Vi vorrei parlare di Boniperti, il giocatore, iniziando da “Marisa”. Giampiero Boniperti da Barengo, Novara, era un traditore. Sì, per i novaresi, tifosi di una onesta e combattiva compagine di provincia, l’aver scelto la Juventus da parte di quel loro conterraneo era una colpa grave. Era anche usuale, in precampionato, la partita Novara-Juventus. Per Giampiero la sfortuna volle che quella volta, alla presentazione delle squadre, si presentasse anche Miss Piemonte in pantaloncini e maglietta bianconera. Si chiamava Marisa e a Giampiero, già capitano della Juve, offrì un mazzo di fiori, baci e un abbraccio. Il coro «Marisa-Marisa», da saluto degli spalti alla bellona, divenne immediatamente offesa a Giampiero, ripetuto per scherno ogni volta che toccava palla. Questa messa in dubbio del suo gender role era facilitata dai bei lineamenti e dai capelli biondi riccioluti, dall’eleganza nei movimenti e dal fatto che, in campo, il nostro Boniperti era un’ira di Dio. Impotenti a difendersi da lui, lo offendevano. Certo, un po’ del suo ce lo mise anche lui, il “Biondino di Barengo”: arrivò a Torino con l’abitudine di un fazzoletto portato nel taschino di dietro dei pantaloncini, come facevano peraltro i vecchi compagni di squadra. Come lo vide, Borel gli fece:
«Buttalo via, cosa diavolo ti viene in mente!» . Boniperti ubbidì, anche perché la divisa non contemplava una tasca nei pantaloncini. Quindi, quando l’interista Benito Lorenzi, detto “Veleno”, sostiene di aver inventato il soprannome di Boniperti, si appropria di un copyright non suo. Di cartone, insomma.
Centravanti elegante e spietato a inizio carriera, acrobatico al bisogno e dotato di grande progressione, ha fatto parte di due delle Juventus più belle di tutti i tempi, quella dal ‘49 al ’53 e quella del ”Trio Magico”, con Sivori e Charles, cui dovette cedere il posto di centravanti, spostandosi alla fonte del gioco e convertendosi a centrocampista, uno dei migliori di sempre. Vero leader, dopo aver indossato il bianconero 469 volte e segnato 188 reti, lascia il calcio giocato con un palmares di cinque Scudetti e due Coppe Italia. In azzurro, partecipa ai Mondiali in Brasile (1950) e Svizzera (1954), ma la soddisfazione più grande l’ottiene a Wembley il 21 ottobre 1953: con la maglia numero sette del Resto del Mondo strabilia compagni, avversari e spettatori, gioca da dio e segna anche due reti agli inglesi.
Di Boniperti calciatore ho detto abbastanza, son cose che sanno quasi tutti. Molti sapranno anche che il munifico Avvocato era depredato dal nostro Boniperti “fattore”: ad ogni rete segnata aveva diritto ad una mucca proveniente dai possedimenti degli Agnelli. Anticipando campagne promozionali da moderno supermercato, del tipo “prendi due, paghi uno”, l’ineffabile Giampiero si andava a scegliere solo vacche gravide. Forse un po’ meno si sa che, col suo aspetto distinto e la faccia da bravo ragazzo, ingannava parecchio: in campo, a parte essere spesso il migliore, era anche una vera peste. Se lo picchiavano, certo lui non porgeva l’altra guancia. Sentite cosa diceva di sé stesso: «Del Piero mi assomiglia nell’amore per la squadra, nella fedeltà, credo anche nella serietà. Anche se io ero molto più carogna di lui. Ma avevo un vantaggio: non c’era la televisione, e potevo menare come e quanto volevo. Però ne prendevo anche un sacco, devo dire». Se lo provocavano, certo lui non subiva senza reagire. Sentite questa: Ludovico Tubaro, stopper e picchiatore, in Legnano-Juventus falcia Boniperti in area con un fallaccio sul ginocchio. Rientrato in campo malconcio, si dimentica il dolore, entra in area, scarta il portiere ed entra in porta col pallone. Non festeggia nemmeno la rete: si volta verso Tubaro e:
«Tiè!» , gesto dell’ombrello e rissa finale.
La sua mancata disponibilità al precetto di porgere l’altra guancia, mi ricorda un altro aneddoto, che oltre dell’apparente scarso rispetto della gerarchia ecclesiale, conferma il gran rapporto del nostro con Gianni Agnelli. Pochi giorni prima di Lazio-Juventus del 17 febbraio 1952, la Juve è ricevuta da Papa Pio XII, che confessa di essere tifoso juventino ed esorta la squadra a vincere. Antoniotti e Puccinelli firmano il due a zero finale per i padroni di casa, ed a Praest che negli spogliatoi diceva
«Che vergogna! Che penserà il Papa?» , Boniperti rispose
«Il Papa? E’ di ciò che dirà l’Avvocato che ti devi preoccupare!» . Altro precetto poco apprezzato da Boniperti è il decoubertiniano
“L'importante non è vincere ma partecipare” , che lui modifica nel celeberrimo:
“Vincere non è importante: è l'unica cosa che conta”. Altrettanto celebre la sua supposta tirchiaggine: ne sanno qualcosa i bianconeri che lo avranno Presidente. Come racconta Pietro Vierchowood:
«Nella mia carriera ho stabilito un record: sono riuscito a farmi pagare un caffè da Boniperti». Ma questo è un altro Boniperti. Perché oltre al Boniperti giocatore, il Boniperti fattore che “rubava” mucche a Gianni Agnelli, c’è stato un Boniperti Direttore Generale, Presidente, Europarlamentare, Presidente onorario. Di Boniperti sanno tutto tutti, ma io mi sono divertito a parlare di un Boniperti meno noto.
A proposito: smise di giocare il 10 giugno 1961. Quel giorno si disputava la ripetizione della gara del 16 aprile, interrotta per la composta invasione dei tifosi bianconeri per overbooking, ma poi rigiocata per decisione della CAF, a scudetto già conquistato dai bianconeri. Finisce in goleada, di cui abbiamo già scritto tempo addietro (
Link). Molto più interessante dell’antisportiva decisione interista di schierare la squadra dei ragazzi, il fatto che, a fine gara, Boniperti, entrato negli spogliatoi, andò dal massaggiatore e disse:
«Crova, ecco le mie scarpe. Ho finito».
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