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Eventi di N. REDAZIONE del 13/11/2015 09:33:30
Il peso dello zaino

 

Il viaggio di ritorno di Alberto Tufano in curva nel settore Z dello Stadio Heysel di Bruxelles per riaffrontare la memoria di un dolore muto e latente per 30 anni, oggi bagaglio ingombrante di ricordi nel suo libro scritto a quattro mani insieme a Francesco Ceniti, edito dalla Gazzetta dello Sport nella ricorrenza dell’anniversario della strage.

Confesso che coltivavo molto più di qualche riserva prima di ripercorrere nelle stesse scarpe di Alberto Tufano i passi all’indietro verso il tramonto tragico del 29 maggio 1985 a Bruxelles. Come funghi al sole dopo la pioggia, vari libri sull’Heysel, più romanzi in verità che saggi in uscita al trentennale, mi predisponevano negativamente all’accoglienza. Ma ci sono funghi buoni e quelli sospetti, alcuni potenzialmente tossici che spuntano nel terreno artificioso della fenomenologia del dolore, esercizio estremamente diffuso nel palinsesto di molta programmazione televisiva e bibliografica in Italia.
Da questo punto di vista, onestamente, “Il ragazzo con lo zaino arancione” si sottrae al pietismo palestrato da anniversario a cifra tonda, sfuggendo ad ogni logica e calcolo mercantile di preconfezionamento, non trattandosi di un romanzo, ma di una lunga e liberatoria testimonianza. Un racconto unto dal crisma della veridicità e prim’ ancora immerso nel fonte battesimale di sangue della Curva Z dell’Heysel. Una storia semplice e in comune a migliaia che potrebbero assomigliarle se raccolte fra i giovani di quegli spalti in quella sera maledetta per gli uomini, forse, anche da Dio.
La storia individuale e autobiografica di Alberto è toccante, abilmente gli autori, entrambi giornalisti di professione, sono riusciti a ricreare il clima e il personaggio nel suo linguaggio adolescenziale, salvaguardando allo stesso tempo tecnica e ritmo dell’esposizione. Si riassaporano certe atmosfere vintage a cui mi legano fatalmente quegli anni condividendo l’età e il vissuto del protagonista, nonché l’affetto per la medesima squadra. La narrazione è lineare quanto efficace nel trasmetterci le sensazioni, i sentimenti e le alternanze degli stati d’animo nelle situazioni. Dunque: animo, tanto cuore e una spolveratina di mestiere in questa opera che merita rispetto e certamente la lettura, essendo figlia legittima della memoria e meritevolmente non di un’ avventuretta dai laidi scopi editoriali.
Mi ha molto emozionato l’incontro reale fra il protagonista e Roberto Lorentini, una delle 39 vittime, a cui è dedicato il libro. Si erano veramente conosciuti a Bruxelles prima della tragedia in un clima decisamente più disteso e festoso. Le parole pronunciate nel dialogo da Roberto ce lo riportano in vita contraddistinguendolo come un toscano arguto e gioviale, accompagnato dal padre Otello e dai cugini di Arezzo, del tutto ignaro di compiere da lì a poche ore il suo destino eroico di medico in soccorso di un bambino e vittima sotto l’ennesima carica brutale degli inglesi.
Mi è dispiaciuta, invece, la polemica ben circostanziata, ma altrettanto civile, fra gli autori e Beppe Franzo, scrittore e storico della Curva Filadelfia, altro testimone oculare presente all’Heysel in veste di capo di un gruppo della tifoseria organizzata bianconera. Sostanzialmente la tesi dibattuta è nella tempistica della comparsa dello striscione “reds animals” sugli spalti. Prima o dopo l’inizio dell’attacco degli hooligans al settore Z ? Nella stesura del racconto effettivamente sembra crearsi un ambiguo rapporto di causa-effetto fra le cose, mi auguro involontario. Franzo smentisce categoricamente l’apparizione dello striscione anticipatamente alla prima carica degli inglesi. Tufano ricorda esattamente il contrario, stigmatizzando la presenza stessa del lenzuolo quale pericolosa e inutile provocazione, essendo fra l’altro precedentemente già stato esposto anche a Torino in occasione della finale della Supercoppa Europea. La mia posizione a riguardo è molto netta e va al di là della questione in oggetto e dei soggetti che stimo entrambi e che reputo nelle posizioni delle loro tesi comunque in buona fede: cambia davvero poco, quasi nulla. L’aggressione infame agli “italiani” fu premeditata e ordita molto tempo prima, a bocce ferme. Non a caso il cantiere di lavoro, non presidiato dalle forze dell’ordine, autentico arsenale di fortuna adiacente al campo sportivo, fu svuotato durante l’ingresso degli spettatori nella curva. E fra le altre cose a nessun insulto scritto è lecito rispondere con lanciarazzi, pietre roteanti, tirapugni, spranghe e coltelli colpendo a destra e manca persone assolutamente pacifiche o psicologicamente e fisicamente incapaci di reagire virilmente fra cui donne, anziani e bambini. L’inettitudine della polizia belga confezionò il pacco dono omicida a sorella morte. Altro che muretto crollato… E’ storia, è sentenza inappellabile di un processo nel quale i costosissimi principi del foro che difendevano quegli assassini sostennero per molte udienze la tesi della “provocazione degli italiani”. Moralmente restiamo sempre in guardia…
Sull’altro punto della polemica riguardante il contenuto dei dialoghi fra alcuni ultras della Juventus e i calciatori della Juventus scesi in campo a calmare gli animi nel caos totale di una situazione ormai sfuggita di mano, credo a Beppe (Franzo), fonte molto più che attendibile a riguardo, essendo attore in prima persona di quel parlato e che, quindi, la sola richiesta fatta ai loro beniamini fosse quella di non giocare la partita. A onore del vero al termine dell’incontro che furono obbligati a giocare buona parte della curva juventina festeggiò la vittoria, ma è tutt’ altro discorso. Come del resto sono verosimili gli episodi di sciacallaggio anche di italiani sui cadaveri, testimoniati da Alberto (Tufano), data la bassezza umana in certe situazioni estreme già manifestatasi durante le grandi tragedie nazionali, nei terremoti, su tutte, ma anche in anonimi incidenti stradali nel nostro paese. Nulla di cui stupirsi…
Questo libro è un documento molto prezioso per quanti volessero conoscere l’Heysel filtrandolo dagli occhi di un ragazzo che l’ha vissuto e ne porta ancora le cicatrici sulla pelle e più profondamente nell’anima. Una storia nella storia quella di Alberto Tufano che in quella curva ci è stato per tre volte: ferito dentro la calca apocalittica, poi a riprendersi il bagaglio e dopo trent’anni a bordo di un ricordo che fa ancora male. Oggi che il peso di quello zaino ci è divenuto familiare, non si è alleggerito più di tanto, svuotandolo nei nostri pensieri. Resterà per sempre un fardello scomodo a tormentarci la coscienza. Grazie, Alberto e Francesco di avercelo posato per un po’ sulle nostre spalle e buon viaggio.

Di Domenico Laudadio

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