La rottura con il tradizionale fu un passo di fondamentale importanza per la nascita dell’impressionismo, movimento artistico che introdusse la negazione dell’importanza del soggetto, la ribellione al convenzionale, un maggiore interesse al colore rispetto al disegno. Ma soprattutto la prevalenza della soggettività dell’artista e delle sue emozioni, delle proprie sensazioni, il tutto riprodotto con rapidi colpi di spatola che crearono un’alternarsi di superfici uniformi ed irregolari. Adesso vi domanderete: ma cosa centra tutto questo con le tematiche che abbiamo sempre affrontato? Seguitemi.
Abbiamo assistito ad un forte inasprimento del movimento calciopolista, una tendenza che ha negato sia l’importanza dei fatti quanto quella della storia, formando quegli schieramenti che si sono riempiti la bocca di ogni verità, secondo loro inconfutabile e vergognosa. Da un lato la coalizione formata dalle emozioni: odio, rabbia, rancore, il tutto fomentato da sensazioni che, anche a detta delle sentenze sportive, raccoglievano quanto respirato nell’aria dall’intero ambiente. Dall’altro il potere, nelle mani di chi, silenziosamente, ha dato più importanza agli interessi personali, sacrificando una storia ultracentenaria e lasciandola morente in una pozza rossa di sangue, alternando l’influenza per conseguire il proprio tornaconto. Inevitabile il formarsi di due modi di pensare. Quello uniforme, stereotipato e normalizzato, che dava voce a chi covava la ribellione, spalleggiato dalla forza editoriale dei media, fiancheggiato dalle comiche sentenze di una giustizia senza giustizia, difeso e appoggiato da un numero imprecisato di giustizialisti saliti agli onori delle cronache perché conoscitori, nei minimi dettagli, di quello che si era consumato dietro il grande tendone del mondo del calcio, riuscendo così a mascherare, in un colpo solo, le colpe dei propri insuccessi sportivi e gestionali con il volto di chi, per meriti, era riuscito nell’impresa di emergere al cospetto di un settore travolto da debiti, fallimenti e insuccessi. Pochi, per non dire un’esigua minoranza, coloro che, attraverso le carte processuali, le testimonianze e, soprattutto, le varie sentenze ordinarie, hanno abbracciato il pensiero delle irregolarità. Evidenti ed enormi, ma che nonostante tutto hanno avuto la forza e l’incostituzionalità di abbattersi contro milioni di tifosi e la loro squadra di appartenenza: la Juventus.
Ora domando: dopo la condanna in primo grado di Antonio Giraudo per associazione a delinquere e frode sportiva, emessa dal Giudice De Gregorio nella sentenza del rito abbreviato di oggi, lunedì 14 dicembre 2009, presso il tribunale di Napoli, c’è qualcuno a cui non tornano le cose? C’è qualcuno in grado di spiegarci come sia possibile dimostrare un’associazione a delinquere quando quest’ultima è stata letteralmente smontata dal processo Gea? C’è qualcuno che può farci comprendere come sia possibile sentenziare un’associazione a delinquere quando: a. nel processo “madre” deve essere ancora dimostrata; b. anche le sentenze sportive avevano ampiamente documentato che non vi erano partite truccate né bustarelle o quant’altro?
Ora, sia chiaro, ci troviamo davanti alla resa o al conflitto. Quelli del “partito delle irregolarità” non si sono mai arresi, non hanno ceduto, non hanno mai trovato conveniente tirare a campare, come, invece, hanno fatto in molti, compresi coloro che si sono professati bianconeri; sarebbe stata una resa, in attesa delle altre mazzate. Il conflitto andava fatto scegliendo tra due strade: a. abbandonando le mezze misure e passando alle cose serie, denunciando: l’aborto giuridico scaturito dal processo sportivo, l’imbarazzante richiesta da parte della società della serie B, l’andamento gestionale e sportivo di coloro che hanno spazzato via oltre 100 anni di storia; b. trascinando il tutto nel dire: “guardiamo avanti”. Non abbiamo perso compattezza, ci siamo uniti preferendo di gran lunga la prima rispetto alla seconda, giacché la vera prova del fuoco era nella capacità e volontà di cambiare profondamente le cose.
Oggi più di ieri rimaniamo ben fermi e saldi sulle nostre convinzioni, basate sull’inaudita sentenza che ha fatto emergere a chiare lettere l’ennesima incongruenza. E mi domando ancora: ma se Giraudo e Moggi non sarebbero i promotori dell'associazione a delinquere, chi è il capo della “cupola”? E ancora: se Giraudo non è stato condannato per aver commesso un reato specifico di frode sportiva (partite pilotate o altro) ma solo perché, secondo il giudice, faceva parte di un organizzazione che era predisposta a commetterlo, perché non si è, in oltre tre anni, aperta un’ulteriore indagine per far venire a galla colui che sarebbe stato a capo di tutto questo?
Giudici, opinione pubblica, media e addetti ai lavori hanno cancellato in modo illegittimo, e con la compiacenza del “padrone”, la Juventus, assestando un sistema giustizialista e forcaiolo. Le anomalie, però, si sono inevitabilmente ingigantite, e pensare nuovamente di chiudere la partita con l’arma giudiziaria è una follia (ed uno spreco ingente di denaro pubblico) capace di scassare quel che resta della democrazia e dello Stato di diritto.
Dal processo ordinario ancora in svolgimento a Napoli non è uscito nulla di nuovo, anzi, i teste portati in aula dal Pubblico Ministero hanno evidenziato una volta di più la vomitevole Santa Inquisizione che ha incenerito la Juventus. C’è qualcuno in grado di spiegarlo? Fin ad oggi non s’è visto, o ha parlato sottovoce.
Un sistema impressionistico ha cavalcato l’onda negando l’importanza delle (non) prove, e mettendo in rilievo la spettacolarizzazione del colore a discapito del disegno. Il tempo non è ancora scaduto, mentre giustizialismo e malagiustizia hanno raggiunto l’apice.
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