Quattro anni fa, di questi tempi (era metà gennaio), Claudio Marchisio rilasciò una intervista ad un giornale.
Alla domanda
“Ci sarà qualche giocatore che, al solo trovarselo davanti, le suscita una sana vena d’antipatia…” la testuale risposta del centrocampista fu “Non qualche faccia in particolare, ma una squadra, soprattutto dopo le finali ruvide di Coppa Italia e Supercoppa: il Napoli. Quando me li trovo di fronte scatta qualcosa”. Apriti cielo.
Nonostante non avesse utilizzato nessun termine particolarmente acceso (l'espressione “antipatia” è del giornalista) si scatenò l'inferno: i quotidiani titolarono, con la “consueta” capacità di sintesi che li contraddistingue: “Marchisio odia Napoli” o giù di lì.
Intervenne la società partenopea, le istituzioni, polituncoli di terzo e quarto ordine, giornalisti, nani e ballerine, che invocarono provvedimenti urgenti delle autorità, sportive e non, citando, chiaramente a sproposito, razzismo e altre assurdità, chiedendo squalifiche e allontanamento dalla Nazionale.
Ieri, il centrocampista Nainggolan, personaggio già più volte al di sopra delle righe, parlando della Juve ha usato questi termini, ripresi dal Corriere dello sport:
“Anche quando ero a Cagliari odiavo la Juve a prescindere". "Li odio perché vincono sempre per un rigore o per una punizione. Sono venuto qui perché volevo vincere qualcosa contro la Juve".Ovviamente tutto passa in galanteria, come nulla fosse, perchè “odiare” la Juve (non provare “rivalità” o “antipatia”) non solo è lecito, ma quasi doveroso.
E il fatto che dette parole provengano da un tesserato (sappiamo che la Procura federale interviene solo per il “merda” dei bambini allo Stadium) non sposta i termini del discorso, evidentemente.
Se poi tutto questo faccia bene al nostro derelitto movimento calcistico o contribuisca ad esacerbare ulteriormente gli animi, ad ognuno la sua opinione.
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