Fernando Viola, ma il nome vero è Ferdinando, appartiene a quella tipologia di giovani definiti promettenti, un centrocampista con una buona dose di talento, piedi buoni, buona visione di gioco e anche di testa è bravino, nonostante l’altezza di un metro e settantaquattro. Oggi si direbbe un trequartista dal tiro discreto, anche se i gol segnati sono solo venti in quattordici stagioni. E’ diTorrazza Piemonte, dov’è nato 14 marzo del 1951 e la sua strada passa necessariamente dal vivaio bianconero.
Elemento di spicco della squadra Primavera, ha l’esordio ufficiale nella prima squadra di Vycpalek il 15 settembre 1971, a Malta, nella vittoria tennistica sul Marsa. Debutta in campionato il 12 marzo 1972 (Juventus - Bologna: 2 - 1) e dimostra tutto il suo valore: impiegato al posto di Causio, che a sua volta deve fare il vice - Haller, mette in mostra sicurezza ed eleganza nel gioco che fanno subito innamorare i tifosi bianconeri. “Cesto”, saggio allenatore, vuole centellinarne l’impiego per non bruciarlo, e sono gli infortuni dei compagni che gli fanno trovare spazio, in quell’annata coronata dallo scudetto. Gli spazi si chiudono quando Vycpalek avanza a mezz’ala Cuccureddu e da allora, per Fernando è solo panchina.
Un campionato a farsi le ossa in Serie B al Mantova e il ritorno, in una stagione in cui, più maturo, è spesso alternativa a Capello e Cuccureddu. Gioca bene, ma la sua perla è a San Siro con l’Inter, quando fornisce a Bettega entrambi i palloni del due a zero finale (28 aprile 1974). Confermato la stagione seguente, è spesso utilizzato dal nuovo allenatore Parola: Viola attacca e difende, imposta e copre, sa marcare e rifinire. In Coppa Uefa, la sua serata di maggior fulgore è il 5 marzo 1975, Juventus - Amburgo: firma la rete del definitivo due a zero al termine di una serpentina ubriacante, culminata in tiro secco, assolutamente imparabile per l’incolpevole Kargus. In campionato è certamente il migliore dei suoi a Napoli (15 febbraio 1974: Napoli - Juventus 2 a 6), con una gara impreziosita da un’altra segnatura personale. Una quindicina di gare in questa sua ultima stagione in bianconero, la migliore delle tre, che lo consegnano alla nostra storia in un ruolo importante per la conquista dello scudetto numero sedici.
Piani di rinnovo societari, alla ricerca di quella vittoria in Coppa dei Campioni che tanto manca, non trovano più posto per Fernando, dopo cinquanta gare e sette reti in maglia bianconera. Così Viola passa alla Lazio: nonostante il suo palmares tutto bianconero, la parte principale della sua carriera calciatore si svolge a Roma, sponda biancazzurra, che gode la sua maturità calcistica e dove Fernando si prende maggiori soddisfazioni sportive e umane. Roma, dove ha deciso di vivere dopo il calcio e dov’è morto a soli cinquant’anni, il 5 febbraio 2001, per un banale incidente stradale. Stava tornando a casa in scooter, la manovra improvvisa di un automobilista che entra in un passo carraio, l’urto e la scivolata sull’asfalto. Quante volte abbiamo visto la scena: più arrabbiato che dolorante il motociclista si rialza e … Questa volta non si rialza: una scheggia del parabrezza gli ha reciso un’arteria e Fernando muore dissanguato prima di arrivare in ospedale.
Nonostante il suo essere uomo del nord, i tifosi laziali lo amano per aver preso lo spirito della Città Eterna, aver abbandonato l’aplomb sabaudo e imparato a combattere per traguardi minori, ma non per questo meno importanti per i suoi tifosi: la salvezza e qualche risultato di prestigio, magari proprio con quella Roma che in quegli anni combatteva per i traguardi maggiori. Sempre allegro in campo e fuori, in quella Lazio che oltretutto aveva delle traversie dirigenziali, lui era sempre disponibile, agli autografi ai bambini come a parlare con i tifosi analizzando con semplicità la gara appena conclusa. Ciao, Fernando!
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