Sappiamo già che ci bagneremo come pulcini, e Giove pluvio ci darà ragione annaffiandoci con una pioggerella fitta e costante, quel 17 maggio 1987, mentre ci avviamo per tempo al Comunale per vedere Juventus-Brescia, ultima di campionato. Siamo già zuppi d’acqua, quando Marchesi manda in campo Tacconi, Favero e Caricola; Bonini, Brio e Scirea; Mauro, Manfredonia, Serena, Platini e Buso. La gara si sblocca già al quarto minuto: centro teso di Platini dalla trequarti, testa di Serena e uno a zero. Neanche due minuti e Caricola aggancia Branco in area: Gritti tira sulla destra di Tacconi che sfiora soltanto ed è pareggio. Al ventiduesimo, centro basso di Bonini e Brio, in posizione di centravanti, di piattone anticipa Manfredonia e riporta in vantaggio la Juve. Alle Rondinelle serve un punto per salvarsi dalla retrocessione e, a quattro minuti dal termine della prima frazione, Iorio, in girata su cross di Gritti, batte l’incolpevole Tacconi. Nonostante il campo pesante, Platini continua a dar lezioni di calcio anche nel secondo tempo, in cui Marchesi, al sessantaduesimo sostituisce Mauro con Ivano Bonetti e sei minuti dopo getta nella mischia Briaschi al posto di Buso. La mossa ha effetto. Al settantottesimo è proprio Bonetti che parte dalla trequarti sinistra, supera un avversario in pallonetto, penetra in area e batte imparabilmente Aliboni. Gran rete, che fissa il risultato definitivo e definisce i tre punti di distacco della Juve, seconda alle spalle del Napoli tricolore, e la retrocessione del Brescia.
Qualcuno dei più avvezzi alla storia bianconera, e magari dai cinquant’anni in sù, avrà capito perché questa partita, peraltro abbastanza insignificante per il prestigio bianconero, mi sia rimasta nel cuore. E’ la gara che fa di Platini un ex calciatore. Al di là dalle vicende di Michel come dirigente UEFA, da quella “del francobollo”, quando la Juventus gli chiese aiuto contro la FIGC, all’ancora non definita vicenda del suo abbandono della presidenza del massimo ente calcistico europeo, questo è il mio ricordo di Platini calciatore, che lo vede come il fil rouge, ma forse sarebbe meglio dire il filo bianconero, che nel mio cuore lega Sivori a Del Piero.
La prima volta che lo vidi all’opera, in televisione, fu l’8 febbraio 1978 durante l’amichevole Italia-Francia, a Napoli. Due calci di punizione dal limite, più o meno nella stessa mattonella, due volte con la palla in fondo al sacco, con Zoff battuto. Il primo gol, annullato perché l’arbitro non aveva fischiato la ripresa del gioco, aveva lasciato immobile un esterrefatto Zoff, mentre la palla entrava alla sua destra a fil di palo. Nella seconda occasione, Zoff si sposta appena sulla sua destra, ma Michel lo castiga con un tiro a fil di palo dalla parte opposta. Non fu solo per questi episodi che m’innamorai del francese, ma quel che conta è che la partita la vide anche l’Avvocato, che appena n’ebbe l’occasione, lo regalò alla Juventus. Per poi dire
«L'abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui ci ha messo sopra il foie gras». Su Platini ne ha dette tante altre, come quando affermò che «Avere Platini in squadra era come avere una credit card sempre a portata di mano»; gli piaceva così tanto che un giorno, addirittura ammise che «Nella Juve nessuno è mai stato al suo livello e se in futuro ci sarà qualcuno che lo supererà lo ammetteremo a malincuore».
Platini spesso gli ha risposto, sempre con garbo e humour. Qualche volta anche senza parlare. Sentite quest’aneddoto, sempre dalla bocca dell’Avvocato «Un giorno mi dissero che Maradona si allenava cen¬trando la porta con un tiro da centrocampo. Andai al Comunale e lo dissi alla squadra, Platini non disse nulla ma chiese al magazzi¬niere di aprire la porticina dello spogliatoio che stava al di là della pista d'atletica, si fece dare un pallone e da centrocampo lo spedì negli spogliatoi. Mi guardò sorri-dendo e se ne andò senza di¬re una parola». Come poteva non piacere Platini: dal 1983 al 1985 ci ha regalato tutte le Coppe internazionali possibili, due Scudetti, una Coppa Italia, ha vinto tre Palloni d’oro consecutivi e soprattutto ci ha fatto impazzire con le sue giocate mai banali, spesso così semplici da risultare perfette, assist imprevedibili, una visione di gioco unica, tocco di palla sopraffino, tiro da cecchino e, nonostante un fisico tendente alla pinguedine, progressione, scatto e velocità abbinate a finte ubriacanti. Ci ha regalato tanti momenti esaltanti, che lui minimizzava anche con arguta autoironia. Ci ha regalato centinaia di cartoline di portieri avversari battuti, come quella volta a Tokio, 8 dicembre 1985, quando l’ottuso Roth annullò uno dei gol più belli della storia del calcio, forse per un ininfluente fuorigioco di posizione di Brio. Che volere di più da un calciatore? Noi avremmo voluto vederlo continuare. Lui ha voluto smettere prima che qualche crepa incrinasse lo splendore del suo gioco. Nel dopo partita di Juve-Brescia disse:
«Ho giocato nel Nancy perché era la mia città, nel Saint-Étienne perché era la migliore in Francia e nella Juventus perché è la migliore al mondo».La nostra pagina facebook
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