Oggi vi parlo di Baggio perché il 18 febbraio è il suo cinquantesimo compleanno. Chi continuerà a leggere troverà riportate alcune contraddizioni su questo personaggio, che forse egli stesso ha contribuito ad evocare, e in ogni modo non ha chiarito nel suo libro “Una porta nel cielo”.
Baggio, per molti, è stato il più gran calciatore italiano di tutti i tempi. Forse è vero, non ho né la memoria storica, né la cultura calcistica necessarie da esprimermi in proposito, però ho sempre negli occhi le sue serpentine palla al piede, come un coltello caldo nel burro di tutte le difese, i suoi gol mai banali, le sontuose aperture ai compagni, le implacabili punizioni dal limite. Per l’efficacia e l’estetica delle sue giocate, Baggio non si discute, è la quintessenza del campione: averlo visto giocare con la maglia bianconera, per me è stato un privilegio, un onore e un piacere sopraffino. Se per Platini era un nove e mezzo, una via di mezzo tra un attaccante e un rifinitore, Baggio è un fenomeno, un fantasista che sa ricoprire più ruoli: seconda punta, trequartista, centravanti e attaccante esterno. In grado di far qualsiasi cosa col pallone, dai dribbling ubriacanti agli assist “divini”, dall’impostare la manovra, al penetrare in area con uno-due fantastici, gonfia la rete da ogni posizione, con tiro chirurgico e fiuto del gol straordinario ... senza contare le sue punizioni dal limite, letali quasi come rigori. Alla Juve dalla stagione 1990/91, in cinque anni, con duecento presenze e centoquindici reti ha contribuito alla vittoria della Coppa UEFA del 1993, la sua miglior stagione bianconera, e della “doppietta” Scudetto - Coppa Italia, nel 1995.
Ora, prima di essere crocefisso (ma spero solo metaforicamente: ambasciator non porta pena), ecco le critiche che, da più parti, hanno avuto per bersaglio questo mito del nostro calcio. Un primo difetto che gli è stato attribuito è che, per un campionissimo, non è che abbia vinto poi tanto: nei dieci anni della sua maturità calcistica, dai ventitre-ventiquattro anni dell’arrivo alla Juventus, a quando dall’Inter è passato al Brescia, ha conquistato cinque trofei, quattro di squadra e uno personale. Con la Juventus, oltre a quanto già ricordato, ha vinto anche il Pallone d’Oro, col Milan, un altro scudetto. Un po’ poco per un fuoriclasse.
Sempre con riferimento allo stesso decennio, un secondo difetto che gli è attribuito è stato l’aver cambiato quattro squadre in cinque anni: Juventus, Milan, Bologna e Inter, una cosa che fa pensare. Baggio si giustifica sostenendo che la colpa è degli allenatori:
in “Una porta nel cielo”, sostiene che Lippi, Sacchi e Capello erano gelosi di lui. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi Messi di Guardiola, o Ronaldo di Zidane: secondo la logica di Baggio, Guardiola e Zidane dovrebbero essere (stati) gelosi per la gloria rubata loro dai due fuoriclasse, ma sarebbero stati veramente stupidi. Quindi, la causa dei dissidi tra il “Divin Codino” e i suoi allenatori va cercata altrove. Forse la causa sta in quel che sostiene Tacconi, uno dei pochi ad esprimersi spesso controcorrente: "
Roberto Baggio? Ha vinto poca roba, ha avuto qualche problema negli spogliatoi".
Mai dimenticando che la carriera di Baggio è stata falcidiata da frequenti e gravissimi infortuni e da lunghe convalescenze, analizzando i contrasti dalle parole degli allenatori, emerge una realtà forse diversa. Alla Fiorentina, Eriksson vuole metterlo in campo in una posizione invisa al futuro “Codino”, mentre, col Trap, il problema sono i mancati rientri a centrocampo, esitati nella crisi del 25 ottobre 1992: dopo averlo sostituito nel corso d’Inter-Juventus, lo accusò pubblicamente di “
non giocare per la squadra”. Poco feeling anche con Maldini, all’Under 21, che lo relega spesso in panchina e col “Lippi bianconero”, che gli ha preferisce l’emergente Del Piero. Capello, appena passato al Real, dice che "
nello spogliatoio non lo sopportava più nessuno", e, tornato al Milan, dice che "
per lui non c'è più posto". Meglio non va con Sacchi, che in Nazionale “pretende” di inserirlo nei suoi schemi, e nel Milan lo tiene spesso in panchina. Al Bologna entra in conflitto con Ulivieri, che lo pone allo stesso livello di tutti gli altri calciatori in rosa; ritrovato Lippi nel secondo anno all’Inter, ancora una volta finisce spesso in panchina.
Altre contraddizioni emergono dal rapporto di Baggio con i tifosi bianconeri. Arriva a Torino dopo aver sbandierato più volte la sua contrarietà a quel trasferimento, e fin qui nulla di male. Ma, come ben ricorda il suo procuratore Caliendo, alla prima conferenza stampa a Torino, quando gli è messa al collo la sciarpa bianconera, la getta via. Poi, il 7 aprile 1991, alla prima gara a Firenze con la nuova maglia, rifiuta di tirare un calcio di rigore, poi battuto e sbagliato da De Agostini, col risultato finale che premia i viola per uno a zero. Sostituito, uscendo dal campo, raccoglie una sciarpa viola e se la mette al collo.
Allora, amici di GLMDJ, lascio la parola a voi: si tratta di un grandissimo campione o di un fuoriclasse incompreso? Se è stato così “poco vincente”, quale n’è stata la causa? Perché tanti problemi con i suoi allenatori? Quali le cause del suo peregrinare da una squadra all’altra? In ogni caso,
quali che siano stati i tuoi problemi, quei cinque anni in bianconero sono stati illuminati dalla tua classe eccelsa. Tanti auguri per i tuoi cinquant’anni, Roberto!
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