo il disturbo”.
“Costruire le condizioni per mandare via” è l’espressione che calza a pennello con quanto accaduto dal 22 aprile 2006 ai verdetti sportivi sentenziati.
Perché nessuno si curò di smentire mai alcunché, limitandosi in una sola occasione a richiamare future “sedi opportune”?
Perché solo quando si parla della delicata questione di famiglia si dichiara esplicitamente che “i media non sono la sede adeguata”, mentre per la Juve si può lasciar fare?
Come mai, tra tutti i giornalisti di quel segmento dell’editoria che a livello azionario fa riferimento a John Elkann, nessuno colse l’
opportunità di intervenire in difesa di quella squadra che rappresentava il “giocattolo” preferito di casa Agnelli?
Come diceva Oscar Wilde, “le domande non sono mai indiscrete. Lo sono, talvolta, le risposte”.
Non si senta pertanto indiscreto ogni tifoso juventino che ha colto nelle dichiarazioni e nelle vicende di questi giorni l’ennesima
opportunità per porsele.
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