Non mi piace scrivere “contro”, da sempre preferisco scrivere “pro”, ma con l’Inter ho sempre fatto un’eccezione: da bianconero nato e cresciuto in Toscana, posso tranquillamente affermare che della Viola, come la chiamano ora, non me ne importa un fico secco, del Toro men che meno, non si parli poi del Milan, sia targato Berlusca, sia targato PRC. Ma l’Inter...
Quand’ero piccolo e si cominciava a vedere un po’ di calcio in televisione, spesso, ad affliggermi, erano le asfittiche partite della seconda squadra di Milano: un golletto, di solito in contropiede, e difesa ad oltranza per novanta minuti. A mio modo di vedere, uno spettacolo indecoroso, una pubblicità negativa dell’Italia nel mondo. Poi è arrivato l’articolo di Brian Glanville sul Times di Londra, su come l’Inter comprasse gli arbitri e la confessione dell'arbitro Vadas, con la sua tentata corruzione prima d’Inter-Real Madrid del 20 aprile 1966. Non bastasse, ecco poi la storia dei “caffettini” alle amfetamine, svelati da Ferruccio Mazzola in un’intervista su l’Espresso e poi alla base del libro “Il terzo incomodo”, che gli valsero una querela dall’Inter (ma fu assolto) e l’ostracismo da parte di tutto quell’ambiente, fratello compreso: solo dieci anni dopo, bontà sua, Sandro Mazzola ha confermato quanto scritto dal fratello. Non attirava simpatia sull’Inter nemmeno quell’uomo molto presuntuoso, arrogante e spesso offensivo che era il suo allenatore, Helenio Herrera, detto “Mago” o “HH1”. Che goduria, quella volta che in settimana “Velenio” (mio padre lo chiamava così), parlando della prossima partita, disse: “
Il Catania? Una squadra di postelegrafonici”. I rossazzurri se la presero a male e si vendicarono immediatamente. Pochi giorni dopo, il 4 giugno 1961, a “Tutto il calcio minuto per minuto”, Sandro Ciotti interruppe la radiocronaca di Ameri, urlando nel microfono il famoso “
Scusa Ameri! Clamoroso al Cibali! Al 25° il Catania è in vantaggio!” descrivendo poi la rete di Castellazzi. Per la cronaca, a venti minuti dalla fine, Calvanese chiuse la gara col due a zero per i “postelegrafonici” sugli sboroni milanesi pieni di sé. Questi gli inizi del mio “amore” per i colori nerazzurri, maestri del reclamo ufficiale e degli scudetti di cartone.
Torniamo all’oggi. Sabato 3 giugno, rinchiuso in casa, eseguiti i miei riti di propiziazione, mi guardavo Juve-Real. Non entro nel merito della cronaca, ma il piacevole godimento della gara, a parte che dal nostro gioco del secondo tempo, era seriamente danneggiato da un tifoso-contro, certamente un interista, che stava esorcizzando il pericolo che anche noi potessimo fare “triplete”: ad ogni rete madridista, usciva dalla pizzeria a cento metri da casa mia e dava aria ad una tromba di segnalazione ad aria compressa. Già sofferente per il gioco inesistente della mia squadra, deriso dall’idiota con tromba, il minimo che potessi fare era augurare all’energumeno, con scarsa pietas, è vero, un male qui impronunciabile.
Niente “triplete”, allora, anche se a me quello che interessava era la Coppa: il “triplete” lo vedo roba da “cartonati”, basta ricordare gli scandalosi regali arbitrali pro-Inter nel corso di quella Champions League. Nel frattempo, a me, non uso ad esternare gioia per le disgrazie altrui, tornava in mente un altro “triplete”, onusto d’anni, visto che risale a cinquant’anni fa. Era un “triplete alla rovescia”, una vera debacle per la squadra che in quel periodo vinceva tanto, vantandosene parecchio, con un gioco che gli aggettivi micragnoso e miserabile descrivevano al meglio. Il primo atto di questo “triplete alla rovescia” si tenne a Lisbona, all’Estadio Nazionale Jamor, con Celtic e Inter agli ordini dell’impronunciabile dell’arbitro Tschenscher. Solito rigore trasformato da Mazzola al 7°, ma gli outsiders biancoverdi iniziarono a macinare gioco fino al meritato 2 a 1 finale: di Gemmels al 63° e Chalmers all’84°, le reti degli uomini di Jock Stein. Sul secondo atto ho già scritto ne “Lo Scudetto dì giovedì”: sperando che l’abbiate letto, mi limito a un riassuntino. Riassumendo. Giovedì 1° giugno 1967, con il posticipo delle gare di campionato per via Celtic-Inter, avvenne il sorpasso, all’ultima giornata di campionato, della Juve di Heriberto vittoriosa sulla Lazio, ai danni dell’Inter, beffata a Mantova dal suo ex Di Giacomo, con un gollonzo dei più ridicoli. Il terzo atto, la ciliegina sulla torta la mise il Luca Montersino dell’epoca, il 7 giugno, con la sorpresa Padova, quell’anno solo sesto in Serie B: in semifinale, al vecchio Appiani, in un’ora regolò gli interisti. Carminati e Morelli portarono gli euganei sul due a zero, rimontati da Suarez e Mazzola, con la parola fine sulla gara scritta ancora da Carminati quando mancava ancora mezz’ora al fischio finale.
Una bella stagione per la Juventus, pur se noi “sivoriani” dovemmo inchinarci davanti all’abnegazione, l’integralismo e il “Movimiento” di Heriberto Herrera-HH2, uomo di poche parole, preso spesso in giro da Helenio Herrera-HH1. La squadra “socialdemocratica” così l’aveva denominata l’Avvocato, strappata la Coppa Italia all’Inter l’anno prima, quest’anno l’aveva addirittura battuta in campionato.
Quell’anno, i superbi milanesi, che quindici giorni prima “avevano già vinto tutto”, ci hanno sbattuto il naso ben tre volte, per la gioia dei tanti che non sopportavano l’intrigante presidente Moratti, il catenaccio interista e il suo amfetaminico allenatore. Oltretutto, era la parola fine del ciclo nerazzurro, mentre la Juve si stava affacciando alle porte del favoloso periodo degli anni ‘70 e ‘80.
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