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Sabato 23.11.2024 ore 18,00
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Eventi di S. BIANCHI del 29/05/2015 13:40:30
29 maggio 1985: io c'ero

 

Niente stadio, per me, per tre anni. L’amore per la Juve era invariato, ma allo stadio non avevo più messo piede, finché … Complici un noiosissimo congresso in Riviera di Levante e Sampdoria-Juve prevista l’indomani, uscii dalla sala conferenze alla ricerca di un biglietto per lo stadio, con un sorriso a trentadue denti inspiegabile per i disattenti congressisti. Dopo tre anni di black-out, improvvisamente e senza motivo apparente, il craving da Juve si era improvvisamente risvegliato in me. Quei tre anni senza stadio erano figli di quanto avvenuto all’Heysel, quel posto maledetto che aveva visto morire trentanove fratelli. Se al parlarne, ancora oggi sono preso da un groppo alla gola, avevo finalmente superato il disgusto che provavo al solo pensare di entrare in uno stadio. Quell’autoesilio non significava soltanto tre campionati della mia amata Juventus, ma tre anni di vigilie, trasferte e mangiate con gli amici, d’attesa del fischio d’inizio parlando anche con gente mai vista prima, di ogni fede calcistica, ma sempre nel rispetto reciproco. Di gioia e casino durante la gara e nel lungo ritorno a casa, nel caso delle frequenti vittorie, ovvero di disamina degli errori e delle mancate contromosse in caso di sconfitta. Per inciso, Il mio ritorno allo stadio coincise con una gara mediocre, col pareggio acciuffato in extremis dal povero Scirea: ma uscii da Marassi sereno, felice ed anche un po’ più libero.

A noi dello Juventus Club andò bene: all’Heysel eravamo nel settore “N.O.”, esattamente all’opposto della “Curva Z”, il famigerato luogo dell’aggressione. Un massacro di cui peraltro non capimmo immediatamente l’entità, informati confusamente e solo a fine gara da alcuni bianconeri, insanguinati e malconci, che ci raggiunsero mentre tornavamo verso i pullman. La reticenza nelle informazioni ufficiali e quel “giochiamo per voi”, se evitarono fatti di sangue possibilmente ancor più gravi, facendoci valutare come “normali” disordini prepartita quel fuggi-fuggi nella curva opposta, ci permise anche di gioire al vedere quella tanto desiderata coppa sollevata al cielo dai nostri eroi. Non sapevamo ancora che gli eroi veri erano altri, per cui, oltre al lutto per la perdita di questi fratelli, abbiamo anche dovuto farci carico del rimorso per esserci divertiti e infine aver gioito per la conquista di quella tanto agognata coppa. Quel simulacro tanto inseguito che perdeva di significato ai nostri occhi man mano che l’informazione si faceva più completa, infine con le telefonate che all’alba riuscimmo a fare a casa.

Negli anni a seguire, pensavo che l’enormità di quel misfatto, la morte di tanti innocenti, il dolore dei loro familiari, l’ansia dei nostri cari, ignari per ore della nostra sorte e, perché no, la nostra piccolissima sofferenza di sopravvissuti, potesse essere un freno all’attività di nuovi killers da stadio. Invece il ricordo dell’Heysel, ma anche di Paparelli, Spagnolo ed Esposito, non impediscono a imbecilli armati, figli del disagio e dell’ignoranza, ma sempre imbecilli, di continuare a sporcare di violenza le domeniche di chi vorrebbe, almeno per novanta minuti, dimenticare difficoltà economiche, guerre strumentalizzate per svecchiare arsenali militari, genocidi, carestie e migrazioni di profughi e miserabili alla ricerca di pace e pane.

Ovvio come il calcio sia espressione della società che lo genera e che in esso si riversino le contraddizioni di quella società: come per gli hooligans dei Reds, la spinta assassina proviene dalla deriva sociale, che se non sfocia in attività politica, porta gli emarginati a trovare, nell’unione in bande, quell’identità e quella visibilità che da soli non avrebbero. E' vero: costoro sono i figliastri della pessima situazione economica, di una scuola che allontana invece di accogliere, della quasi assoluta mancanza di centri sociali e di aggregazione, in una società che propaganda i valori deteriori e in cui è normale pretendere senza dare ed i cui rappresentanti politici sono più fonte di vergogna che di esempio.

Chi fa informazione e dovrebbe educare, spesso invece si rivela un fomentatore d’odio (e meno quotato è come giornalista, più si adopera per seminare disinformazione e discordia). Non sono da meno alcuni dirigenti del movimento che mostrano sportività ed equità di giudizio pari a zero. I casi più recenti sono quelli di Ormezzano, di cui assai si è scritto su GLMDJ, e di De Laurentiis, che per una svista arbitrale (il gol in offside del Dnipro) chiede addirittura le dimissioni di Platini, facendo finta di non ricordare come la qualificazione col Wolfsburg sia iniziata con una rete doppiamente irregolare di Higuain. La loro parte la fanno anche i giocatori, che spesso inscenano pantomime assurde per minimi colpetti ricevuti, a simulare doppie fratture di tibia e perone, tranne poi correre come gazzelle pochi secondi dopo. O quando apostrofano prolungatamente l’arbitro dall’alto dei palloni d’oro vinti (penso a Cristiano Ronaldo con Atkins in Juve-Real): un bel “rosso” in entrambi i casi sarebbe come gettare olio sul mare in tempesta.

Il cartellino rosso, il bavaglio ai dirigenti sconsiderati e il codice di autodisciplina per giornalisti sono comunque pannicelli caldi, se la società non riforma se stessa ridandosi valori condivisi, togliendo un po’ a chi ha troppo, compresi certi titolari di pensioni e con un occhio particolare per i giovani, cui dare istruzione, lavoro, prospettive e possibilità di farsi una famiglia. Altrimenti ben venga la violenza negli stadi, bene o male controllabile, sublimazione di un disagio sociale che qualsiasi sistema politico preferisce confinato in questo luogo, a darsele di santa ragione per un gol o un fuorigioco, che non nelle piazze a chiedere lavoro e diritto di cittadinanza.

Spero che chi ne abbia titolo e possibilità faccia quello che deve per risolvere alla radice i problemi sociali, genesi principale dell’insensata violenza che avvelena il calcio. Prima che ciò avvenga, o contemporaneamente a questo non facile processo, spero che tutti gli altri attori evitino di fare ciò che hanno fatto finora per ingigantire il problema. Il risultato sarebbe eccezionale. Altrimenti, significa che i Paparelli, gli Spagnolo, gli Esposito e i Trentanove dell’Heysel non hanno insegnato proprio niente.
 
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