Il 14 luglio 1935 moriva Edoardo Agnelli. Da allora sono passati ottant’anni, ma la memoria dell’Uomo vive in noi e nella storia di quella cosa che ha iniziato a divenire grande, anche per merito suo: la Juventus.
La squadra bianconera, con le presidenze di Bino Hess e di Corrado Corradini si era risollevata dalla crisi in cui era precipitata dopo la scissione operata nel 1906 da Alfredo Dick, l’anno seguente la conquista del primo scudetto. Il vero salto di qualità, però, si verificò da martedì 24 luglio 1923, quando il Vicepresidente della Fiat, Edoardo Agnelli, divenne Presidente della Juventus per acclamazione.
Figlio di Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat, Edoardo nasce il 2 gennaio 1892. Laureatosi in legge, partecipa alla Grande Guerra come ufficiale di cavalleria. Il suo destino s’immagina in Fiat, difatti gira il mondo per studiare altre realtà industriali. Al ritorno, con quel padre autoritario ha poco spazio nell’industria di famiglia, e forse anche per questo si appassiona al calcio e alla Juventus.
Tra le prime iniziative del giovane Presidente ci sono
la costruzione del primo stadio italiano in cemento armato, quello di Corso Marsiglia, e l’ingaggio
del primo allenatore professionista. La scuola danubiana andava per la maggiore, quindi fu scelto l’ungherese Jeno Karoli, che in patria ha giocato con l’MTK e la futura Honved. Il nuovo allenatore, al terzo anno, nel 1926, conquista il secondo scudetto della Juventus ma purtroppo non lo saprà mai, perché muore d’infarto pochi giorni prima.
Sulla panchina della Juventus sono chiamati allora Josef Viola, un altro ungherese, poi lo scozzese George Aitken. Ma il periodo d’oro inizia con la stagione 1930/31. L’allenatore è Carlo Carcano, che gioca col “modulo”, una maniera innovativa di schierare i giocatori davanti al portiere: i due terzini, i tre mediani, i due interni e i tre attaccanti, visti dall’alto, sembrano disegnare due “W” sovrapposte. Composta di campioni assoluti come Giampiero Combi detto “Fusetta”, “Viri” Rosetta, “Berto” Caligaris, “Luisito” Monti, “Gioanin” Ferrari, Renato Cesarini (detto “Cè”), “Mumo” Orsi e “Farfallino” Borel, quella squadra, con minime variazioni stagione per stagione, conquista cinque scudetti di fila, arriva quattro volte consecutive in semifinale della Coppa dell’Europa Centrale e fornisce la maggior parte dei giocatori alla Nazionale azzurra. Nell’anno del
quinto scudetto, sono chiamati alla guida della squadra il dirigente Benedetto Gola e la vecchia gloria Carlo Bigatto per sostituire Carcano, a causa di una sua ipotizzata omosessualità, colpa intollerabile in quel periodo storico. La fine del quinquennio d’oro coincide con la morte del Presidente, quando questi ha solo quarantatré anni. Il 14 luglio 1935 Edoardo parte da Forte dei Marmi col Savoia Marchetti S 80 pilotato dall’asso dell’aviazione Arturo Ferrarin. All’ammarraggio a Genova, l’idrovolante urta un tronco sommerso, si rovescia e Edoardo, sbalzato fuori dalla carlinga, è decapitato da un’elica.
La vita di Edoardo Agnelli e il quinquennio d’oro della Juventus hanno segnato dei capisaldi nella storia sociale del calcio. Questo primo connubio tra un imprenditore e una società sportiva, che continuerà con due dei suoi sette figli e col nipote Andrea, è il primo esempio di squadra gestita in modo professionistico: per
le vittorie a ripetizione, il gioco spettacolare, la sportività e lo straordinario apporto alla Nazionale (nove juventini in campo per la finale con l’Ungheria nella Coppa del Mondo 1934), fa nascere un tifo che travalica l’ambito cittadino e regionale e diviene nazionale.
E’ in questo periodo, in altre parole, che nasce la Juventus “Fidanzata d’Italia” . Un altro fattore che favorisce la diffusione del tifo bianconero nel nostro Paese, è lo spirito di rivalsa nelle città provinciali nei confronti dei capoluoghi di regione e delle loro squadre (Milano, Firenze, Bologna, Roma): il disappunto verso lo strapotere amministrativo e sportivo di queste grandi città è manifestato anche mediante il tifo per quella squadra che pare essere dell’Italia tutta. C’era anche un altro motivo, più eminentemente politico che spingeva a tifare Juventus: per la presenza di antifascisti nel Consiglio Direttivo bianconero, il barone Mazzonis su tutti, la sola Juventus non faceva portare la “cimice” fascista sulle giacche della divisa. Ma la Juventus oltre a far innamorare gli appassionati di calcio ovunque e trasversalmente per la sportività, la semplicità e l’aplomb che la Famiglia Agnelli trasmette, acquisisce come tifosi gli operai meridionali che vengono a lavorare in Fiat e s’immedesimano nella squadra dell’industria per cui lavorano.
Quando si pensa agli Agnelli e alla Juventus, il pensiero di quasi tutti va a Gianni e Umberto, che tanto hanno significato per la squadra dagli anni sessanta.
La Juventus, però, aveva già un grande passato quando l’Avvocato e il Dottore l’hanno ereditata dal padre Edoardo: lui per primo l’ha fatta grande e resa un vero fenomeno sociale. Tanto dobbiamo a quest’Uomo, morto troppo presto e in modo così atroce.
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