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Eventi di S. BIANCHI del 18/09/2015 14:35:51
18.9.1960: la quarta Coppa Italia

 

Dopo la conquista dello scudetto 1957/58, l’allenatore Brocic paga con l’esonero il quarto posto in campionato e il sette a zero subito a Vienna in Coppa dei Campioni. Molto del merito del ritorno alla vittoria, in questo 1959/60, è dovuto all’arrivo di due allenatori in tandem, due grandi ex bianconeri: Carletto Parola che ridà spirito di squadra alla compagine e Renato Cesarini, già maestro di Sivori in Sudamerica, che rimette “el Cabezon” nelle migliori condizioni operative. Ecco perché la Juventus si conferma lo squadrone di due anni prima: mettendo le mani sia sullo Scudetto, l’undicesimo, sia sulla quarta Coppa Italia, con questa doppia vittoria conquista anche la prima doppietta nella sua storia.

Sivori trova ovunque lo striscione “La Juve è grande e Sivori è il suo profeta”, ma egli è solo la punta di diamante di una squadra tremendamente aggressiva, che esprime un gioco spesso spettacolare. E’ una Juventus a trazione anteriore, d’altra parte Cesarini era sì nato a Senigallia, ma era argentino D.O.C., versante River Plate. Con questa impostazione, tranne Benito Sarti e il nuovo arrivo Cervato (gran rigorista), tutti gli altri avevano licenza di avanzare e le gare si giocavano quasi per intero nella metà campo avversaria. Davanti a Vavassori (o Matttrel) e ai terzini Garzena e Sarti, la mediana era costituita da Emoli, Cervato e Colombo, a sostenere uno dei più micidiali attacchi di tutti i tempi: Nicolè, Boniperti, Charles, Sivori e Stacchini.

Lo schema più classico è il traversone dell’imprendibile Boniperti per la testa di Charles, che ha tre possibilità: realizzare di testa, restituire palla a Boniperti per la stoccata a rete o appoggiare a Sivori che infila nel sacco, non sempre in maniera elegante, ma con la precisione di un cecchino. La Juve ha in Charles una specie di carta moschicida: i difensori, senza riuscire a ostacolarlo più di tanto, lo attorniano spesso in più di due, lasciando liberi gli altri bianconeri per tirare a rete. Vanno infine considerate le reti “inventate” da Sivori: quando da una mischia improvviso arriva il gol, certo è di Sivori, che segna anche dopo dribbling, tunnel (l’ha inventato lui), da terra, da una pozzanghera o da posizione impossibile, sempre irridendo il difensore di turno e regolarmente con i calzettoni “alla cacaiola”, afflosciati sugli scarpini.

Con la coccarda tricolore sul petto per la vittoria dell’anno precedente, la Juventus inizia la Coppa Italia solo agli ottavi, dopo due turni che hanno assottigliato le contendenti meno blasonate. Al Comunale affrontiamo la Sampdoria, che eliminiamo in una gara pirotecnica, iniziata in salita per la rete di Skoglund, ma apparentemente terminata alla fine del primo tempo per i gol di Stacchini, Sivori e Cervato, quest’ultimo su rigore. Nel secondo tempo non tutto va liscio, tanto che al novantesimo il risultato è di quattro pari per merito di Skoglund, Sivori, Milani e Mora (che giocava ancora a Genova). Il cinque a quattro finale, dopo il primo tempo supplementare a reti inviolate, è di Bruno Nicolè.

Il quarto di finale lo disputiamo a Bergamo contro l’Atalanta: ancora una volta, i nostri fanno il loro dovere nel primo tempo (due a zero per noi, reti di Sivori e Colombo), ma nel secondo l’Atalanta pareggia i conti con Olivieri e col rigore di Marchesi. Sì, è proprio quel Marchesi che, sedendo sulla panchina bianconera, dovrà affrontare uno dei momenti peggiori della nostra storia: la transizione al dopo Platini. E’ comunque merito di Marchesi, che ancora non fumava i sigari toscani, l’aver fornito ai tifosi uno spettacolo emozionante e un bel tour de force ai cardiologi dell’ospedale. Infatti, il risultato di parità si conserva invariato per i due extra time e nemmeno sei rigori per parte riescono a indicare la vincente. La Juventus passa il turno solo per sorteggio.

Dopo questa faticaccia, in semifinale è quasi una passeggiata: un bel tre a zero al Comunale sulla Lazio, mandata a casa dai gol di Cervato (su rigore), Lojodice e Charles.
Il 18 settembre, nella finale di Milano, abbiamo di fronte l’avversaria di quegli anni: la Fiorentina. Ci schieriamo quasi in formazione tipo con Vavassori, Burelli, Benito Sarti; Emoli, Cervato, Colombo; Nicolé, Boniperti, Charles, Sivori e Stacchini. Avanti con Charles, il primo tempo termina sull’uno a uno per il pareggio di Montuori; Dino Da Costa, ancora lontano dal vestire la nostra maglia, porta i viola in vantaggio nel secondo tempo, che però termina in pareggio per la nuova rete di Charles. Al settimo minuto del primo tempo supplementare, l’autorete di Micheli sancisce la nostra vittoria in Coppa. Colombo, Nicolè e Sivori sono i soli bianconeri presenti in tutte e quattro le gare, mentre Charles e Sivori sono i marcatori più prolifici con tre reti ciascuno.

Questa vittoria di Coppa, di là del modo rocambolesco con cui siamo giunti in finale (due partite risolte dopo i tempi supplementari e una addirittura per sorteggio), ha il suo valore aggiunto nell’averla conquistata contro la miglior Fiorentina di tutti i tempi, una gran bella squadra che oltre a Giuliano Sarti (futuro bianconero), Micheli e Montuori, poteva schierare quell’Hamrin che la Juventus fu costretta a sacrificare per far posto a Charles e Sivori.

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