Karl Aage Hansen, nato in Danimarca nel 1921, è una mezzala dal gran fisico, con un buon dribbling e una tecnica perfetta. Il suo arrivare al calcio è stato abbastanza tortuoso, infatti, ha iniziato la sua attività agonistica in una polisportiva, il KFUM di Copenhagen, dove giocava sia a pallamano che a calcio, ma avendo anche esperienze nella ginnastica e nel decathlon. Nella sua seconda società, l’AB (Akademisk Boldclub), si divideva ancora tra entrambi gli sport di pallone, ma qui vince il campionato nazionale di pallamano e fa parte della Nazionale di quella specialità. Decide infine che il suo sport preferito è il calcio: eccelle anche qui, tant’è che debutta nella Nazionale danese a ventidue anni, e nonostante la seconda guerra mondiale, ci gioca altre quindici gare, segnando tredici reti e divenendone presto il capitano.
Con i dilettanti dell’AB vince tre campionati danesi e partecipa con la Nazionale Biancorossa alle Olimpiadi di Londra del 1948: giocate spettacolari, passaggi e reti portano la Danimarca alla conquista della medaglia di bronzo e lo fanno considerare il miglior giocatore danese. Diventa professionista all’Huddersfield Town (First Division inglese), nel 1949 passa all’Atalanta e dalla stagione 1950/51 alla Juventus, dove ritrova i compagni di nazionale John Hansen e Praest. In maniera molto singolare, ma giustificata dalla sua abitudine al dilettantismo, nel contratto pretende la clausola del free transfer, la lista gratuita. Iniziativa naif, ma che in carriera gli portò tanti bei soldini sottoforma delle somme sborsate dalle squadre che lo acquistavano, versate sul suo conto personale e non nelle casse della società. Una specie di Bosman ante litteram.
I danesi hanno fatto un figurone alle Olimpiadi, strapazzando, tra l’altro, la nostra Nazionale, e quando Gianni Agnelli deve sostituire Rinaldo Martino, trascinato dalla moglie al ritorno in Argentina, lo fa proprio col nostro Karl Aage. Egli disputa una grande stagione (trentaquattro gare e ventitre reti), ma nonostante ciò la Juventus non vince in campionato per lo scarso filtro operato a centrocampo. In panchina, sostituito Carver (si lamentava con la stampa di non essere riuscito a convincere Agnelli a ... cedere i danesi!) con Sarosi, basta poco per ottenere risultati. L’allenatore chiede a Karl Aage di arretrare la propria posizione in campo: diviene l’ottimo regista di una squadra che torna grandissima, vincendo il suo nono titolo nazionale. Le sue reti sono “solo” dodici, in compenso, grazie a lui aumentano quelle messe a segno da John Hansen, che vince la classifica dei cannonieri.
Il sospetto d’arbitraggi pro-Juve esisteva anche allora, ma sentite cosa dichiarava il nostro danese. “C’era un arbitro che aveva un fatto personale con me. Era il triestino Pieri: aveva l’abitudine di non vedere o annullare i miei goal. Ricordo di uno stranissimo goal segnato su calcio di rigore a Legnano, la seconda partita di campionato della stagione 1951-52. Il mio bolide, con il portiere Gandolfi fermo sulla linea di porta, colpì lo spigolo inferno del palo destro, la palla passo dietro alla schiena del portiere, naturalmente al di là della linea del goal, poi rimbalzò contro l’altro palo e Gandolfi, girandosi, se la trovò tra le braccia. Era un goal sacrosanto, ma Pieri non lo convalidò. Il caso più clamoroso, però, avvenne nel maggio della stagione precedente, quando a Torino battemmo il Genoa per 4-1. Aveva segnato per primo il mio connazionale Praest, aveva pareggiato Dante per il Genoa e sul risultato di 1-1 era terminato il primo tempo. Nella ripresa la Juve attaccò a fondo e, dopo pochi minuti, sferrai un tiro da fuori area con inaudita potenza. La palla si infilò nel sette, alla destra del portiere Bonelli: ma la rete era un po’ logora ed il pallone, tanto potente, l’aveva sfondata. Tutti avevano visto che la palla era entrata in rete, solo l’arbitro non lo aveva notato. Ma la cosa che mi fece diventare paonazzo per la rabbia fu il fatto che il signor Pieri si rifiutò di constatare la rottura della rete e fece praticamente continuare la partita in condizioni di palese irregolarità, piuttosto che darmi la soddisfazione del goal; soddisfazione, tuttavia, che mi presi alcuni minuti dopo deviando da pochi passi un delizioso passaggio di Boniperti”.
Nella sua terza ed ultima stagione in bianconero, anche a causa di frequenti infortuni che lo fanno scendere in campo solo ventuno volte e segnare due reti, il centrocampo bianconero funziona peggio che nella stagione precedente, e arriviamo solo secondi. La Società non gli rinnova il contratto e lui si trasferisce alla Sampdoria.
Nel breve periodo di tre anni, lascia una traccia importante a Torino: le ottantasei gare disputate con trentasette reti segnate, a parte la vittoria in campionato, lasciano il ricordo di un giocatore immenso, universale, dal gran fisico, il sontuoso atletismo, che in campo sa fare tutto. Si vede sempre dove c’è bisogno: in difesa, a far filtro a centrocampo, ad impostare in maniera deliziosa e precisa, a fornire assist geniali, a realizzare di finezza o di potenza. Mai giocate autocelebrative, ma sempre al servizio della squadra, con quell’umiltà propria solo dei veri grandi, rapido, con gran rincorse a recuperare sugli avversari o a dirigersi là dove di sarebbe sviluppato il gioco; pronto a rinunciare all’azione personale, lui grande stoccatore, e servire il pallone a John Hansen per battere il portiere avversario. Muore sessantanovenne a Gentofte, una piccola città della sua Danimarca, il 23 novembre 1990.
La nostra pagina facebook
La nostra pagina twitter
Commenta con noi sul nostro forum!