Dopo gli stenti della guerra, con la presidenza di Gianni Agnelli si ricostruisce uno squadrone capace di dominare, e i risultati si vedono: è scudetto sia nel 1950 che nel 1952. Il crescente impegno in Fiat lascia sempre meno tempo all’Avvocato per pensare alla sua Juventus, che inizia, infatti, un periodo d’appannamento che culminerà nel 1955 - 1957, col fallimento della Juve dei “Puppanti”. Prima di questa crisi che rende necessario il ritorno al timone di un Agnelli, s’inserisce il biennio in cui i bianconeri sono guidati in panchina da Aldo Olivieri.
Chi è Olivieri? Da ragazzino voleva giocare attaccante, ma non era il suo destino: non doveva essere un grande attaccante, poiché i suoi coetanei lo rifilavano in porta. In porta fa la trafila nelle giovanili, poi qualche anno di gavetta al Verona in Serie B, infine il salto nella massima serie, al Padova. Dopo poche partite s’infortuna alla spalla, e quando rientra, col campionato agli sgoccioli, per un’uscita spericolata su un attaccante della Fiumana si causa un grave problema cerebrale. Al risveglio dal coma apprende di aver subito la trapanazione del cranio. I medici sentenziano la fine della sua carriera, tant’è che il Padova gli concede la lista gratuita. Il coraggio che manca ai patavini ce l’ha il presidente della Lucchese, che lo ingaggia. E’ uno spettacolo di portiere: a Lucca per le sue uscite spericolate e i voli spettacolari è soprannominato il “Gatto Magico”. E’ così bravo che Pozzo lo convoca in Nazionale e lui va a vincere la Coppa Rimet del 1938 in Francia. La stessa estate passa al Torino per quattro anni dove si fa la fama di “pararigori”, da lì al Brescia, poi l’interruzione per la guerra e la fine della carriera da giocatore-allenatore nel Viareggio.
Abbandonata l’attività agonistica, allena Lucchese, Udinese e Inter, per arrivare alla Juventus nella stagione 1953/54. Insieme con lui, arriva in bianconero l’oriundo Ricagni, su cui si contava molto come cannoniere, inserito in un gruppo di tutto rispetto, costituito da Viola, Bertuccelli, Parola, Ferrario, Boniperti, Muccinelli, John Hansen e Praest. Il campionato è combattuto e ci vede campioni d’inverno in coabitazione con Inter e Fiorentina. Nel girone di ritorno i viola distaccano inizialmente gli avversari, che poi crollano a dieci giornate dal termine. Ora Juventus e Inter procedono di pari passo, ma l’equilibrio s’infrange a tre gare dal termine, quando la Juventus perde a Bergamo e l’Inter pareggia a Palermo. Quel punto di vantaggio, la Juve non riuscirà a rosicchiarlo, nonostante le vittorie nelle ultime due di campionato su Palermo e Napoli. Le ventiquattro vittorie, i dieci pareggi e le quattro sconfitte, frutto di cinquantotto reti fatte rispetto alle trentaquattro subite, con un po’ di fortuna, potevano portare ad un risultato migliore.
La stagione seguente vede il disimpegno definitivo dell’Avvocato già da settembre, col triumvirato Craveri, Cravetto e Giustiniani che inaugura una linea verde che porterà solo al settimo posto: dei giovani, il solo Garzena, rientrato dall’Alessandria dov’era in prestito, si dimostrerà un giocatore da Juventus. Inconsuete disavventure extrasportive contribuiscono al non memorabile piazzamento finale: il 12 dicembre, per una questione di premi, la squadra sciopera, decidendo di non partire per la trasferta contro l’Inter. Il vecchio Combi, partendo dai “dissociati” Montico e dal nuovo arrivato Bronée riesce a ricucire lo strappo, tanto che i ragazzi, oltre ad andare a Milano, tornano anche vittoriosi. Le residue speranze di scudetto tramontano con lo zero a quattro subito al Comunale, qualche settimana dopo, a causa del Milan dell’ex Ricagni, ceduto forse troppo presto. Il campionato è già perso alla fine del girone d’andata, con i nostri a nove punti dal Milan. Muccinelli, Praest e Boniperti non possono finalizzare per uno stoccatore d’area che non c’è più: il ritmo della squadra non cambia e consente di totalizzare solo trentasette punti finali, ben lontani dal Milan, vincitore con quarantotto. Non poteva certo andare meglio, visto lo score davvero deprimente: solo dodici vittorie, tredici pareggi e ben nove sconfitte, figlie delle sessanta reti all’attivo e delle cinquantatré al passivo. Faremo peggio l’anno seguente, ma questa è un’altra storia.
Sostituito da un allenatore ritenuto idoneo alla “linea verde” ritenuta indispensabile per la rinascita, Olivieri passa sulla panchina della Lucchese, va poi a Pistoia, Trieste, Verona e Caserta, ove prova senza fortuna anche la carriera di Direttore Sportivo. Nel suo palmares d’allenatore ci sono tre promozioni in Serie A, la vittoria di un campionato cadetto con la Lucchese, ma soprattutto il campionato Mondiale in Francia del 1938 come portiere titolare. Nel 1968 lascia il calcio e si ritira nell’amata Versilia, dove muore, a Camaiore, alla bell’età di 90 anni, il 5 aprile del 2001, giusto quindici anni orsono. Niente male, per uno che avevano dato per morto settant’anni prima.
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