Amsterdam 1928: al torneo di calcio delle Olimpiadi, l’Argentina è seconda, ma la “Stella di Amsterdam” è lui, l’ala sinistra Raimundo “Mumo” Orsi. La Juventus lo prende e, in quel periodo di calcio più giocato che per immagini, c’era una grande attesa a Torino per vedere il nuovo acquisto. Sbarca a Genova durante il campionato1928/29, ed è delusione tra i tifosi: fisico gracilino, nasone e tanta brillantina, ma la delusione si fa scoramento al sapendo della sua nostalgia per l’Argentina, che suona il violino e che nonostante le origini italiane, non può giocare in campionato. La Federazione, spalleggiando la politica del Regime, agevola la naturalizzazione come oriundo e quindi la possibilità di schierarlo in campo, in bianconero e in Nazionale. In quest’anno sabbatico (gli altri oriundi trovarono la strada spianata) la Juventus lo paga regolarmente: centomila lire d’ingaggio, ottomila al mese di stipendio più la mitica Fiat 509.
Quest’anno, Orsi guadagna lo stipendio facendosi vedere in tribuna durante le partire dei futuri compagni e iniziando a convertire i tifosi che lo vedono all’opera in allenamento, specie quando si esercita a tirare in porta dall’angolino del corner, con la palla che s’insacca quasi regolarmente. Finito l’anno sabbatico, i tifosi fugano i loro timori: Orsi sopperisce a quel fisico poco atletico con doti tecniche eccezionali. Tanto per cominciare, è un’ala che non si limita al traversone per la testa del centravanti, ma che si accentra e conclude personalmente a rete; è ambidestro e può scegliere di tirare forte e preciso o a effetto, diventando una maledizione per i portieri e un assist-man per i compagni, per le geniali aperture improvvise e i traversoni dal fondo, sempre di precisione chirurgica. I terzini hanno gli incubi, sognandolo la notte: la sua velocità di base, l’abilità nelle finte di corpo a palla ferma e in movimento e il dribbling irresistibile mette spesso a sedere per terra il malcapitato difensore, che non capiva come, ma era stato superato.
In 194 gare in bianconero segna 88 volte con tutte le parti del corpo, ma proprio tutte: una volta anche di ... sedere, ricevendo un preciso cross di Ferrari mentre dava di schiena alla porta. Meno realizza di testa, forse per paura di spettinarsi, in compenso son tante le reti dal dischetto. Oggi sembra logico, i rigori li tirano “quelli bravi”, ma allora il calcio di rigore era appannaggio dei terzini dal tiro a cannonata: Orsi è tra i primi, in Europa, a tirare il rigore spiazzando il portiere. Forse “Mumo” subisce il gioco duro, comprensibile, vista la sua gracilità, e indulge allo spettacolo e non alla praticità, come quando aspetta il terzino appena scartato per lasciarlo sul posto un’altra volta. Probabilmente il suo unico limite, come diceva Bertolini, è che era un grandissimo ... solo quando ne aveva voglia.
Scherzava e scommetteva su tutto, sulle vittorie della Juventus, a che minuto avrebbe marcato, sui numeri delle targhe delle automobili. Questo non preoccupava tanto il ferreo Barone Mazzonis (già tra i pionieri della squadra bianconera, poi ferreo dirigente e longa manus del Presidente Edoardo Agnelli), quanto il suonare il violino fino a ore impensabili per un atleta, assieme all’attività di sciupafemmine, con cui il fascinoso ed elegantissimo Orsi si dedicava con uguale costanza.
Orsi è indissolubilmente legato al “Quinquennio d’Oro” bianconero: senza dimenticare dei grandissimi come Combi, Monti e Borel II, il nostro Orsi, assieme a Rosetta, Caligaris, Varglien I, Cesarini e Ferrari è uno dei sei campioni che hanno vinto tutti i cinque scudetti consecutivi sul campo, record finora ineguagliato. La Juventus si schiera in campo col “Metodo”, una novità d’importazione danubiana, per cui i giocatori, davanti al portiere, sembrano disegnare una “doppia W”: due terzini, mediano destro, centrosostegno, mediano sinistro; interno destro e sinistro, ala destra, centrattacco, ala sinistra. I terzini si occupano degli attacchi centrali: quello “di volata” marca il centravanti, quello “di posizione” è una specie di libero ante litteram, arretrato e statico a presidio dell’area di rigore; il centrosostegno è il raccordo tra difesa e attacco e i mediani laterali si occupano delle ali avversarie e danno una mano a centrocampo.
In un periodo in cui il pubblico era sì campanilista, ma anche più sportivo, il “Quinquennio d’Oro” è legato al fatto che la Juventus diviene la “Fidanzata d’Italia”. L’ammirazione per il gioco espresso, la ribellione politico-sportiva delle periferie regionali nei confronti delle squadre delle grandi città, l’antifascismo di base (il Barone Mazzonis non accettò mai che sulla divisa sociale apparisse “la cimice”, il distintivo dei fascisti), la signorilità della proprietà, la correttezza in campo (il quarto scudetto consecutivo arriva senza nemmeno un’espulsione), fanno sì che l’Italia straveda per i bianconeri: nei viaggi di nozze è inserita una partita allo Stadio Mussolini e il biglietto per una partita della Juventus è il regalo per una promoziona a scuola.
Nel maggio 1935, Orsi, nel pieno della sua maturità tecnico-agonistica, spaventato dalla politica aggressiva del Regime, torna in Sudamerica dove vince altri due titoli nazionali col Penarol e col Flamengo. Oltre ad aver fatto innamorare della Juventus e del calcio, aver partecipato alla vittoria della Coppa Rimet del 1934 (sua la prima delle due reti nella finale) è stato l’oriundo che più di tutti ha vestito l’azzurro della Nazionale, trentacinque gare (con tredici reti), recentemente superato da Mauro Camoranesi. Orsi muore trent’anni fa a Santiago del Cile, il 6 aprile 1986. Ha detto di lui un altro grande bianconero di quel quinquennio, Teobaldo Depetrini: «Credo che Mumo sia stato l’ala sinistra più forte di tutti i tempi, senza limiti di età. Aveva scatto, velocità, un perfetto controllo della palla e disponeva di un dribbling e di un repertorio di finte di corpo che, da allora, non ho mai più riscontrato in un attaccante».
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