Il 5 ottobre è morto a Genova Flavio Emoli. Di famiglia marchigiana, è nato a Torino dov’è cresciuto calcisticamente in quel vivaio bianconero che, nello spesso periodo, sforna Colombo, Garzena e Vavassori. Un anno in prestito, a farsi le ossa al Genoa e torna in bianconero dal campionato 1955/56, subito titolare, per restarci otto stagioni, disputando 217 gare e realizzando anche otto reti. Indossa la maglia azzurra della Nazionale maggiore solo due volte, ma si consola, vincendo da protagonista, gli Scudetti 1958, 1960 e 1961 e le Coppe Italia del 1959 e 1960. Il suo fondamentale apporto alla squadra è simbolicamente riconosciuto anche da quella fascia da capitano, che gli è affidata nell’ultima stagione bianconera. Gioca altri quattro anni nel Napoli per chiudere la carriera a Genova, la città che ha scelto per viverci, nella stagione 1967/68.
Può far ridere e anche far pensare all’errore, uno che scrivendo di Emoli, poche righe sopra, abbia usato la parola “fondamentale”. Quella è la Juve del Trio delle Meraviglie, la squadra che domina in Italia per quattro anni dal 1957/58 al 1960/61 con tre Scudetti e due Coppe Italia. Ma parlando di Emoli non ho sbagliato con quell’aggettivo: è vero che i cinque, davanti garantiscono un centinaio di reti a stagione e che veder giocare la Juve è uno spettacolo. La gente si diverte, ma più che altro a divertirsi sono i tifosi di Madama, perché si sa benissimo che gli avversari possono fare uno o due gol a Mattrel o a Vavassori, ma che tanto Nicolè (poi Mora), Boniperti, Charles, Sivori e Stacchini ne faranno certamente più degli avversari. Torniamo all’aggettivo “fondamentale”: quei cinque giovanotti, davanti giocavano spensierati perché sapevano che dietro avevano i Corradi, i Garzena, i Cervato, gli Emoli e i Colombo, che quasi senza loro copertura rompevano le iniziative avversarie e riportavano avanti il pallone.
Per la malattia cardiaca congenita, peraltro diagnosticata a ventitré anni, Emoli è uno dei primi “cuore matto” dello sport italiano, un cuore matto con la faccia alla Lino Ventura, con tanto di capelli imbrillantinati. E’ un indomabile, fa rincorse impossibili per chiunque altro, a cucire tra la difesa e gli avanti, uno alla Furino, tanto per intendersi. Conquista il pallone con la forza e ha l’intelligenza tattica, sia per passare al compagno meglio smarcato, sia per avanzare, ma senza mai sbilanciare la squadra offrendo il fianco alle ripartenze avversarie. Grande mediano, alla fine della militanza bianconera è trasformato a terzino d’ala da Paulo Amaral, tanto per farlo correre ancora di più. Sentiamo direttamente da lui, come funzionavano le cose.
“Il ruolo assegnatomi prevedeva che giostrassi da mediano difensivo, mentre Colombo si muoveva un po’ più avanti. Ma il buffo era che, mentre Boniperti mi spronava sempre ad avanzare, Ferrario cercava in tutti i modi di frenarmi; insomma, ero il classico uomo di spinta, il maratoneta di centrocampo in genere ben preparato fisicamente, tanto che alla fine degli allenamenti rimanevo regolarmente in campo per effettuare allunghi e cross continui a favore di Charles, che voleva perfezionare il colpo di testa”.
Se quella Juve, se il Trio Magico ha vinto tanto, se Umberto Agnelli ha potuto legare il suo nome alla sua prima Super-Juve non si deve solo alle superstar osannate da tutti, ma anche a questo mediano robusto e apparentemente cattivo per il viso, ma molto all’inglese nei contrasti. A Flavio Emoli insomma, che senza risparmio ha prestato muscoli e polmoni alla squadra, ma soprattutto a Omar Sivori, cui era legato calcisticamente e fuori dal campo da una grande amicizia. E meno male che aveva il cuore matto.
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