Quindici anni orsono, il 22 giugno 2001, moriva a Buenos Aires una persona che sosteneva di essere stata l’allenatore della Juventus. In effetti, per un certo periodo percepì lo stipendio in virtù di quella nomea, ma poco fece per passare alla storia. Vale la pena di parlarne per capire per quali tortuosi sentieri la Juventus “operaia” di Heriberto Herrera si trasformò nella fantastica formazione che dominò gli anni settanta.
Alla fine degli anni sessanta il presidente bianconero era Vittore Catella, messo al timone di una Juventus che, per problemi connessi con l’industria di famiglia, gli Agnelli volevano mantenesse un basso profilo. Catella, negli ultimi anni di presidenza, fece da chioccia a Boniperti, che stava preparando il rilancio. Nel frattempo, Heriberto Herrera, risolto il “problema Sivori”, confermato per il quinto anno consecutivo (1968/69) chiese di rinnovare il parco giocatori: via Cinesinho per Haller, arriva Anastasi, soffiato all’Inter per seicento milioni, arriva anche Romeo Benetti. Ma Heriberto non era fortunato con le stelle e non riusciva a controllare quell’uomo libero di Haller, nemmeno con l’aiuto della Signora Waltraud, la teutonica consorte dell’ex rossoblù: oltre al calcio, a Helmut piacevano troppo la birra e le donne, anche se non in quest’ordine. Anche Anastasi sopportava di malanimo la disciplina del “Ginnasiarca”. I tifosi, che mai l’avevano amato, iniziarono a contestare pesantemente il paraguaiano, e il quinto posto finale in campionato segnò il capolinea di HH2 a Torino.
La Juventus, però commette un erroraccio: chiama in panchina Luis Carniglia, un allenatore che nel passato remoto aveva vinto titoli altrove, ma antico nei sistemi di preparazione e molle nella gestione dei calciatori. Assieme al tecnico argentino, arrivano a Torino Bob Vieri, il babbo di Christian, attivo la notte ma meno in allenamento, Francesco Morini, grintoso stopper, Leonardi, grande ala dall’antico volteggio, il portiere Tancredi e i centrocampisti Giampiero Marchetti e Beppe Furino, rientrato dal prestito. Pare una rosa destinata a grandi risultati, ma così non è.
Carniglia non è un buon preparatore atletico e non ha la capacità di impostare una squadra di buona potenzialità ma anche tanto rinnovata: quattro sconfitte in otto giornate segnano il suo destino. Tra l’ottava giornata (sconfitta col Napoli) e la nona, da disputarsi a Cagliari, prima di cadere in zona retrocessione, Carniglia è sostituito da Ercole Rabitti, tecnico delle giovanili. La Juventus si rianima, acquisisce un gioco e, con un bel filotto di risultati utili, riesce a rimontare, fino a contendere lo scudetto al Cagliari di Gigi Riva e Manlio Scopigno.
Quanti difetti aveva Carniglia! A causa di un’autostima ipertrofica, ricordo di successi remoti e la predilezione assoluta per il calcio della sua terra, svilisce i giocatori a disposizione. Non sono certo Di Stefano o Pedernera, ma sono certamente buoni giocatori: è lui che oltre a non saperli amalgamare in una squadra con un gioco definito, ha una lingua molto lunga, con cui definisce “contadini” i giocatori meno dotati della rosa. Oltre alla spocchia, quest’individuo mostra anche poca educazione e zero furbizia, poiché i propri giudizi sui calciatori, finiti gli allenamenti al Campo Combi, li spiffera, tra un bicchiere di whisky e l’altro, nella sede sportiva del Circolo della Stampa. Immaginate i titoli sui giornali dell’indomani.
Non appena arrivato a Villar Perosa, al tempo sede del rituale ritiro precampionato, sparisce. I giorni passano e lui resta in camera sua, off limits per tutti meno che per un giornalista: il caballero se n’è ingraziato uno (o viceversa) e con lui rievoca i fasti antichi del suo passato di trainer e di come, bravi come lui, in circolazione non ce ne siano più. Un altro po’ di whisky e giù a dormire. Remo Giordanetti vicepresidente bianconero riesce infine a far luce sul mistero della camera di Don Luis e ne ottiene la presenza sul campo d’allenamento. Eccolo: con il suo fischietto d’ordinanza ordina scatti a ripetizione, col bel risultato di stirare ben sei elementi della rosa in poche ore.
Inizia il campionato, che naturalmente vede una Juventus senza schemi, inguardabile. Quell’autoproclamato genio del calcio potrebbe provare a insegnare schemi e tattiche, ma la cosa che riesce a far meglio è sparlare dei calciatori che non sa utilizzare. Il 17 ottobre, due giorni prima della gara col Vicenza, ai giornalisti spiega perché “la Juve non gira ... come ... nessuno nella Juve sa giocare; Morini colpisce di caviglia, Furino sa soltanto correre, Anastasi è agile sì, ma giocare è un’altra cosa. Io giocavo bene, io sapevo giocare. Bob Vieri non ha polmoni” (da Vladimiro Caminiti, Juventus ’80). Meno male che alla Juve non si fanno abbindolare ulteriormente: non seguono la raccomandazione del Señor Carniglia per suo figlio Luis Jr., che, infatti, in tre anni tra Milan e Sampdoria, disputerà cinque gare di campionato. Bravo come il padre!
Per finire: tecnici “strani” la Juventus ne aveva già avuti, uno per tutti William Chalmers, ma Carniglia, in un’ipotetica gara al peggior allenatore, vincerebbe per cappotto sullo scozzese. Se il britannico fu considerato incompetente ed eccentrico, l’argentino aveva troppa sicumera, troppa superficialità, troppa lingua e beveva troppo whisky. Addio, fanfarone: molto meglio di te l’umile, oscuro, affidabile e preparato Ercole Rabitti.
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