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Eventi di S. BIANCHI del 25/04/2015 08:52:31
Andrea Fortunato

 

25 aprile 1995: venti anni fa terminava la breve storia d’Andrea Fortunato .

Andrea Fortunato nasce il 26 luglio del 1971 in una famiglia della borghesia benestante di Salerno e da subito sa che diventerà calciatore. Come accade nelle famiglie di solidi e sani principi, riesce a strappare il consenso ad intraprendere la carriera sognata solo a patto di terminare gli studi. Andrea, persona di carattere e di parola, passa a soli quattordici anni dalla Giovane Salerno agli allievi del Como, dov’è stato fortemente voluto dal Direttore Sportivo Sandro Vitali, e continua negli studi fino a conseguire il fatidico diploma.

Nel vivaio lariano milita infine nella squadra Primavera, ma già da Allievo era stato reimpostato da centrocampista di sinistra, al ruolo che l’ha messo in luce, quello che oggi è definito l’esterno sinistro di difesa. Il 29 ottobre 1989 fa il suo esordio tra i professionisti in Serie B (Como-Cosenza: 1-0) per poi essere schierato altre quindici volte in una stagione sfortunata per il Como, che retrocesse in Serie C1.

Nella stagione seguente, quella 1990/91, Eugenio Bersellini lo schiera titolare: ventisette partite disputate, ma il Como si gioca l’immediato ritorno in serie cadetta perdendo lo spareggio col Venezia. Andrea si è messo in luce ed il primo dei marpioni che s’intendono di calcio a adocchiarlo, è Spinelli, che è lesto a portarlo in Serie A: al Como, la bella sommetta di quattro miliardi di lire. Al Genoa è chiuso dal più esperto Branco, ma grazie al turnover fa qualche apparizione in prima squadra, fino ad un diverbio con l’allenatore in seconda ed il passaggio al Pisa per il resto della stagione.
Vista l’abitudine di Romeo Anconetani ad anteporre i valori umani e morali a quelli calcistici, c’è proprio da ritenere che la nomea di maleducato ed attaccabrighe che Andrea si portò dietro nel suo “esilio” nerazzurro era certamente infondata.

A Pisa ripaga la fiducia dell’ambiente giocando da titolare, e l’anno seguente torna al Genoa dal nuovo allenatore Giorgi, finalmente titolare in Serie A, dove disputa un buon campionato (diversamente dal Genoa come squadra): al suo attivo trentatré presenze e tre reti. Era pronto per il salto nella grande squadra: Trapattoni e la Dirigenza bianconera vedevano in lui l’uomo che poteva rinverdire i fasti d’Antonio Cabrini e Gigi De Agostini sulla fascia sinistra.

Arriva alla Juventus nell’estate 1993 assieme ad Alessandro Del Piero, ma a differenza di Ale, si conquista subito il posto da titolare: ventisette gare disputate e una rete, alla Lazio (12 dicembre 1993). Non era ancora Cabrini, lui stesso rilevava che molto avrebbe avuto ancora da imparare per “somigliargli”. La sua modestia però non aveva condizionato i tifosi, che erano entusiasti di lui, tanto da indispettirli fino all’aggressione fisica, quando nella primavera del 1994 mostrò appariscenti segni di flessione. Purtroppo, la causa di quella spossatezza non era causata dal tirar tardi la sera e dai piaceri della vita notturna. La diagnosi dei Sanitari delle Molinette fu tremenda: leucemia linfatica acuta.

Un anno di trattamenti, compresi trapianti di midollo eterologo, e quando sembrava sulla via della guarigione, un’infezione polmonare ci privò di questo ragazzo che poteva apparire scostante a causa del suo essere chiuso, un ragazzo di neanche ventiquattro anni che aveva appena coronato il sogno di giocare da titolare nella squadra amata fin da bambino. Ma che prima di arrendersi ad un nemico, allora più invincibile d’oggi, ha lottato con tutte le proprie forze: era il 25 aprile di venti anni fa. Inserito a pieno titolo nella rosa della Juventus per la stagione 1994/95, la magra soddisfazione della conquista, postuma, della Coppa Italia e dello Scudetto, che gli fu dedicato.

Non è un articolo di tecnica, quindi non parlerò di caratteristiche tecnico-tattiche, della sua facilità di arrivare sul fondo, di quanto potesse somigliare a Cabrini. Scrivo in ricordo di questo giovane uomo, che da bambino coltivava il sogno di tutti noi, di poter indossare da grandi la maglia della nostra squadra del cuore. Sono veramente pochi gli uomini, che nella vita riescono a fare ciò che sognavano da bambini. Andrea, lavorando sodo, c’era riuscito: purtroppo il suo sogno s’è infranto prestissimo, contro quel destino che lo aveva fornito di una variante cromosomica che venti anni fa rendeva poco curabile la sua malattia.

Vorrei finire con le parole scritte da Gabriele Romagnoli, su “La Stampa” il 26 aprile 1995, nell’articolo “Andrea Fortunato ha perso l’ultima partita”. " Andrea Fortunato era un ragazzo che giocava terzino sinistro. Un ruolo da turbodiesel. Uno che con la maglia numero tre deve andare, palla al piede, dall'altra parte del mondo, superando ogni ostacolo, finché il campo finisce. E a quel punto fa una cosa, non la fa per sé, la fa per un altro e per la squadra: crossa. E se il centravanti ha seguito l'azione e ci mette la testa, allora è gol. Fortunato era uno di quelli che ci arrivava spesso, sulla linea di fondo, con la forza della sua gioventù e la bandiera dei suoi lunghi capelli al vento ”

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