Leggo la Gazzetta solo quando, dal barbiere, aspetto il mio turno per tagliarmi i capelli. Ieri, in prima pagina, mi ha incuriosito un occhiello che parlava di Massimo Piloni. I più giovani non lo ricorderanno certamente, noi più avanti negli anni ci ricordiamo di quest’omone, eterno secondo portiere, sempre silenzioso e serio nel rispettare le gerarchie decise dagli allenatori.
Vado nell’interno di quel giornale e leggo che Piloni, compici varie disavventure, vive in una casa alla periferia di Roma, che presto sarà messa all’asta per debiti pregressi, è disoccupato, ha una moglie e un figlio, lui pure in cerca di lavoro e con due bambini piccoli.
Ma chi è Massimo Piloni? Classe 1948, è un portiere nato ad Ancona. Cresciuto nelle giovanili bianconere, dopo un anno in prestito alla Casertana è integrato nella rosa di prima squadra. Come secondo di Tancredi, quindi di Carmignani, agli inizi degli anni ’70 accumula qualche presenza in campo, e contribuisce con cinque presenze allo scudetto 1972: poi più nulla dopo l’arrivo di Zoff, cui fa da vice per tre anni. Nell’estate del 1975 lascia la Juve per andare tre anni nel Pescara e da lì al Rimini. In bianconero ha collezionato solo ventisette presenze, di cui dodici in campionato, nove in Coppa Italia e sei in Coppa delle Fiere.
Perché scrivo di lui? Per amplificare, per quanto posso il suo messaggio d’aiuto: chissà quanto deve essergli costato inviarlo, lui così schivo e silenzioso. Uno tra i pochi che l’ha aiutato finora è un altro grande ex bianconero, Sergio Brio, che ha organizzato una raccolta di fondi mediante una cena di vecchie glorie. Questo non risolverebbe che piccola parte dei suoi problemi: lui vorrebbe un lavoro da preparatore dei portieri, ma penso che accetterebbe qualsiasi lavoro che gli consentisse di vivere più serenamente.
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