La Memoria si alleni, ma sia sempre la Verità a salire sul podio più alto. Che sensazione strana, e molto più del precedente 25°. In Italia campeggia questa pessima consuetudine socio-mediatica della memoria che fa il salto della cavallina a cinque anni alla volta. Un mese, una settimana, il giorno che cade, poi la rincorsa si ferma.
Fra qualche ora molte televisioni e quasi tutti i giornali riavvolgeranno il canapo marinaro dimenticato nei fondali dell’oblio rimuovendo l’ancora dalle sabbie ataviche e spronando le vele al vento dei ricordi di quella sera di maggio, quando un pallone prese le sembianze del clown, rimbalzando beffardo a pochi metri dai corpi nel cimitero dell’Heysel.
Ritorneranno così le immagini televisive dai colori sbiaditi del 29 maggio 1985 a Bruxelles e soltanto lo strazio è rimasto intatto anche per chi ha tinto i capelli di argento. Qualcuno di loro li ha già raggiunti, altri hanno combattuto e magari vinto sopravvivendo ad un dolore scorpione, al suo veleno che paralizza i giorni. Familiari delle vittime, silenziosi e dignitosi, in tutti questi anni gli unici a poter parlare, gli ultimi ad essere interpellati da chi si iscrive alla sarabanda della presunzione. Non mi dispiace di non accodarmi alla nenia, talvolta ipocrita e meschina, del coro bianco dei soloni di una desolante assuefazione a fatti che ancora urlano vendetta, alla misconoscenza delle verità storiche e processuali. Si può stendere un sudario pietoso sui particolari più truci, ma non certamente rinunciare all’identificazione delle responsabilità di quanti furono gli artefici o colposamente sodali della carneficina di 39 innocenti.
Lascio alla scrittura dei mestieranti le emozioni da prefiche, le morali semplicistiche da trenta denari. Dico solo che il male supremo non è tanto quella coppa di acciaio, ma negli occhi di chi ancora oggi non prova vergogna a risollevarla, giustificandosi dietro il paravento della compensazione. E allora comprendi perché è stata conservata frettolosamente nella bambagia, come un primogenito cieco dalla nascita che resterà a vita nella sua immeritata tenebra. Inutile muovergli sonagli, non vi sorriderà mai.
La melassa di troppe parole non restituisce all’assenza di quei cari il senso compiuto. Si può avvicinare a stento e con discrezione una preghiera. Eppure anche Cristo si è arreso in croce alla solitudine, lo facciano anche i farisei del grande calcio e rinnovino i templi dove si adorano anche certi dei fasulli che si vendono a corrotti di mafie. Forse, allora, finalmente quel sangue dei martiri versato tragicamente e copiosamente rifiorirà in prati più verdi.
“Il valore della Memoria, il dovere della Verità”… A fare e disfare la tela delle congetture, la Penelope devota al politichese corretto si arrenderà all’evidenza. Non è stato il muretto crollato, non sono morti per “cause naturali” come scritto nelle autopsie frettolose e infami di medici militari senza onore. “Una verità condivisa”… E’ come sposare insieme nella geometria il taglio di una torta nuziale a più piani. Il tocco maldestro e la mano esperta non sono fatti per l’amore eterno, a meno che non riscoprano l’emozione e l’umiltà in un tremito.
Perché davanti a quei trentanove nomi e cognomi si abbassano vessilli e alabarde, si snocciola il silenzio come un rosario e si bacia la terra dalle ginocchia.
Domenico Laudadio
Sala della memoria dell’Heysel