Se dici Roma, nel mio cervello si apre istantaneamente il file “Boniperti che regala il decimetro a Dino Viola”, ma se dici Atalanta, mi vengono in mente la cacciatrice figlia di Iasio, re dell’Arcadia e l’omonima squadra di calcio, sempre tosta e con l’unico difetto di avere una maglia dai brutti colori. Ma non ho ricordo di contenziosi tra noi e la squadra di Bergamo. Anzi… Tra noi e l’Atalanta c’è sempre stata una collaborazione fruttuosa per entrambe: per poter competere nel campionato delle squadre di seconda fascia, queste sono costrette a vendere alcuni dei calciatori che si sono messi in luce nelle proprie file, reinvestendo gli utili e disputando stagioni anche ad altro livello. L’Atalanta ha sempre fatto bene questa politica, tanto da vantare il record di promozioni in Serie A, un quinto posto finale nella massima serie, la vittoria di una Coppa Italia e la qualificazione alla semifinale di Coppa delle Coppe 1988.
Il buon rapporto di solito esistito tra Juve e Atalanta, ha permesso a tantissimi calciatori di sostituire il bianco all’azzurro delle strisce della maglia. Il primo è stato
Fenili nel 1925, seguito nel 1947 da
Cergoli e
Kincses. Scoperto il canale, dal 1948 al ’50 arrivano in bianconero tre grandi, il terzino
Sergio Manente, sette stagioni e due scudetti alla Juve, il mediano
Giacomo Mari, quattro stagioni e due scudetti e
Karl Hansen, due stagioni e uno scudetto, tre campioni che contribuirono a costituire une delle formazioni più belle e potenti della nostra storia, quella dello scudetto 1951/52 e che vale la pena di ricordare nella sua interezza:
Viola; Bertuccelli, Manente; Mari, Parola, Piccinini; Muccinelli, Karl Hansen, Boniperti, John Hansen, Praest.
Non sempre gli arrivi da Bergamo fanno storia: è il caso d’
Emilio Caprile ed
Ermanno Scaramuzzi, anche se, nel 1963, dal centravanti brasiliano naturalizzato italiano
Dino Da Costa, ci si attendeva molto di più. Non cambia molto nei primi anni settanta, quando da Bergamo arrivano alcune meteore: poche gare per il centravanti
Roberto Montorsi e il difensore
Giuseppe Zaniboni, mai sceso in campo
Giuliano Musiello. Arriva anche
Gianluigi Savoldi, detti Titti, che in tre anni qualche partita la gioca, scrivendo il suo nome sul libro d’oro dei trofei, ma poco assomigliando al più famoso fratello Giuseppe. Più di lui fa vedere
Adriano Novellini, a lungo discreto come vice-Bettega, tra i protagonisti dello scudetto 1971/72, ricordato anche per la memorabile tripletta al Rumelange in coppa UEFA.
Nel 1974 e nel 1976 è la volta dei due grandissimi
Scirea e
Cabrini: per loro solo numeri, quelli dei sette scudetti (Cabrini “solo” sei), due Coppe Italia, una Coppa UEFA, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e il Mondiale 1982 in Spagna. L’anno dopo arriva
Pietro Fanna, tre scudetti ed una Coppa Italia in 5 anni, ma tanto amaro in bocca per un campione, che per il suo carattere ed un impiego non ottimale, troverà la sua consacrazione altrove.
Nel 1979 ecco altri due comprimari,
Cesare Prandelli e Roberto Tavola che pur giocando con molta discontinuità, rappresentavano la nostra disperazione di frequentatori del Comunale: come si andava in vantaggio, fosse il primo minuto o l’ottantesimo, Trapattoni toglieva Pablito Rossi o Marocchino ed inseriva uno dei due ex atalantini; nonostante la gran difesa di quei tempi, gli avversari alzavano il baricentro e l’ansia ci faceva fumare molte più sigarette del dovuto. Dei due, specie Prandelli contribuisce ad infoltire di coppe la bacheca bianconera. Nel 1979 arriva anche un buon portiere,
Luciano Bodini, che ha la sola sfortuna di essere il secondo di due grandi, Zoff e Tacconi. Grazie al caratterino di Capitan Fracassa, ha il suo momento di gloria come titolare nella Supercoppa Europea vinta sul Liverpool, ma in dieci anni, in silenzio e nel rispetto del suo ruolo, contribuisce a quattro scudetti, una Coppa Italia e tutte le coppe storiche internazionali.
Domenico Marocchino arriva lo stesso anno: pur contribuendo al palmares della Signora, avesse avuto una maggior serietà professionale, avremmo potuto parlare di lui molto più a lungo.
Dal 1980 al ’93 giungono in bianconero un’altra mandata di comprimari che lasciano poche tracce in bianconero, anche se quasi tutti contribuiscono alla conquista di qualche titolo:
Carlo Osti, Massimo Storgato Roberto Soldà. Molti di più i trofei conquistati dal roccioso difensore
Sergio Porrini che trova più spazio e resta a Torino per quattro stagioni. Qualcosa di più va detto di
Marco Pacione, uno che ha avuto la possibilità di rifilare tre gol al Barcellona nei quarti di Coppa Campioni ma che ha fatto fa cilecca; di
Marino Magrin, che in bianconero rappresenta la profezia negativa che si autoavvera: acquistato per sostituire Platini, è ceduto per aver deluso le aspettative (!); di
Daniele Fortunato, acquistato per sostituire Gaetano Scirea, non regge il confronto.
E’ il 1994 quando dall’Atalanta arriva
Alessio Tacchinardi, ottimo e potente centrocampista, che in undici anni vince da titolare sei scudetti, una Coppa Italia e quattro di Lega, Champions, Intercontinentale e Supercoppa UEFA. Alti standard anche due anni dopo, quando è la volta di
Paolo Montero, un idolo, una montagna insormontabile in difesa, che in nove anni vince cinque scudetti, tre Coppe di Lega, una Supercoppa UEFA e l’Intercontinentale. Lo stesso anno arriva anche
Bobo Vieri, non un gran carattere, ma una bella plusvalenza per la Juve (26,7 miliardi): uno scudetto, una Supercoppa UEFA e l’Intercontinentale sono i trofei al suo attivo. L’anno seguente è la volta di
Pippo Inzaghi, quattro anni di Juventus e di cattiva coabitazione con Del Piero per l’eccessivo egoismo del centravanti, forse il centravanti meno capace nel dribbling mai visto all’opera; al suo attivo uno scudetto e una Supercoppa di Lega.
Dal 1998 al 2012, gli ultimi arrivi sono degli onesti pedatori, per dirla alla Gianni Brera:
Zoran Mirkovic, Cristian Zenoni e Federico Peluso, tutti con qualche trofeo da vantare, ma soprattutto
Simone Padoin, prezioso jolly tuttofare che in tre anni ha già legato il suo nome a tre scudetti e due Supercoppe di Lega.
Anche un allenatore ha cambiato casacca sulla via Bergamo-Torino. Boniperti, dopo l’onta dello scudetto granata, nell’estate del 1976 aveva individuato come nuovo allenatore
Giovanni Trapattoni, che però era già in parola con i dirigenti orobici. Una telefonata tra Boniperti e Bortolotti (Achille) ed il Trap arriva in bianconero, con i risultati noti a tutti. Dieci anni dopo, anche Roberto Donadoni avrebbe potuto passare da Bergamo a Torino. C’era già stata la stretta di mano tra Boniperti e Bortolotti (Cesare), ma il calcio iniziava a cambiare: i milioni del Caimano hanno stravolto quello che un tempo sarebbe stato un affare già concluso.
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