Al club doc “Gaetano Scirea” di S. Lucia del Mela (ME) Alessandro è giunto a Trapani dopo aver effettuato delle esperienze significative come assistant coach di Bonetti con lo Zambia e la Dinamo di Bucarest. Dialogando con noi ha riconosciuto che il calcio africano e sudamericano è in questo momento in crescita rispetto al calcio europeo. Soprattutto ci ha spiegato che non solo il modello tedesco, ma soprattutto quello francese dovrebbe essere introdotto anche in Italia. Si tratta di rendere obbligatoria per tutti i club la creazione di centri che abbiano le funzioni di college nei quali far studiare e insegnare il calcio ai giovani talenti. Da uno studio si è potuto rilevare che alternando ore di studio a ore di allenamento il rendimento sia scolastico che di atleta ne trae un grande giovamento. Lo scopo di questi vivai concepiti con metodi moderni è quello di riuscire a far emergere tre giovani a ogni stagione da far debuttare nelle serie maggiori, ricavandone in cambio dei benefit dalla federazione da sfruttare per realizzare infrastrutture. Purtroppo in Italia sono pochissimi i centri di questo tipo. La Juventus ne ha uno, ma completamente slegato da qualsiasi progetto che coinvolga la FIGC. Abbiamo compreso attraverso la competenza di Alessandro
quanto l’Italia sia indietro nella politica di ristrutturazione e ammodernamento tanto delle istituzioni quanto delle strutture sportive, con grave danno dei nostri giovani, ai quali sempre vengono preferiti giocatori stranieri. Alessandro ci colpisce con la chiarezza delle sue argomentazioni, che riesce a fare apparire semplici se solo ripensiamo ai tanti bastoni tra le ruote che stuoli di politici e burocrati del calcio continuamente frappongono tra la semplicità del talento e dell’educazione allo sport e i risultati.
Alla fine anche io ho diritto a porgli qualche domanda. Avendo toccato già molti temi che mi stanno a cuore, lo ringrazio perché fa parte di due tra le categorie più amate dai tifosi di calciatori Juventini: quella di coloro che dietro le prime file dei campioni costituiscono se non la forza, la sostanza di una squadra. La categoria dei Torricelli, dei Tacchinardi, dei Di Livio, dei Birindelli, che con la loro umiltà e dedizione hanno dato alla Juventus un enorme contributo. Un tratto che non puoi fare a meno di cogliere negli occhi limpidi e in quell’accenno di timidezza di Alessandro, che appare sopraffatto in certi momenti dall’insistenza con la quale vogliamo sapere tutto della Juve e riversiamo su di lui un affetto che ci ricambia con una serietà e un impegno quasi eroici nel caldo del pomeriggio che sta per finire. E quella di coloro che hanno accettato la serie B, una decisione che ce li ha resi più cari degli altri per sempre. Oltre i risultati. Tanto per approfondire l’argomento allenatori gli chiedo se alla luce dei risultati ottenuti al mondiale, Deschamps non avrebbe dovuto rimanere alla Juve al posto di Ranieri. Interviene Mauro Sarrica, che ci spiega come da alcune sue ricerche è emerso che ci fossero dei problemi con il procuratore del francese, che intendeva approfittare della situazione per introdurre nella Juve alcuni suoi giocatori. Allora per sdrammatizzare gli faccio dire il nome del papabile tra i futuri allenatori sulla panchina azzurra e quando mi indica Spalletti rubo l’ultima domanda, alla quale si sottrae sorridendo: “Alessandro, ma tu l’hai mai capito che cos’era il camaleonte solido di Ranieri?”.
Incombe la sera. Benedetto e il suo ospite ci accompagnano al Palazzetto dello Sport per un triangolare nel quale i piccoli talenti di tre scuole calcio della zona hanno modo di esibirsi sotto l’occhio vigile di Birindelli. Qualcun altro intanto a poco a poco sta rubando la scena al papà e si conquista la simpatia di tutti: il dodicenne Matteo, che si prodiga per non far mancare a nessuno dei piccoli atleti l’autografo di quello che in un sussurro mi dice essere il suo “babbo, ma qui in Sicilia non sta bene chiamarlo così”.
La serata prosegue con una cena al ristorante, dove abbiamo modo di apprezzare ancora la grande disponibilità di Alessandro e della signora Birindelli, una donna energica e estremamente simpatica che non ci fa mancare tanti aneddoti legati alla vita professionale del marito soprattutto
ai tempi della Triade, quando tutti erano così uniti che le famiglie dei calciatori si frequentavano in un clima familiare e di grande amicizia, così come desiderava Moggi. Moggi, il grande mostro del calcio italiano, visto come un educatore e un padre, entra nei nostri ragionamenti sul finire della serata, insieme con Giraudo. Ogni volta che l’attenzione ritorna su quella Juve Alessandro ha un fremito, più forte del nostro. Ci racconta di come si percepisse che il clima di successo e vittorie che circondava la Juventus venisse recepito con insofferenza dalla proprietà, che si preoccupava di non dare l’idea che si facessero troppi investimenti per una squadra di calcio in un momento di crisi per la nazione. Che per superare i problemi Moggi e Giraudo stavano elaborando un sistema che permettesse alla Juventus di autofinanziarsi, con una lungimiranza che avrebbe potuto fare scuola nel sistema calcio italiano, profondamente malato e impoverito dopo il 2006. Tante conquiste della Juventus post calciopoli si devono ancora alla loro eredità, primo fra tutti lo stadio. La Juventus costituiva un’isola felice che otto anni fa aveva intrapreso un cammino nuovo nella gestione dei costi, con il consenso dei calciatori, che vivendo e giocando con dedizione e serenità, si mostravano in grado di assecondarne le decisioni manageriali. Quella società, quella dirigenza che tanto ha dato al calcio italiano, tanto avrebbe potuto ancora dare se la scure di calciopoli non si fosse abbattuta su un patrimonio a torto disconosciuto come nazionale.
Ringraziamo Alessandro, e Benedetto che lo ha reso possibile, per averci fatto riassaporare per una sera quello spirito, quella storia intimamente nostra. Nel suo lavoro e in quello degli altri uomini che con lui hanno vissuto l’esperienza mortificante della serie B e gli attimi di gloria indimenticabile di tanti giorni, rivive lo stile Juve.
La Juve che è venuta dopo si è dimenticata di Alessandro tanto da non permettergli di salutare e farsi omaggiare dal suo pubblico come sarebbe stato giusto il 17 maggio del 2008, quando si chiuse la sua esperienza con la maglia bianconera e rifiutò di commentare ai microfoni di SKY l’immensa scortesia e ingiustizia della quale era stato vittima. Noi no. Noi non dimentichiamo.
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