La stagione 1949/50 vede la Juventus del Presidente Gianni Agnelli e dell’allenatore Jesse Carver conquistare il suo ottavo scudetto. E’ una delle Juventus più belle di tutti i tempi e mette precocemente le basi per la vittoria finale con una striscia iniziale di diciassette risultati utili consecutivi, dalla gara in casa con la Fiorentina (5 a 2) a Bologna - Juventus 0 a 4, un record imbattuto per ben sessantadue anni. La Juventus, che aveva in rosa due danesi e l’italo-argentino Martino, scendeva solitamente in campo con questa formazione: Viola, Bertuccelli, Manente; Mari, Parola, Piccinini; Muccinelli, Martino, Boniperti, John Hansen e Praest.
Di questa grandissima squadra si parla perché, solo quell’anno ne fece parte anche Rinaldo Fioramonte Martino, centrocampista cresciuto nelle squadre giovanili della sua città natale, Rosario, poi sette anni da professionista nel San Lorenzo, con un titolo nazionale, una stagione fantastica alla Juventus, poi il ritorno in Sudamerica: National di Montevideo (due campionati vinti), Boca Juniors e Cerro. Figlio di italiani ha giocato sia con la Nazionale Azzurra che con l’Albiceleste, con cui conquista la Coppa America.
Mezzala destra, con i suoi lanci precisi al millimetro ha fatto segnare caterve di reti a Boniperti e John Hansen, ma come attaccante sa benissimo come fare a mettersi in proprio: finte micidiali con cui supera il difensore in un fazzoletto e reti segnate con tocchi di fino o con tiri al volo contribuisce direttamente e direttamente alle cento reti con cui la Juventus domina quel campionato. Per la sua abilità in Italia si guadagna il soprannome di “Zampa di velluto”, ma in Sudamerica lo chiamavano “Mamucho”, probabilmente da “mas mucho”, a celebrare la sua classe superiore.
Arrivato trentenne alla Juve, la moglie, sposata nell’imminenza del trasferimento alla Juventus, in Italia non si diverte e pretende di ritornare in patria appena un anno dopo. Martino lascia Torino, ma per tutta la vita racconterà di essersi pentito della decisione: la passione per il tango e l’amore per l’Argentina forse non hanno ripagato questa sua rinuncia professionale. Muore a Buenos Aires il 15 novembre del 2000. Un solo anno in bianconero, per questo campione di sangue italiano ma di genio tutto sudamericano, ma gli è bastato per scrivere alla grande un pezzo di storia bianconera.
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