Ci risiamo. Dopo i teatrini stucchevoli che hanno riguardato le squalifiche (e le varie retromarce) di Malagò, Tavecchio e Lotito, che a vario titolo hanno interessato la giustizia sportiva in questi mesi, e che ne sono usciti nella sostanza, sempre illesi, la storia si è ora ripetuta.
Squalifiche comminate e poi tolte, inibizioni “
che non pregiudicano il ruolo in FIGC”, buffetti ridicoli, tanto per dare un contentino a chi si aspettava, invece, sanzioni serie, aggirando così le norme, sono ormai all'ordine del giorno. Ora, anche l'ultimo membro della lobby che comanda da anni il calcio italiano è entrato nel club.
E' la volta, infatti di Mario Macalli, Presidente della Lega Pro, che ha appena portato a casa una squalifica di sei mesi (attenzione a questo dato) da parte del Tribunale Federale Nazionale, per violazione dei doveri di lealtà e correttezza di cui all'art. 1 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva (oggi art. 1bis comma 1):
Link. La questione è quella relativa al caso Pergocrema, che ha messo in luce, ancora una volta, come
l'imparzialità, la correttezza, e il rispetto della propria figura istituzionale delle più alte cariche sportive sia solo un concetto astratto privo di qualsiasi rilevanza effettiva.
Il dato è significativo, perché da un lato Macalli, che è consigliere e vicepresidente FIGC, se avesse avuto una condanna più pesante (un anno) sarebbe automaticamente decaduto da queste cariche (l'opinione diffusa è che una condanna del genere ci stesse tutta), dall'altro perché,
in caso si squalifica superiore a 6 mesi, si sarebbero dovute indire nuove elezioni per la carica di Presidente di Lega Pro, come da Statuto.
E invece no, perché proprio in quel “
superiore a sei mesi” sta tutta la questione: una condanna a sei mesi esatti lo lascia tranquillo al suo posto (tanto sappiamo bene che in Italia anche da squalificati si può tranquillamente continuare a fare quello che si faceva prima), senza conseguenze di fatto. Qualcuno potrebbe dire che sarebbe il caso di dare le dimissioni, ma, ovviamente, una tale pretesa si scontrerebbe con le solite frasi di circostanza... "Accetto la sentenza ma non la condivido.... La squalifica non pregiudica il mio ruolo... Rimango per il bene del movimento calcistico e per completare il mio importante lavoro...eccetera eccetera...", fate voi.
Fatto sta che quasi ogni giorno si aggiunge un nuovo tassello che non fa che confermare quello che sosteniamo da anni e cioè che il nostro calcio non potrà mai uscire dalle sabbie mobili in cui si è infilato da quasi un decennio, fino a quando non si deciderà a fare “pulizia” da chi nei fatti, si è e si sta dimostrando non all'altezza di ricoprire certe cariche.
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